La dura vita del letterato

Il letterato è quella persona che ama le librerie, le biblioteche, gli archivi…Ma non solo li ama, ci andrebbe proprio a vivere. Fosse per lui metterebbe un bel divano, una coperta e una macchinetta del caffè o un bollitore per il tè nella sua sezione preferita, leggerebbe ogni singolo libro e poi cambierebbe sezione per iniziare da capo.

Si siederebbe a gambe accavallate all’inizio, poi si appoggerebbe un po’ allo schienale per poi saltare in piedi all’improvviso nei passaggi più concitati fino a ricadere esausto sul cuscino e addormentarsi. Perché il letterato è molto più sensibile della maggior parte delle persone, e ha una grande fantasia. Riesce  a immedesimarsi perfettamente nelle storie dei suoi libri, riesce a trasformare quella lenta successione di inchiostro nero su carta bianca in immagini vivissime, colorate e piene di vita.

È un mestiere stancante, anche se non sembrerebbe, e logorante. Serve un grande sforzo intellettuale, un’ottima concentrazione, una buona memoria per i nomi e le parentele, un’ottima capacità di astrazione, una buona dose di empatia e allo stesso tempo di distacco dalla realtà. Si possono vivere più vite, sì, ma non tutte allo stesso momento.

Il letterato deve scegliere: può diventare abitante di uno dei suoi libri, oppure abitante di un luogo con latitudine x e longitudine y sulla faccia della terra. Tutte e due le cose no. Non c’è da stupirsi se il letterato medio sceglierà come residenza una delle sue opere preferite. E già che c’è non si limiterà solo a quello ma chiederà di ottenere pieno diritto di cittadinanza.

Imparerà la lingua del suo mondo adottivo, farà conoscenza coi vicini, inizierà a parlare come loro, con gli stessi termini desueti e le stesse inflessioni dialettali, inizierà a gesticolare come loro, a vestirsi come loro, si innamorerà di loro e prima o poi inizierà anche a parlare con loro. Prima in sogno, poi in quei momenti dove si ha la testa da una parte e il corpo dall’altra, poi inizierà a commentare sconsolato le battute peggio riuscite, esclamerà di stupore per le svolte inaspettate, urlerà di gioia e di piacere all’incontro con l’amata.

Con la pratica riuscirà perfino a precedere le suddette battute. A questo punto si sentirà una sorta di dio creatore che conosce i suoi polli e i loro errori e le loro sviste. Nei rari momenti in cui decide di fare visita a casa, ovvero a quella che un tempo era la sua casa, non sa perché ma non ci si trova a suo agio.

Le persone parlano tutte in modo strano, usano parole strane, i congiuntivi? Non sanno nemmeno cosa siano. E poi si comportano in modo strano: non avvisano mai prima di fare una cosa, non si capisce mai esattamente cosa gli passi per la testa, dicono una cosa e ne fanno un’altra, e poi lo vedono con un occhio strano, quasi come se fosse appena arrivato da Marte.

In un certo senso è vero, ma il luogo da cui proviene il letterato è molto meglio di Marte, di casa o di qualsiasi altro posto. Perché lui i suoi vicini di casa li capisce, sa sempre cosa passa per la testa della sua donna, conosce ogni centimetro della sua casa e nulla, ma proprio nulla, ha il terribile vizio di cambiare continuamente. Dev’essere una cosa tipica di questi stupidi terrestri. Ma non sanno fare una cosa e tenerla così com’è? Perché devono sempre costruire, abbattere, ricostruire? È così facile vivere in un libro. Tutto ha la sua logica e tutti la seguono perfettamente. Non c’è nulla che faccia eccezione. Tutto ha dei confini chiari e ben definiti.

La vita dentro un libro è perfetta, anche quando succedono le disgrazie peggiori c’è sempre un modo per risolverle o per lo meno la possibilità di riuscire a capirle. Nella vita vera è tutto un caos e certe risposte si cercano per tutta una vita senza riuscire mai a trovarle. Sarà per questo che il letterato ha spostato la sua residenza dentro le pagine del libro?

Molti invidiano il letterato, la sua capacità di stare sempre con il corpo da una parte e la testa da un’altra, ma in pochi pensano alla fatica che si fa a vivere sempre così, divisi in corpo e anima e senza nessuna speranza di ricongiungersi a se stessi. Quella del letterato non è un’evasione, è una risposta, una reazione a un mondo che gira dalla parte sbagliata.

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