Quando l’onomatopea è musica. La campanella di Paganini e le sue sorelle

Musicale: dolce, soave, armonico. E ancora: emozionante o divertente, purché coinvolgente. Potrebbe proseguire all’infinito la lista di aggettivi che noi associamo all’idea di musica. Difficilmente ci immaginiamo una musica che prende spunto dai rumori e dai suoni più inaspettati della nostra vita quotidiana. L’imitazione dei suoni, quella che in letteratura chiamiamo onomatopea, ha trovato espressioni imitazioni singolari e di successo anche nella storia della musica. In quella che ci pare la più idealizzata, complessa delle musiche, la classica, ha trovato posto con esempi famosi e di successo.

Un celebre esempio di onomatopea è rappresentato dal brano “La campanella” tema portante del rondò del concerto n.2 per violino e orchestra in si minore di Niccolò Paganini. Nell’intento dell’autore l’imitazione del suono della campanella mediante l’armonizzazione orchestrale o il virtuosismo dello strumento solista – in questo caso il violino – doveva richiamare l’attenzione sul tema portante del movimento. A questo motivo si ispirò il pianista ungherese Franz Liszt che ne fece una fortunatissima versione rielaborata per pianoforte solo. Ma non fu questo il solo caso di onomatopea divenuto celebre nella storia della musica. Il galoppo dei cavalli ispirò negli anni ’20 del XIX secolo il genere ballabile del galop o galoppade, in voga presso gli ambienti dell’alta borghesia viennese, parigina e londinese. Spesso il galop era il ballo conclusivo della serata. Un altro caso di galoppo musicato celebre nella storia della musica è la carica di cavalleria presente nell’Ouverture del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini.

Nei sobborghi boscosi della Vienna del XIX secolo i viandanti del fine settimana, stufi della routine quotidiana della capitale asburgica, usavano rifugiarsi nell’osteria Krapfenwaldel. Tra di loro doveva esserci probabilmente Johann Strauss Jr, che vi intitolo una polka francese, la “Im Krapfenwald’l”, meglio conosciuta come “Cuckoo Polka”. Particolarità di questa polka è che il tema principale è introdotto e intermezzato dal verso del cuculo reso da un particolare strumento che ne restituisce il suono. Restando nella regione del Danubio, sarà il compositore ceco Bedrich Smetana ad imitare in musica lo scorrere del fiume Vltava e l’atmosfera dei suoi paesaggi attraverso il poema sinfonico La Moldava. Il brano – inserito nel più ampio poema sinfonico Mà Vlast – è un viaggio musicale in 7 tappe: la sorgente, il cammino del fiume, la caccia nei boschi, la festa di nozze dei contadini, la pianura di notte, le cascate di s.Giovanni, l’attraversamento di Praga e lo sbocco del fiume nell’Elba. Di particolare effetto sono le rapidissime sequenze di archi e fiati a rendere la caduta dell’acqua a precipizio nelle cascate, o il timido pizzicato di archi che imita lo zampillare dell’acqua dalla fonte.

Un altro caso di onomatopea musicale si riscontra nell’opera “La Favola dello Zar Saltan”, composta tra 1899 e 1900 da Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov adattamento dell’omonima fiaba di Puskin. La fiaba narra dell matrimonio tormentato tra lo zar Saltan di Russia e Militrisa, terza di tre sorelle e oggetto della loro invidia. Non sfuggirà alla loro invidia nemmeno il piccolo principe Gvidon, cresciuto dalla madre in una lontana isola dopo un fallito tentativo di duplice omicidio. Scampato a mesi di reclusione in una botte insieme alla madre – è una favola, occorre ricordarlo – lo Zarevič Gvidon prova nostalgia per la terra del mai conosciuto padre Saltan. Per tornare in patria egli dovrà necessariamente trasformarsi in zanzara, moscone e infine calabrone. Ecco dunque il volo del calabrone, rapido interludio tra le scene del ritorno del piccolo principe in Russia, un vortice di rapidissime note che salgono e scendono dalla scala cromatica e ronzano nelle orecchie dell’ascoltatore a rievocare il ronzio del calabrone mentre sale e scende durante il suo volo. Fu il celebre pianista Sergej Rachmaninoff a produrre una versione per piano, celebre quanto se non più dell’originale.

 

Chi ha detto che un rumore non può fare musica?


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