LO SPETTRO DELLA GUERRA

di Daniele Palmieri

“Era pazzo e avrebbe potuto essere esonerato dal volo.
Tutto quel che doveva fare era di farne domanda; e non
appena ne avesse fatto domanda, non sarebbe più stato
pazzo e avrebbe dovuto continuare a volare. (…) Sarebbe
stato pazzo se avesse compiuto altre missioni di volo e sano
di mente se non lo avesse fatto, ma se fosse stato sano
di mente avrebbe dovuto compiere altre missioni di volo.”

[Comma 22 – Joseph Heller]

Senza ombra di dubbio un grande spettro accompagna l’uomo sin dalla nascita dei primi grandi agglomerati sociali: lo spettro della Guerra.
Di generazione in generazione esso sussurra all’orecchio degli uomini, li tenta con i suoi sogni di gloria, grandezza e onore per poi abbandonarli morenti sul campo di battaglia poiché, per quante innumerevoli siano le vittime, la Guerra non è mai a corto di uomini e quindi non si preoccupa di tutelare i propri figli.
Il progresso tecnologico è sempre stato innanzitutto uno sviluppo bellico; persino le invenzioni nate per migliorare la vita dell’uomo sono diventate le armi più letali a sua disposizione (basti pensare alle armi chimiche o alla bomba atomica).
Proprio a causa del progresso tecnologico le guerre degli ultimi duecento anni si sono contraddistinte per l’inaudita crudezza.

Le campagne napoleoniche hanno versato il sangue di circa tre milioni di morti, la prima guerra mondiale sedici milioni e la seconda un totale di settanta milioni.
Oltre all’elevato numero di morti, il carattere che contraddistingue queste ultime guerre è l’immane numero di vittime civili.
Infatti, se gli eserciti di una volta si fronteggiavano in grandi campi fuori dalla città, se i generali combattevano in prima linea sguainando la spada insieme ai propri soldati, nei tempi moderni si è imposta l’infame consuetudine di mettere in ginocchio le nazioni nemiche bombardando le loro città simbolo mentre i generali, al sicuro da tutto, mandano i propri uomini a morire.
Ormai la Guerra non si accontenta più del sangue dei soldati, ora brama molto di più. Vuole accaparrarsi la vita delle persone comuni, interrompere i loro sogni, demolire le loro speranze, distruggere le loro case.
Il genocidio degli Armeni durante la prima guerra mondiale, l’olocausto degli Ebrei nella seconda, i bombardamenti sulla striscia di Gaza in Palestina al giorno d’oggi, le folli mire espansionistiche dell’ISIS, tutti eventi che hanno rovinato e che stanno rovinando la vita di migliaia di famiglie.
Alla luce delle atrocità che crescono di pari passo al livello di civiltà, come sottolineato da Massimo Fini nel saggio “Elogio della Guerra”, visto l’inarrestabile progresso tecnologico bisognerebbe chiedersi: quali barbarie la storia ancora ci riserva?
Italo Svevo nell’ultimo capitolo de “La Coscienza di Zeno” aveva intuito l’avvicinarsi di un’arma così potente da radere al suolo la Terra intera; forse questo sarebbe veramente l’unico modo di estirpare la guerra dal Mondo, poiché essa è nata con noi e in un certo modo ne siamo assuefatti, come il protagonista di “The Hurt Locker” (film diretto da Kathryn Bigelow), un artificiere in servizio in Iraq che, terminato il suo turno nell’esercito e tornato al sicuro dalla sua famiglia, si accorge di non essere più adatto alla vita di tutti i giorni e torna a rischiare la vita disinnescando ordigni.
Non è facile trovare una motivazione a questo spirito autodistruttivo dell’uomo; forse l’unica spiegazione è quella proposta da Edgar Allan Poe ne “Il Demone della Perversità”, racconto breve in cui scrive che “la certezza del male o dell’errore insito in un’azione, è proprio l’unica invincibile forza che ci spinge a compierla fino in fondo”.
Ma se le motivazioni sono oscure, certe saranno le conseguenze delle nostre azioni se continueremo su questa strada: la trappola per topi scatterà ed allora, nell’arida terra bruciata dal fosforo e dal plutonio, riecheggeranno le parole di Tacito “Laddove fanno un deserto, lo chiamano pace.”

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