Indro Montanelli: alla ricerca di un giornalista perduto

Per quanto ci possano essere le sue testimonianze, registrazioni, articoli di giornale, Montanelli mancherà a tutti. Manca il suo senso critico nell’impastare una notizia. 

“Su questo capitolo della nostra storia non si fa che continuare a raccontare bugie. E io sono convinto che sulle bugie non si possono costruire che altre bugie, e che proprio questo sia il peccato originale del nostro paese, quello che spiega tutti gli altri”.

È così che inizia una delle lettere di risposta di Indro Montanelli ad un suo lettore. La forma di scambio epistolare ricorda quelle di derivazione greca e latina: a domanda segue una risposta lunga e articolata che fornisce informazioni e chiarimenti non solo all’intestatario ma anche all’intera umanità. In questo caso si presenta un giovane che, entusiasta degli articoli di Montanelli su Mussolini e il Fascismo, pone frequenti domande su come fosse stato possibile che gli italiani abbiano permesso una tale rovina. A questo proposito il giornalista risponde che era inevitabile. L’Italia non era altro che un puzzle di terre diverse costrette ad unirsi per volontà politiche ed economiche e che si distruggevano a vicenda.

L’idea di scambiarsi opinioni su una pagina così delicata e complicata della nostra storia è geniale. È forse il modo migliore per confrontarsi e scardinare ogni dubbio sul fascismo e sui motivi di determinate decisioni. Infatti, anche per un giovane informato di attualità e interessato di storia è difficile capire tutti i meccanismi che hanno caratterizzato l’epoca fascista. Solo chi l’ha vissuta può capire. Solo chi era fascista può spiegare.

Fondamentale per far risaltare l’importanza di certi eventi è lo stile impiegato dal giornalista, il quale non prova vergogna o paura nel gridare, anche con una sottile ironia, che “una volta diventato regime, il fascismo soppresse le libertà e non le vite degli italiani”. Ormai gli anni di censura erano passati. Non poteva farsi scappare un’altra occasione. Quello che c’era da dire, Montanelli, lo diceva. Non c’era tempo per tirarsi indietro. Diversamente da molti italiani, lui non aveva paura di ciò che pensava. Anzi. È sempre stato coerente sia nelle parole che nelle azioni; infatti in alcuni casi non omette di dichiarare che il fascismo non è stato frutto di un uomo solo, bensì di centinaia di uomini che temevano di esprimere se stessi. Era Montanelli l’italiano anomalo o erano gli italiani ad accordarsi secondo il vento del momento? Furono proprio loro la causa prima della costruzione del regime. È inutile nasconderlo. Si cadrebbe nella stessa trappola di Mussolini. Spesso tra le righe, Montanelli lasciava libero spazio ai propri sentimenti e riflessioni. A volte sembra che un velo di malinconia, tristezza e delusione invada l’articolo: “Ricordo con quale disprezzo ci guardavano i tedeschi. «I soliti traditori» pensavano di noi italiani”.

Leggendo una parte della raccolta “Nuove Stanze”, ci si può immaginare l’entusiasmo e la soddisfazione dei lettori nel ricevere una risposta completa di contenuto, di emozioni, di riflessioni, immedesimandosi nel personaggio. Oggi  questo confronto sarebbe molto utile, perché i lettori spesso sbagliano ad interpretare un evento e danno adito a illazioni inutili che li buttano totalmente fuori dai binari, rallentando il loro apprendimento.

Un giorno potremmo esserci noi su quel treno.

 

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