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Phil Mer: “MI PIACE COMUNQUE PENSARE SEMPRE CHE IL MEGLIO DEBBA ANCORA ARRIVARE”

Intervista a Phil Mer

Alto, biondo e con gli occhi azzurri, carisma da vendere e molte esperienze alle spalle, il protagonista della nostra intervista è Phil Mer, musicista e batterista che ha calcato i palcoscenici più importanti d’Italia e del mondo. Una carriera brillante la sua, che farebbe invidia a chiunque volesse intraprendere questa strada. Ha collaborato con Malika Ayane, Patty Pravo, Michele Zarrillo, Annalisa Scarrone, Pino Daniele, i Pooh ed attualmente è impegnato con il tour “Tempo Reale” di Francesco Renga con il quale sta riempiendo tutti i teatri d’Italia. All’età di 11 anni già aveva previsto che la musica sarebbe stata la sua ragione di vita, ci racconta che la madre lo aveva già pronosticato quando era ancora nella pancia: “scalciavo come un matto quando partecipava ai concerti”, dice.

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Phil Mer

Dopo quasi 32 anni, per Phil, questa passione è diventata la sua professione. Un profilo a 360 gradi, ammette di credere nel destino e di essere un fatalista. Phil ha saputo conciliare la passione per la musica a quella per l’arte, portando avanti un progetto dal nome The Frames in cui ha musicato grandi capolavori dell’arte in un linguaggio jazz. Phil ha tante iniziative per il futuro ed è l’esempio lampante del fatto che la determinazione accompagnata dal talento e dai sacrifici è un trinomio perfetto per il raggiungimento dei propri obiettivi.

Ecco l’intervista a Phil Mer!

Dopo innumerevoli esibizioni sui palchi più importanti d’Italia e del mondo, accompagnando grandi artisti, hai ancora qualche ricordo della tua prima performance davanti ad un pubblico?

Ho iniziato a suonare da molto piccolo quindi i miei ricordi sono un po’ confusi, però posso dirti che a 11 anni avevo già una band: i miei compagni erano più grandi di me ed erano impegnati con il lavoro fino a tardi, quindi si provava di notte, durante i mesi estivi in cui non avevo scuola, per quasi tutte le sere. Poi facevamo un unico concerto, quando ci sentivamo pronti, verso la fine di agosto, a cui assisteva tutto il paese.

Suppongo che suonassimo malissimo, ma mi è servito perché ho subito cominciato a suonare con gli altri, mentre il problema principale dei giovani musicisti di oggi è che suonano spesso da soli e ciò che fanno è finalizzato a stupire gli utenti di Youtube…e questo secondo me li allontana dalla musica, in cui è indispensabile saper ascoltare gli altri che stanno suonando con te, oltre a se stessi.

Ogniqualvolta varchi il palcoscenico e incroci lo sguardo di milioni di persone pronte a lasciarsi trasportare dal suono della tua batteria, quali sensazioni provi dentro di te? E’ un qualcosa a cui ci si abitua o è sempre un’emozione diversa?

Penso sia una cosa molto soggettiva, io non sono una persona particolarmente emotiva anzi…sono piuttosto razionale e mi piace affrontare ogni occasione lavorativa, dal concerto davanti a 10 o 10.000 persone alla registrazione in sala di incisione, con controllo e lucidità. Bisogna saper trasformare l’emozione in qualcosa di artisticamente edificante; quando l’emotività prende il sopravvento può compromettere la nostra performance. Stare dietro alla batteria è diverso dall’essere frontman o cantante. Stiamo più indietro e siamo le fondamenta della musica, quindi abbiamo una grande responsabilità, prima di tutto nei confronti della band più che del pubblico.

Com’è nata questa tua grande passione per la musica e in particolar modo per la batteria? C’è qualcuno che ti ha supportato maggiormente nella scelta di intraprendere questa carriera?

Ho iniziato a suonare molto presto. Mia mamma aveva profetizzato che sarei diventato batterista perché scalciavo come un dannato in pancia quando lei partecipava ai concerti. A 6 anni mi fu regalata la prima batteria semiprofessionale proprio da Red Canzian e vista l’amicizia dei miei genitori con i Pooh (mia mamma in seguito sarebbe diventata la moglie di Red dopo il divorzio da mio padre), avevo talvolta l’occasione di salire sul loro palco durante il sound check e di sedermi alla batteria per provarla…chi l’avrebbe mai pensato che ci sarei salito ancora così spesso su quel palco molto tempo dopo! I miei genitori, sia quelli naturali che quelli acquisiti, mi hanno sempre supportato. Questa è stata sicuramente una molla importante, ma credo comunque che ognuno di noi sia in qualche modo predestinato a fare quello che fa.

Phil, quando hai deciso che questa passione sarebbe diventata la tua professione di vita?

La decisione definitiva l’ho presa quando già lavoravo nella musica. Più precisamente in un musical a Milano. Frequentavo l’università e tenevo i libri sul leggio della batteria per sfruttare ogni tempo morto per prepararmi agli esami. Quando mi sono laureato in Scienze dei Beni Culturali ho capito che non potevo continuare a tenere i piedi in due staffe. Per fare le cose bene ti ci devi dedicare totalmente e da lì a poco ho avuto la fortuna e la possibilità di vivere di musica, cosa sempre più difficile per tutti ad oggi. Mi sento privilegiato perché ho trasformato una passione in una fonte di guadagno e sopravvivenza.

Nonostante la tua passione per la musica, non viene mai meno il tempo da dedicare all’arte che è stata anche la scelta dei tuoi studi universitari. Dopo il progetto “The Framers” che hai portato avanti con entusiasmo e perseveranza, hai intenzione di conciliare ancora una volta la musica con l’arte in un’altra iniziativa?

Certo, con il mio lavoro ho la fortuna di viaggiare molto e mi prendo il tempo per visitare musei e mostre per il mio piacere personale. Con i Framers abbiamo musicato grandi capolavori dell’arte in un linguaggio di jazz contemporaneo, con alcuni ospiti importanti come Malika e Mario Biondi. Il progetto è molto particolare, di nicchia, ma intendo coltivarlo e dargli un seguito…a dicembre ci sarà una mostra importantissima a Vicenza curata da Goldin sulla notte nella storia dell’arte, con opere di Caravaggio, Monet, Van Gogh. Con i Framers farò un cd musicando dieci capolavori presenti in mostra. Il disco sarà disponibile esclusivamente nel punto vendita della mostra. Un’iniziativa nuova e molto stimolante per noi.

Quale consiglio senti di dare ai milioni di ragazzi che vorrebbero intraprendere una carriera nell’ambito musicale? Consigli loro di provare a percorrere la strada dei reality show oppure la classica e dura gavetta?

Oggi è molto difficile vivere di musica ed una percentuale bassissima di chi ci prova ce la fa. Quindi consiglio di intraprendere questa strada con determinazione ma anche con consapevolezza…oggi tutti pensano di poter cantare o suonare uno strumento e diventare ricchi e famosi facendo questo…ma riuscirci è poco meno che vincere all’enalotto. Ci vogliono molto talento, studio, dedizione, fortuna e quando si raggiunge un obiettivo bisogna faticare il doppio per mantenerlo. Anche qui sono un po’ fatalista: se sei destinato a farcela ogni percorso è valido, non sono contrario ai reality…sono una strada possibile, non l’unica però!

Ci sono band che hanno ispirato e accompagnato il tuo percorso professionale? Se si, quali?

Se parliamo di ispirazioni allora ti dovrei citare tutte le band o la musica che ascolto. Gli ascolti cambiano molto in base al periodo e all’umore. Ma ti posso dire che ci sono due band che continuano a prendermi da tempo con la stessa intensità e sono i Beatles e i Radiohead.

Hai collaborato con diversi artisti, Malika Ayane, Pooh, Pino Daniele e molti altri. Da poco sei in tour con Francesco Renga. Tra tutte queste collaborazioni quali ricordi con maggior affetto?

Ogni esperienza è stata diversa. Me le ricordo tutte con orgoglio anche se sono una persona che tende a guardare sempre avanti, non mi volto nostalgicamente verso il passato.
La prima esperienza è sempre quella che ti segna di più e la mia prima collaborazione davvero prestigiosa è stato il mio primo tour con Pino Daniele nel 2007. Ero molto giovane e tutto era nuovo per me…ho imparato molte cose da allora ma conservo un bellissimo ricordo. Ovviamente il mio lavoro con i Pooh è quello che negli ultimi anni mi ha dato più lustro e visibilità. Abbiamo girato mezzo mondo facendo tantissimi concerti, un’esperienza incredibile. Mi piace comunque pensare sempre che il meglio debba ancora arrivare.

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