Ognuno di noi porta dentro di sé un ricordo, un luogo che gli è stato caro durante l’infanzia. Nel mio cuore vi sono tre luoghi che hanno visto una me bambina felice e scalza nella natura incontaminata. Il primo luogo è una casa di montagna, quattro piani scricchiolanti di legno quasi marcito, ma prati infiniti dove si correva senza sosta e pranzi al sacco insieme a tanti altri bambini. Il secondo luogo è la campagna soleggiata dove passavo le estati insieme ai miei nonni e ai miei cugini. Una casa sull’albero e un’altalena fatta a mano era tutto quello che ci serviva per essere felici. Il terzo luogo è il più sbiadito e anche il più doloroso. È la casa dove abitava mia nonna paterna in una provincia quasi sperduta del Veneto.
L’ho sempre tenuto caro dentro di me, e mai avrei immaginato di ritrovare quei paesaggi nelle poesie di un grande poeta come Andrea Zanzotto.
Andrea Zanzotto
Andrea Zanzotto è stato uno dei poeti più attivi nel ‘900 italiano e forse è anche per questo che ha sfiorato spesso la possibilità di vincere il premio Nobel per la letteratura.
Primizie del primo mese
Nevi appiattate là dietro: odore
di vento complicato nel suo vuoto-spinto
afrore di lontananze là in basso
tossiche tanto da creparsi
in combustioni
di sprofondamenti-tamponamenti a catena;
accavallarsi di foie metalliche
e poi a notte la perfusione
che scaturì a stridere il suo nome
a un uccello maligno
e poi ancora sole maligno di mille purezze
che ad ogni pulviscolo si declina
fischiando mina
Ah meglio ingolfati là dietro
con le immemori nevi, in odore
di santità elettroniche da bar,
con aghi, pixel, pus, frustoli di stars
Fa’ che fin là non mi prenda di mira la vampa di zolfo
che a notte balzò dalla strozza
dell’acqua-acquana
di Venezia pantegana.
Andrea Zanzotto, come si deduce da questa poesia, è nato in Veneto, per la precisione il 10 ottobre 1921 a Soligo.
Ma si trasferì insieme alla famiglia nel 1922 nella contrada di Cal Santa, e saranno questi luoghi, a partire dalla casa, il centro del suo mondo infantile, che lo ispireranno per la sua produzione poetica.
Presto Andrea mostra una precoce attitudine verso lo studio e riesce a saltare parecchie classi, fin dalla scuola elementare.
Ormai
Ormai la primula e il calore
ai piedi e il verde acume del mondo
I tappeti scoperti
le logge vibrate dal vento ed il sole
tranquillo baco di spinosi boschi;
il mio male lontano, la sete distinta
come un’altra vita nel petto
Qui non resta che cingersi intorno al paesaggio
qui volgere le spalle.
Con questa poesia, contenuta nella raccolta poetica Dietro il paesaggio, il giovane poeta Andrea si aggiudica uno dei suoi primi premi poetici. Infatti nel 1950 concorse al Premio San Babila per la sezione inediti, che vantava una giuria d’eccezione: Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli e Vittorio Sereni. Così, nel 1954 esce nella collana Mondadori Elegia e altri versi.
Perché siamo
Perché siamo al di qua delle Alpi
su questa piccola balza
perché siamo cresciuti tra l’erba di novembre
ci scalda il sole sulla porta
mamma e figlio sulla porta
noi con gli occhi che il gelo ha consacrati
a vedere tanta luce ed erba
Nelle mattina, se è vero
Di tre montagne trasparenti
mi risveglia la neve;
nelle mattine c’è l’orto
che sta in una mano
e non produce che conchiglie,
c’è la cantina delle formiche
c’è il radicchio, diletta risorsa
profusa alle mie dita
a un vento che non osa disturbarci
Ha sapore di brina
la mela che mi diverte,
nel granaio s’adagia un raggio amico
ed il vecchio giornale di polvere pura;
e tutto il silenzio di musco
che noi perdiamo nelle valli
rende lento lo stesso cammino
lo stesso attutirsi del sole
che si coglie a guardarci
che ci coglie su tutte le porte
O mamma, piccolo è il tuo tempo,
tu mi vi porti perch’io mi consoli
e là v’è l’erba di novembre,
là v’è la franca salute dell’acqua,
sani come acqua vi siamo noi;
senza azzurra sostanza
vi degradano tutte le sieste
cui mi confondo e che sempre più vanno
comunicando con la notte
Né attingere al pozzo né alle alpi
né ricordare come tu non ricordi:
ma il sol che splende come cosa nostra,
ma sete e fame all’ora giusta
e tu mamma che tutto
sai di me, che tutto hai tra le mani
Con la scorta di te e dell’erba
e di quella lampada precaria
di cui distinguo la fine,
sogno talvolta del mondo e guardo
dall’alto l’inverno del nord.
Come afferma il curatore del volume, Matteo Giancotti, per Zanzotto «il paesaggio non esiste in senso assoluto ma si manifesta come evento, accadimento che lega in un intreccio indissolubile e non descrivibile – se non per approssimazioni – la realtà del luogo e la condizione psico-fisica dell’uomo».
E quindi non c’è da stupirsi se Andrea Zanzotto lottò per la preservazione del paesaggio, anche se per lui la devastazione della natura ha delle profonde implicazioni metafisiche.
Infatti egli afferma: «Senza voler sottovalutare gli altri fattori, è in primo luogo nel paese e nei suoi dei che bisogna credere».
E ci auguriamo di continuare a credere.
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