Legittimare il fascismo: il Preludio al Principe

3 gennaio 1925: Mussolini si trova di fronte alla Camera dei Deputati per pronunciare uno storico discorso che porterà di lì a poco il Regno d’Italia a essere uno Stato totalitario. Molti storici del fascismo identificano in questa data il passaggio dalla fase autoritaria – iniziata con la Marcia su Roma nell’ottobre 1922 – alla fase totalitaria, che proseguirà fino all’arresto di Mussolini nel luglio 1943.

Per comprendere le parole del Duce, bisogna tornare indietro di circa nove mesi. Il 6 aprile 1924 il Partito Nazionale Fascista  vince le elezioni, aggiudicandosi la maggioranza in Parlamento. Il 10 giugno Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, dopo aver denunciato le condizioni antidemocratiche in cui si sono svolte le elezioni, viene rapito e ucciso da un gruppo di squadristi. Inizia così la cosiddetta Secessione dell’Aventino, il periodo più difficile per il nascente fascismo.

La rapida ascesa del movimento era stata possibile solo grazie alla violenza squadrista contro le leghe rosse, ma come si può spiegare il passaggio dagli scontri di piazza al rapimento e omicidio di un politico di opposizione di primo piano? Questo delitto esemplifica quanto i fascisti sentissero improvvisamente di essere saliti di grado; tuttavia, non costituisce un fatto del tutto imprevedibile.

Mussolini espresse la propria indole già l’anno precedente nel Preludio al Principe di Machiavelli, pubblicato sul mensile Gerarchia (di cui lo stesso Mussolini era direttore) nell’aprile 1924, pochi giorni dopo le elezioni. Il testo sarebbe l’unico frammento conosciuto di una presunta tesi di laurea scritta dal duce riguardo l’opera di Machiavelli.

Già dalle prime righe non viene fatto mistero dell’ammirazione provata per Machiavelli, al punto da definire Il Principe il “libro che io vorrei chiamare: Vademecum per l’uomo di governo”. Ed è così che, in questa pubblicazione, Mussolini dispiega la propria dialettica per rileggere il Principe con il probabile intento di giustificare e dare una sorta di illustre precedente alla propria politica.

Più precisamente, la prima parte argomenta l’assunto che considera attuali le conclusioni raggiunte nel Principe quattro secoli prima: gli uomini sarebbero solo una massa passiva che va governata e guidata senza compassione.

Su questa linea Mussolini costruisce la seconda parte del testo, in cui presenta la più forte delle proprie tesi – un’esplicita critica alla democrazia. A suo avviso, la democrazia sarebbe solo un trucco usato dai governanti per far credere al popolo di avere un ruolo nelle decisioni dello Stato, salvo poi rimettere effettivamente il giudizio al popolo solo per scelte di minima importanza. L’idea di Mussolini di buona politica è, di conseguenza, quella di svelare questo inganno perpetrato dai governi e instaurare un regime che sia dichiaratamente autoritario. Il popolo, cosciente della propria inutilità, si vedrebbe così riconosciuto il suo ruolo naturalmente sottomesso. In questo scenario c’è anche posto per una considerazione lapidaria che, in conclusione, fuga ogni dubbio residuo sulla concezione mussoliniana di vita politica: i profeti armati trionfano, i disarmati rovinano. È la violenza a fare la differenza, l’unico mezzo efficace per raggiungere, esercitare e mantenere il potere, perché a chi non crede più nello Stato, si può far credere con la forza.

Vuole il caso che al Preludio, accolto con molto sdegno da gran parte dell’opinione pubblica, la stessa che nemmeno un anno dopo si sarebbe gettata anima e corpo nell’esperienza fascista, avesse risposto, con un articolo intitolato “Machiavelli, Mussolini and fascism” pubblicato postumo a Londra nell’estate del 1924, proprio Giacomo Matteotti.


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