I grandi rifiuti dell’editoria, dal Gattopardo all’Ulisse

Recentemente J.K. Rowling ha pubblicato su Twitter due lettere in cui degli editori rifiutavano il suo ultimo romanzo. Un’esperienza di certo non nuova per l’autrice di Harry Potter, ma del resto il mondo dell’editoria funziona così: nessun libro sopravvive al meccanismo, né la Rowling né quegli autori che la letteratura l’hanno effettivamente cambiata. Ecco allora degli esempi illustri di grandi rifiuti dell’editoria, per i quali gli editori – oltre che per gli introiti – si sono mangiati le mani per il prestigio mancato.

Un esempio tutto italiano da fare è senz’altro Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la cui vicenda editoriale è diventata quasi leggenda, anche perché rifiutato da niente di meno che Elio Vittorini. Le versioni della vicenda sono varie, ma la più plausibile è che, pur comprendendo il valore letterario del romanzo, Vittorini non lo considerò adatto alla collana “Gettoni”. Così Tomasi non conobbe la pubblicazione se non dopo la morte, per poi essere però definitamente consacrato dal film di Luchino Visconti.

Il giudizio per Il Gattopardo era però in qualche misura ancora positivo, cosa che non si può dire per Lolita di Vladimir Nabokov. Questo fu definito “nauseante anche per un freudiano illuminatoda un editore americano, che consigliò spassionatamente all’autore “di seppellirlo sotto una pietra e tenerlo lì per almeno mille anni”. Un altro editore americano – T.S. Eliot! – rifiutò niente di meno che La fattoria degli animali di Orwell, non senza rammarico però: “Concordiamo che sia un notevole scritto” ma “non siamo convinti (…) che questo sia il giusto punto di vista da cui criticare l’attuale situazione politica.”

L‘imparziale editoria americana ha poi rifiutato anche molti suoi connazionali, destinati poi a segnare la letteratura del continente e non solo. Uno tra i tanti fu Fitzgerald, esponente di spicco del Modernismo, con l’opera più rappresentativa della corrente, Il grande Gatsby. Ma ancora più eclatante il rifiuto a un capolavoro della cosiddetta American Renaissance, uno di quelli simbol dell’American Mind: Moby Dick di Melville, scartato poiché “troppo lungo e tradizionale: non adatto al mercato dei giovani”, con il consiglio di scambiare il nemico del capitano Achab con “giovani e magari voluttuose signorine.”

Anche il Vecchio Continente ha però preso i suoi abbagli. Un esempio è quello di Alla ricerca del Tempo perduto di Proust: il primo volume Dalla parte di Swann fu stroncato da un Andrè Gide pieno di pregiudizi, che considerava Proust uno snob. In seguito a ulteriori rifiuti, l’autore fu costretto a pubblicare a sue spese, e presto arrivarono le scuse di Gide con una confessione particolarmente sincera sulle modalità di correzione. Infine perfino il mago del flusso di coscienza Joyce fu vittima degli inevitabili meccanismi editoriali, sia per Gente di Dublino – rifiutato 22 volte – che per Ulisse, rifiutato da un’editor che si definì irritata da questo liceale a disagio che si gratta i foruncoli” con il suo libro di “una noia mortale”. Ah sì, era Virginia Woolf, tanto per intenderci.

La conclusione evidente che possiamo trarre è che l’editoria non sempre comprende le opere, e così dà giudizi errati su queste. E per quanto sia il passaggio d’obbligo per la pubblicazione, in caso di rifiuto non deve diventare la tomba dell’opera stessa. Quindi, cari giovani scrittori – per riprendere quello che era l’invito di Rowling: non demordete, se la vostra opera ha valore verrà pubblicata. Ma conoscendo l’editoria attuale, più se non ha valore affatto.

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