Un mondo globalizzato fatto di muri

L’insediamento alla Casa Bianca del repubblicano Donald Trump è stato ben presto accompagnato dall’insidiosa questione della costruzione della barriera al confine tra Stati Uniti e Messico. Trump aveva promesso questo muro in campagna elettorale per dare una svolta, a suo dire, all’immigrazione clandestina e al traffico di stupefacenti. Bisogna tuttavia specificare che questo muro, in parte, esiste già. A partire dal 1994, infatti, sotto l’amministrazione Clinton, fu costruita una barriera di separazione che copre solamente 1000 dei 3000 km del confine tra Stati Uniti e Messico: l’obiettivo di Trump è quello di completare l’interno confine. La crisi diplomatica con il Messico è scoppiata immediatamente soprattutto perché è necessario chiarire come si finanzieranno i costi della realizzazione della barriera, stimati in circa 10-15 miliardi di dollari.

Può apparire strano che nel 2017, 28 anni dopo la caduta del muro di Berlino, in un mondo così globalizzato, un muro possa davvero rappresentare una soluzione. Trump non è l’unico a pensarla così: basti infatti pensare a quanto è stato fatto recentemente dall’Ungheria. Nel luglio 2015, in piena crisi migratoria, con milioni di immigrati dai Balcani verso l’Unione Europea, il governo ungherese, insoddisfatto dell’operato dell’UE, ha deciso di costruire una barriera di separazione tra l’Ungheria e la Serbia per fermare i flussi.

Trump e il governo ungherese hanno fatto questa scelta, ma non sono gli unici. nel mondo vi sono numerosi muri: alcuni dividono Stati, altri regioni, altri ancora perfino città. I motivi della loro esistenza derivano spesso da conflitti etnici, religiosi, culturali, politici, ma una delle ragioni prevalenti è il contrasto all’immigrazione clandestina.

Prendendo in considerazione le barriere costruite prima degli anni 2000, troviamo alcuni muri, triste ricordo di importanti conflitti. Tra quelli maggiormente noti, vi è il muro che separa la Corea del Nord dalla Corea del Sud: si tratta di una zona demilitarizzata costruita nel 1953, lungo il 38° parallelo, a seguito della guerra di Corea, uno dei conflitti “più caldi” della guerra fredda.

Ricordiamo poi la Durand Line tra Pakistan e Afghanistan, che sebbene pose fine a un passato coloniale, risulta essere oggi un elemento problematico per la sua permeabilità e incapacità di gestione di flussi di terroristi. Importante anche la barriera tra Kuwait e Iraq, costruita nel 1991 a conclusione della guerra del golfo.

Avvicinandosi invece al contesto europeo, non si possono dimenticare le Paece Lines che separano la Belfast cattolica da quella protestante, erette nel 1969 a seguito dei Troubles, i conflitti nell’Irlanda del Nord. Sebbene siano stati presi impegni per demolire queste mura nei prossimi anni, sono ancora molti gli abitanti di Belfast che si sentono maggiormente al sicuro con le Lines.

Sempre vicina al continente europeo, la barriera tra le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla e il Marocco, costruita nel 1990 per “bloccare” l’immigrazione clandestina e ancora oggi zona di forte criticità.

Sempre antecedente agli anni 2000, anche la Linea verde, barriera forse meno conosciuta, costruita nel 1974, che divide Cipro in zona greca e zona turca. Sebbene sia poco nota questa vicenda, bisogna specificare che lo Stato di Cipro comprende solo la parte centro-meridionale dell’isola: il nord infatti risulta occupato dalla Repubblica turca di Cipro del Nord (RTCN), riconosciuta unicamente dalla Turchia. A noi giungono scarse notizie su quest’isola così vicina ma divisa in due, nella quale comunque rimane una situazione di tensione. Il referendum di unificazione delle due Cipro non è passato nel 2004, ma si pensa che i nuovi negoziati in corso, portino a una soluzione pacifica entro la fine del 2017.

Passando invece agli anni 2000, tra gli esempi più rilevanti troviamo la barriera tra Zimbabwe e Botswana realizzata nel 2003 per prevenire lo sconfinamento di mandrie di bestiame dello Zimbabwe. Sebbene questa sia stata la motivazione ufficiale rilasciata dal governo del Botswana, è più plausibile che il motivo sia quello di limitare lo spostamento di cittadini zimbabwani verso il più ricco Botswana.

Importante poi il muro tra Cina e Corea del Nord, costruito nel 2006 per bloccare il flusso migratorio coreano in Cina dovuto a una forte carestia. Come non dimenticare poi la barriera che separa la Cisgiordania da Israele, realizzata a partire dal 2002. Sebbene la Corte internazionale di giustizia dell’Aia abbia negato la legittimità di questo muro (2004),  che non seguirebbe la Linea verde dell’armistizio del 1967, e ne abbia imposto la rimozione, a oggi esso racchiude due enclave palestinesi, una a nord, l’altra a sud di Gerusalemme.

Nel 2014, invece, è stato costruito un muro tra Turchia e Bulgaria per fermare l’immigrazione irregolare e un altro tra Arabia Saudita e Yemen sempre con lo stesso scopo, accompagnato però anche dalla minaccia del terrorismo.

Ma l’elenco non finirebbe qui perché i muri in costruzione sono ancora molti, come quello tra la Russia e l’Ucraina, tra l’Argentina e il Paraguay, tra l’Iran e il Pakistan e molti altri ancora sono in progetto.

Sembra incredibile, ma nell’era della globalizzazione ci sono nel mondo più di 70 muri sparsi su tutti i continenti e il numero, invece che diminuire, continua a crescere e mai fino a oggi ve ne sono stati così tanti.

Si tratta di una strategia utilizzata sempre più per ostacolare l’immigrazione clandestina e, forse, rassicurare i propri cittadini. Di fronte a crisi migratorie, come quelle che stanno vivendo molti Paesi, e all’incapacità di elaborare politiche efficaci ed efficienti per la gestione dell’immigrazione, non si fa altro che ricorrere alla costruzione di muri. Soluzione che spesso implica solamente un aumento di morti perché i migranti sono costretti a percorrere strade più insidiose e pericolose per raggiungere la meta del loro sogno di una vita migliore.


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