Villa Diodati: a gothic story

Nel piccolo comune di cinquemila anime di Cologny, in Svizzera, sorge Villa Diodati. Ad un’occhiata superficiale potrebbe apparire come una delle tante ville di lusso che circondano il meraviglioso Lago di Ginevra, dai colori tenuti, il portico con colonne, immersa nel verde, illuminata da quel sole accecante che tanto bene si sposa con i paesaggi montani svizzeri. In realtà, la villa nasconde molto più di questo: nasconde una storia.
Era il giugno del 1816, e di sole accecante se ne vedeva ben poco. Tant’è che quell’anno fu registrato dai meteorologi di allora come “The year without summer“, l’anno senza estate. L’eruzione di un vulcano in Indonesia, nel 1815, aveva causato un abbassamento delle temperature in Asia, Nord America ed Europa, circostanza che, in questa parte del mondo, sarebbe stata compresa e registrata solo molto tempo dopo, e collegata con quel susseguirsi di giornate tetre, umide e fredde che infestavano quell’estate.

Protagonisti sono Mary Wollstonecraft, futura Mary Shelley; il suo fidanzato, il poeta romantico Percy Bysshe Shelley, con cui la diciottenne stava facendo un lungo viaggio, una fuga d’amore coi tempi di allora, in Europa; Lord Byron, il famosissimo poeta dalla vita irrequieta e decadente, descritto come “mad, bad and dangerous to know“; il medico personale di Byron, John William Polidori, stregato dal ipnotico ed irruento del suo mecenate; Claire Clairmont, sorella di Mary, che in passato era stata una delle amanti del famigerato Byron. Nei saloni di quella casa, Villa Diodati, un tempo abitata anche da Milton, si svolgevano lunghe conversazioni al lume di candela, tra questi intellettuali. La maggior parte di esse, stimolate dagli studi del dottor Polidori, e dalla fantasia puramente romantica dei poeti di casa, ruotavano attorno al galvanismo, al principio della creazione, alla scintilla della vita, riducibile, come si cominciava a credere, a nient’altro che ad una scarica elettrica.
Fu proprio Byron ─ e chi altri? ─  in quel clima freddo, poco adatto alle passeggiate sul lago, in cui le tenebre calavano attorno a mezzogiorno, a lanciare la “scommessa” letteraria: scrivere un racconto dell’orrore a testa. E come non immaginarli? Eccoli, tre delle più grandi personalità della letteratura inglese, e i loro compagni di viaggio, seduti attorno ad un massiccio tavolo in legno scuro, che si guardano negli occhi e decidono di volere aver paura. Per calarsi ancor meglio nell’atmosfera, si leggono ad alta voce brani dall’opera tedesca “Fantasmagoriana“, raccolta di racconti gotici. O il poema “Christabel“, del loro collega, nonché compatriota, Coleridge. In esso, la protagonista Christabel entra in contatto con la misteriosa Geraldine, che si scopre essere in realtà un demone. Sulle parole di questo poema, scandite dalla voce di Byron, Percy Shelley scatta in piedi, urlando. Ha avuto una visione, racconta, dopo essersi ripreso. Una donna mostruosa con un paio di occhi al posto dei seni. E così continua la serata. E non solo quella: è sbagliato pensare alla vicenda di Villa Diodati come l’esperienza di una sola notte. Fu un susseguirsi di notti, e di giorni simili a notti, di conversazioni e suggestioni più o meno tetre.
Reduce di una di queste intense sedute, una sera Mary prova a dormire, senza successo, e ha una visione, un incubo vivido. Incubo che le fu di ispirazione per scrivere il romanzo che la avrebbe resa famosa, “Frankenstein, o il moderno Prometeo“: uno studente accanto alla mostruosa creatura da lui assemblata, che dà segni di vita.
Altro figlio di questa particolare esperienza è “Il Vampiro” di Polidori. Nata da uno spunto lanciato da Lord Byron, l’opera ruota attorno alla figura di un vampiro, appunto, dalle fattezze eleganti, raffinate e viziose, riconducibili a numerosi poeti del tempo, in particolare ad uno di conoscenza di Polidori.

Fu uno di quei casi, insomma, in cui le circostanze che hanno ispirato il prodotto letterario sono quasi tanto interessanti e sorprendenti quanto il prodotto stesso. Qui, la cornice di un lago, un’estate più somigliante ad un inverno, ed una villa, Villa Diodati, che tutt’ora sta lì, coi suoi colori tenui, e il verde tutt’attorno. Essendo di proprietà privata, i suoi interni non sono visitabili; ma servirebbe davvero a qualcosa, visitarla come una mostra, o una curiosità qualsiasi? È più simile ad uno di quei rari posti, sparsi per il mondo, a cui basta semplicemente avvicinarsi, tendere l’orecchio e rimanere in ascolto.


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