E se stessimo vivendo tutti dentro un videogioco?

di Federico Lucrezi

Immaginate che le persone che vi circondano, il paesaggio fuori dalla finestra, il vostro gatto, la vostra città e naturalmente voi stessi, insomma tutto ciò di cui avete conoscenza, non esistano e non siano mai esistiti.

Immaginate che tutto quello che pensate di conoscere non sia altro che un impulso elettrico e che tutto l’universo in cui ci muoviamo sia semplicemente una simulazione computazionale di cui noi siamo l’inconsapevole oggetto.

Si tratta di una linea di pensiero molto antica che affonda le sue radici nella filosofia greca, traendo in particolare origine dal mito della caverna di Platone: uomini incatenati in una caverna fin dalla nascita –spiegava il filosofo interrogandosi sulla realtà delle cose– costretti a rivolgere lo sguardo contro la parete della grotta su cui dall’esterno siano proiettate le ombre di piante, persone e animali, non avendo alcuna esperienza del mondo reale alle loro spalle interpreteranno la caverna come l’unica realtà esistente e quelle ombre come figure reali.

L’idea che effettivamente tutto il mondo di cui abbiamo esperienza sia in realtà un’illusione di cui, prigionieri della nostra stessa dimensione umana, non siamo in grado di riconoscere la vera natura è sempre stata considerata del tutto fantascientifica, alla base di capolavori cinematografici come l’immenso The Matrix (1999). Recentemente tuttavia ha cominciato a essere presa sul serio da più di un membro della comunità scientifica e ad essere trattata come una vera e propria teoria, formalizzata nel 2003 dal filosofo svedese Nick Bostrom[1], dell’Università di Oxford, attualmente a capo del Future of Humanity Institute dell’ateneo britannico. La teoria si basa sull’ipotesi inziale che in un generico futuro (qualcuno ha poi ipotizzato che ciò potrebbe avvenire addirittura in appena qualche decina di anni, ma questo non è influente per la tesi del filosofo) si disporrà di una capacità di calcolo e conoscenze informatiche abbastanza avanzate da poter effettivamente avviare una simulazione computazionale della vita umana. Sarebbe pertanto ipotizzabile che una civiltà attualmente molto più avanzata della nostra stia operando simulazioni alle quali apparteniamo come intelligenze artificiali, semplice codice informatico. In questo contesto tutte le leggi fisiche che riteniamo governino il nostro mondo non sarebbero altro che la descrizione di come sia stata impostata la realtà simulata. Bostrom, consapevole dell’impossibilità di dimostrare la sua teoria, ipotizza che tale simulazione operata da una civiltà ultra sviluppata potrebbe essere semplicemente uno studio storico per conoscere forme di vita ancestrali oppure, perché no, una versione più elaborata del nostro The Sims.

Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello.

(Morpheus a Neo – The Matrix, 1999)

Il fascino e l’interesse suscitati dalla teoria l’hanno portata ad essere discussa all’edizione 2016 dell’Isaac Asimov Memorial Debate presso l’American Museum of Natural History di New York. Durante il dibattito, a cui hanno partecipato filosofi e fisici, sono stati trattati tutti gli aspetti a favore o in opposizioni legati alla teoria. In particolare Neil deGrasse Tyson, divulgatore scientifico e astrofisico americano, direttore del Hayden Planetarium del Museum, ha spiegato che le probabilità di vivere effettivamente in una simulazione computazionale sono piuttosto alte, ponendo tra l’altro l’attenzione sull’incongruente differenza intellettiva tra gli esseri umani e gli scimpanzé in relazione alla percentuale molto elevata di patrimonio genetico in comune. Tyson ritiene possibile la presenza di civiltà molto più avanzate della nostra: al loro cospetto sembreremmo degli idioti –ha spiegato– e in quel caso è facile immaginare che ogni cosa nelle nostre vite sia solo una creazione di altre entità, per loro semplice divertimento. Il giorno in cui capiremo che tutto ciò è vero sarò probabilmente l’unico nella stanza a non essere sorpreso –ha concluso.

Il vero problema, trattando l’idea della simulazione come una qualsiasi teoria, consiste nell’applicare il metodo scientifico per confermarla: non troveremo mai nessuna prova che confermi che non ci troviamo in una simulazione –ha sostenuto David Chalmers, professore di filosofia dell’Università di New York– perché qualsiasi prova potessimo trovare sarebbe anch’essa parte della simulazione.

Per ora rimangono discorsi da bar, o da seminario scientifico in questo caso, ma d’altra parte è sempre più evidente che quanto più espandiamo la nostra conoscenza dell’Universo e progrediamo nella comprensione delle sue leggi nella sua interezza, tanto più ci accorgiamo di quanto questo sembra essere perfettamente regolato da precise leggi matematiche. Troppo perfettamente per qualcuno, troppo precise. Se mi trovassi al posto di un personaggio di un videogioco sul computer –ha affermato il cosmologo del MIT Max Tegmarkfinirei per rendermi conto di quanto tutto appaia troppo rigido e matematico, semplicemente il frutto del codice con cui il gioco è stato scritto.

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Da un punto di vista più spirituale, infine, tutto questo risulta ben poco sconvolgente: la stessa perfezione matematica dell’Universo, che appare tanto più evidente tanto più la scienza si fa potente, attribuita a una forma di intelligenza superiore responsabile della sua creazione si sposa perfettamente con l’idea di un Dio creatore da sempre insita nell’essere umano. L’eterno conflitto scienza e religione potrebbe essere molto meno inconciliabile di quanto si pensi.

Ma qualora tutte le nostre intere vite non fossero altro che parte di una realtà virtuale, che cosa accadrebbe –si è chiesto Neil deGrasse Tyson in conclusione del suo intervento– se un bug o un errore di programmazione bloccassero improvvisamente tutta la realtà simulata?

 

[1] Nick Bostrom, Are you living in a computer simulation? (2003), Philophical Quarterly vol. 53


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