Brexit: la recessione è ancora lontana? La voce anti-Brexit continua a farsi sentire

Chi pensava che il risultato del referendum sulla Brexit (l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea) non avrebbe portato conseguenze intaccando la solidità sociale, politica ed economica del Paese, si sbagliava di grosso!

Allarmanti i dati sull’economia inglese con un innalzamento, più che trascurabile, del tasso di inflazione allo 0,6% e una prospettiva di rialzamento complessiva del +3% per il 2017. Conseguenza naturale l’aumento dei prezzi dell’1,6% soprattutto su tabacco, bevande alcoliche, ma anche ristoranti e materie prime. A tutto questo, si aggiunga una crescita lenta o pari a zero che ha portato la fiorente economia inglese a una fase di stasi che sembra eliminare ogni possibile riflessione ottimistica.

Anche se non c’è chi manca di sottolineare un certo scetticismo di fronte alla presunta connessione tra l’alta inflazione e Brexit, è vero che il referendum è intervenuto in un momento economicamente felice, e questo lascia un po’ pensare.

Insomma, è ormai chiaro che gli effetti della Brexit cominciano a farsi sentire e rischiano, difatti, di essere molto più che superficiali. Tutto al contrario! Non è un caso che, nonostante la premier inglese Theresa May si stia prodigando per una rapida uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, qualcuno stia rallentando i progetti del suo governo.

Innanzitutto il parlamento inglese che ha richiesto, come stabilisce la legge, che il referendum sia varato solo dopo approvazione dell’organo istituzionale. Una vera e propria umiliazione di fronte all’Alta Corte di Londra per la premier britannica che si è subito preoccupata di salvare il salvabile, almeno solo in apparenza, precipitandosi a rassicurare Bruxelles e Berlino sul divorzio dall’UE, asserendo: «Rispetteremo i tempi di uscita dall’UE». Sicurezza e decisione, dunque,  sono le carte vincenti del nuovo governo britannico che si dice convinto di vincere il vaglio e l’approvazione del Parlamento inglese.

Si fa sempre più insistente, quindi, l’appello all’articolo 50 del trattato di Lisbona che prevede un meccanismo di recesso volontario di un paese dall’Unione Europea. Tale intenzione, ratificata al Consiglio europeo, dà avvio a un accordo per definirne le modalità.

Il clima all’esterno del parlamento non è dei migliori, anzi aumentano le polemiche, ancora una volta alimentate dalla destra britannica che attacca i membri dell’Alta Corte, tacciandoli addirittura di essere “nemici del popolo”. Sul web la tensione è altissima con continui attacchi e insulti nei confronti di Gina Miller, l’imprenditrice inglese che ha dato avvio al ricorso contro il governo, opponendosi così al risultato del Leave (51,9%) decretato dal referendum del 23 giugno 2016.

Negli ultimi giorni, poi, la stampa inglese ha comunicato che il gruppo anti-Brexit Unite for Europe sta organizzando per il prossimo 25 marzo una grande manifestazione che prevede addirittura, stando alle stime degli organizzatori, un’affluenza di almeno 750mila persone. L’iniziativa è prevista una settimana prima della scadenza imposta al governo britannico, pertanto se ne intuiscono l’importanza e la portata. In realtà i capi ultras di questa iniziativa non si fanno illusioni, ben consapevoli forse di non riuscire a bloccare l’applicazione dell’articolo 50, ma disposti a far sentire la forza della propria voce.

Chi la spunterà? La storia ci insegna che la forza del popolo può sovvertire perfino il più forte dei poteri. Per citarne solo uno, la presa della Bastiglia il 14 luglio del 1789 a Parigi fu un evento storico poco importante sul piano concreto, ma che assunse una forte valenza simbolica fino a essere considerato l’evento culminante della Rivoluzione francese.

Dunque, non ci resta che aspettare il prossimo 25 marzo e seguire tutti gli aggiornamenti di un recesso che, la netta vittoria del Leave con il 51,9%, aveva caricato di entusiasmo e di grandi prospettive. Ancora una volta, l’Inghilterra si rivelerà all’altezza delle sue aspettative?


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