Tra le fiamme il rifugio dei migranti a Sesto Fiorentino

Notte. Il termometro scende sotto lo zero. L’unico modo per scaldarsi, e sopravvivere, è usare delle stufe elettriche, o altri riscaldamenti di tipo artigianale. Così hanno sempre fatto i migranti a Sesto Fiorentino. O almeno negli ultimi tre anni. Insomma da quando l’ex mobilificio di Aiazzone è stato occupato. Ma la notte del 11 gennaio avviene un imprevisto. Forse un cortocircuito o forse qualche brace ardente, ma si innesca un incendio. Le fiamme divampano, nutrendosi delle poche proprietà di quei disperati che ogni giorno dormono per terra. Coperte, valigie, qualche vestito, materassi. Un fumo denso e nero si diffonde in tutto il capannone, cogliendo di sorpresa chi già dorme. Chi è sveglio fugge invece per strada, al gelo, e chiama i soccorsi. I vigili del fuoco accorrono in breve tempo, e lo stesso fanno i soccorsi del 118. Ma per un migrante somalo è già troppo tardi. I tentativi di rianimazione, e la corsa in ospedale sono vani.  Altre due persone sono intossicate ma la loro situazione non è grave come la sua. I pompieri lavorano fino a tarda notte all’interno del rifugio, ma per fortuna l’ispezione non rivela altre vittime.

Dopo l’incendio vengono montate due tende nella vicina piazza Marconi per permettere a chi è rimasto senza un rifugio di avere un posto dove dormire. La maggior parte delle persone provengono da Eritrea e Somalia e sono circa un ottantina. Il sindaco di Sesto si mette in contatto subito con il prefetto per trovare una soluzione. Soluzione che forse appare un po’ tardiva visto che quanto successo era piuttosto pronosticabile. Sono infatti tantissimi i migranti  che, in tutta la penisola, usano metodi di fortuna per scaldarsi dalla morsa del gelo che avvolge l’Italia. E questa situazione era ben nota anche qui, a pochi chilometri da Firenze. Già lo scorso anno infatti le forze dell’ordine era intervenute su ordine del prefetto, ma gli occupanti dell’edificio, tra cui anche qualche famiglia italiana, avevano fatto resistenza, anche usando la forza, soprattutto per impedire che venisse tolta loro l’elettricità.

La mattina seguente è già tempo di proteste. I profughi accusano lo Stato di aver ucciso Alì Muse. Il quarantaquattrenne sarebbe infatti morto dopo essere rientrato per prendere dei documenti necessari al ricongiungimento con la moglie, in Kenya da due anni. “È un fatto vergognoso. Sono anni che queste persone sono abbandonate e vengono lasciate sole a soffrire” spiega Osman, capo della comunità, insieme ad altri migranti che ora chiedono un posto per dormire, e accettano così la proposta del sindaco di essere ospitati nel palazzetto dello sport. Almeno momentaneamente.

Seppure non si possa accusare direttamente lo Stato della morte di Muse, o perlomeno i suoi funzionari (anche se un’indagine per omicidio colposo è stata aperta), la situazione dei migranti va risolta il prima possibile. I centri di accoglienza sono al collasso, e molti rifugiati sono quindi costretti dalle circostanze ad attendere la risposta alla richiesta di asilo in dormitori di fortuna. Alcuni anche per anni, alimentando un circolo vizioso fatto di degrado e criminalità. Circolo di cui invece si può accusare lo Stato.


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