Il Cavaliere Inesistente, un racconto di eroi

Il Cavaliere Inesistente di Italo Calvino è un romanzo fantastico scritto nel ’59. Ultimo di quella trilogia che verrà chiamata I nostri antenati, pubblicata alla fine degli anni ’50, entra ben presto a far parte dei romanzi classici della letteratura italiana novecentesca.

Agilulfo: il cavaliere che non esiste

Al centro della vicenda c’è Agilulfo, un cavaliere di Carlo Magno che è ma non esiste: è solo una voce all’interno di un’armatura bianca totalmente vuota, eppure c’è. Serve con onore e coraggio Carlo Magno, con tanta puntualità da correggere e controllare anche il lavoro altrui e attirarsi così molte antipatie all’interno dell’esercito. I commilitoni ormai non si chiedono più come faccia l’armatura a muoversi e parlare e, dopo la sorpresa iniziale, nemmeno il giovane Rambaldo se ne curerà e prenderà Agilulfo come esempio di perfetto cavaliere per riuscire a vendicare la morte del padre.

Tra comicità e grottesco

Agilulfo attira l’attenzione anche di Bradamante, l’amazzone dal mantello pervinca, che ne ammira l’animo valoroso che traspare dall’armatura vuota. Rambaldo a sua volta si innamorerà di Bradamante e contribuirà a delineare le scene di triste comicità che caratterizzano questo romanzo. La comicità alleggerisce le riflessioni e talvolta tende al grottesco, con il ricordo dei cicli medievali cavallereschi molto vivido (sebbene i cavalieri qui non siano esseri perfetti) e un particolare gusto per il mistero, su cui si gioca tutta la fine del libro.

La riflessione

La principale fonte di riflessione nasce dal confronto tra Agilulfo e Gurdulù, il suo scudiero che esiste ma non è. Egli ha un corpo ma non è cosciente di se stesso, imita ciò che vede e invidia un caduto nel campo di battaglia. Il suo corpo infatti nutrirà altra vita, mentre lui non è capace di vivere. Di fianco a lui, invece, Agilulfo ammette che nei momenti di malinconia invidia il corpo agli uomini esistenti, perché anche se morti, essi sono qualcosa.

Le emozioni giovanili e la condizione umana

Accanto alle riflessioni sono altrettanto forti le emozioni giovanili di Rambaldo e di una strana coppia di amanti che rischiano di negare ad Agilulfo il suo titolo di cavaliere e tengono il lettore con il fiato sospeso.
Ma il vero fulcro della narrazione è la riflessione sulla condizione dell’uomo nella società moderna, un uomo sempre più vuoto di valori, identificato solo con le azioni quotidiane e ripetitive, che compie come una macchina. Agilulfo è un monito per rallentare questa tendenza, ma talvolta il genere fantastico e lo stile di Calvino allentano la riflessione con piccole risate tra una riga e l’altra.

 

Fonti
R. Antonelli, M.T. Sapegno, Il senso e le forme, La Nuova Italia: Scandicci, 2018

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