Legàmi: il conformismo piace al cervello, ma non alle statistiche

Nel 2014 un rapporto Eurispes, basato su statistiche a larga scala, afferma invece che “il 75,2%, la maggioranza degli italiani, dichiara di essere un cattolico credente, ma è il 33,1%ad essere praticante; mentre il 42,1%, pur credendo, non pratica attivamente.”

Queste percentuali identificano una grossa fetta della popolazione come appartenente a un determinato culto, pur non avendo interpellato tutti gli italiani. Come tutte le statistiche, si basano su campioni scelti abbastanza casualmente, che si stimano come rappresentativi dei 50 milioni che sarebbe troppo costoso interpellare uno a uno. Si può dunque essere sicuri di queste proporzioni? La presenza di una maggioranza tanto evidente non può rischiare di nascondere le minoranze agli occhi di chi analizza i dati?

Se si intervistassero troppi pochi individui, è molto probabile che un gran numero (se non, per caso, tutti) apparterrebbero al gruppo predominante. Perciò per identificare le minoranze è richiesta una ricerca molto dispendiosa: i campioni devono essere molto ampi e si richiede a chi analizza i dati di tener conto del fatto che i valori ottenuti portano essere vicini, ma non necessariamente esattamente coincidenti con il valore reale.

Sarebbe molto più comodo, per quanto non corretto, fermare dieci persone per strada. Così facendo, per le vie del centro di Milano, 9 persone possono definirsi battezzate secondo il cattolicesimo e uno solo ateo, mentre basta spostarsi di qualche isolato, magari nei dintorni della sinagoga centrale o della chiesa ortodossa in zona colonne di San Lorenzo per ottenere tutt’altre risposte.

Anche le minoranze sembrano avere dunque una tendenza a cercare di essere in maggioranza, anche se su piccole aree e in piccoli gruppi. Basta concentrarsi in un determinato luogo, facendosi forza di una ricerca forte di appartenenza e identità all’interno di un gruppo che sembra essere addirittura innata nel cervello umano. Sono infatti state fatte ricerche anche scientifiche, con indagini radiologiche dei processi cerebrali che ci portano a conformarci al mondo più o meno grande che ci circonda.

Nell’accettare i valori della società che ci circonda sembrano essere coivolte, oltre alle aree ventrolaterali della corteccia prefrontale che normalmente regolano processi decisionali razionali, anche meccanismi di “ricompensa”. Si tratta di circuiti simili a quelli dell’effetto placebo, che causano produzione di neurotrasmettitori quali la serotonina, producendo una sensazione di benessere. Per dimostrarlo, ai soggetti di uno studio è stato detto, dopo l’espressione di una loro personale opinione su un qualsiasi argomento di ambito etico (ad esempio “restituiresti un portafoglio?”), che una grande percentuale di intervistati aveva risposto nello stesso modo. I partecipanti sono stati tuttavia solo una settantina, visti i costi e i rischi dell’imaging cerebrale. Si può considerare affidabile?


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