La bonaccia e il fuoco

L’amore dura tre anni, recitano un ben noto film tratto dall’omonimo libro.

Forse la passione, quella bruciante che sconvolge e stravolge, quel sentimento che ci tiene svegli la notte e ci fa dimenticare ogni cosa, quel sentimento totalizzante che permea il nostro cuore, lo stomaco, le viscere.

Margherita era sempre andata in cerca di quella passione.

Margherita si invaghiva di uomini di potere e bella presenza, colti e sicuri, almeno all’apparenza, di sé. Se ne invaghiva al primo sguardo e stregata si lasciava bruciare le interiora da quel fuoco vitale.

Ma su di lei questo aveva un effetto malsano.

Per chi come lei era  affetto da depressione bipolare un’emozione troppo forte era inevitabilmente l’inizio di una fase euforica.

Aveva trovato un ragazzo diverso che più che ardore aveva dato pace ai suoi giorni ed ai suoi stravolgimenti interiori.

Non era appassionato di letteratura.

Non era un leader.

Non si imponeva e non era possessivo.

E allora perché c’era stata tre anni? Perché aveva resistito tanto se non era  in fondo al cuore quello che lei desiderava?

Forse perché lei non aveva bisogno di passione, di fuoco, ma di mare in bonaccia.

Un mare che l’avvolgesse di cure e attenzioni.

Ma quei tre anni erano stati un incubo per entrambi.

Margherita si era lasciata ammaliare a più riprese da quel tipo di uomo vincente sopra descritto, aveva lasciato il ragazzo premuroso e si era ammalata finendo in ospedale.

Era stato così con Kyle, giovane predicatore laureato ad Oxford in Psicologia che aveva abbandonato tutto per annunciare il messaggio del Vangelo e viveva da nomade in una roulotte. L’aveva conosciuto fuori dall’università a Dublino.

Una settimana dopo era ricoverata al St Mary’s Hospital in preda al delirio.

La relazione con il ragazzo premuroso si era ricucita soprattutto grazie all’amore smisurato di lui che era andato a trovarla in ospedale e mai aveva smesso di amarla.

Era risuccesso un anno e mezzo dopo con Emanuele, giovanissimo docente di Oxford conosciuto ad una conferenza a Londra.

Uno sguardo, le bastava uno sguardo per pensare di aver intuito tutto s’una persona e amarla perdutamente, bruciare, bruciarsi come ti brucerebbe una droga.

Lasciò Jorge, poiché questo era il nome del ragazzo premuroso e una settiamana dall’incontro con Emanuele era di nuovo in ospedale, St Jorge Hospital di Oxford.

Ancora una volta Jorge l’aveva capita e, rinunciando ad ogni amor proprio e dignità per se stesso era tornato insieme a lei.

Dopotutto lei era speciale nella sua singolarità: un poco saccente, ambiziosa, ipercinetica e con mille passioni lo spingeva ad uscire dalla sua letargia, a migliorarsi. Lo prendeva sempre in giro in maniera assai sarcastica, ma la cosa a lui piaceva, in modo quasi masochistico.

Margherita era tornata da Londra all’Italia proprio per ragioni di salute.

La storia a distanza andava avanti, andò avanti finché lei non conobbe un giovane scrittore di fama nazionale, Alessandro, grandissima cultura che non esitava a mostrare, e cuore atrofizzato dal successo.

Del più forte sentire più forte figlia, questa è la definizione che un nostro noto letterato dà della poesia.

Margherita sputava le sue emozioni nere d’inchiostro su fogli candidi e pronti ad accoglierle perché il suo sentire era talmente forte che doveva trovare un canale, una via d’uscita per non farla impazzire.

E per Alessandro aveva riempito pagine fitte e belle, emozionate ed emozionanti. Uno studio pubblicato di recente Touched with fire, Toccato dal fuoco dimostra statisticamente come ci sia una stretta connessione tra disturbo bipolare ed arte e come i periodi più creativi nella vita di un artista bipolare siano proprio gli stati euforici.

Ispirazione e delirio o calma e pagina bianca? Che dilemma.

Margherita era finita per la terza volta in ospedale, con le sue carte, i suoi racconti, le sue poesie, dedicate ad un uomo che a mala pena conosceva e che non aveva mostrato grande interesse per lei.

Questa volta l’amore non bastò. Jorge non la volle più, non perché avesse cessato di amarla ma perché aveva deciso di prendersi cura di se stesso.

Margherita accusò il colpo solo diversi mesi dopo la fine della relazione, le mancavano la pace e la serenità che solo lui aveva saputo darle.

Le mancava essere trattata come una principessa fragile. Lui le mancava come ad un naufrago s’una zattera manchi il mare in bonaccia. Avrebbero dovuto sposarsi. Margherita temeva che nessuno avrebbe più potuto farla sentire amata e protetta a quel modo. Che stesse iniziando a crescere? A capire che il mare in bonaccia le era necessario più del fuoco bruciante e ispiratore? Per Jorge non aveva mai scritto nulla. No. Non era ancora matura e conscia a sufficienza.

Ma pregava, pregava il suo Dio che le mandasse un compagno, un amico che l’amasse e condividesse con lei le piccole e le grandi cose che la vita ci offre. Chiedeva una seconda chance. E il buon Dio la esaudì.

Lo conobbe ad un pellegrinaggio.

Anche lui era lontano anni luce dai suoi canoni di perfezione,  da quello che nella sua testa era l’uomo ideale. Ma la faceva stare bene, lui era come una torta al cioccolato che sazia ma non fa ingrassare, la sua ricetta perfetta. Leggeva poco, non era un oxfordiano, e la sua semplicità ed umiltà non avevano pari. Era diverso e speciale: come un adolescente soltanto farebbe le aveva donato una loro foto incorniciata per il loro primo mese.

La tentazione però era in agguato, aveva infatti conosciuto qualche mese prima del pellegrinaggio un altro ragazzo, Filippo. E per lui bruciava senza conoscerlo. E per lui scriveva senza sapere chi fosse.

Ma Margherita stava crescendo, non avrebbe più messo in croce chi la amava e avrebbe applicato una delle sue massime: we have to cherish rare things, e nella sua vita il mare in bonaccia era davvero raro.


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