Legàmi: “Non ho niente da mettermi”, tanto non è una tua scelta

di Isabella Poretti

Quando ci svegliamo la mattina e siamo di fronte alla grande prova del “non ho niente da mettermi”, valutiamo attentamente cosa è bene indossare per quella particolare giornata, assecondando il nostro umore, valutando se sia meglio attenersi alla comodità o all’eleganza.

Moltissime variabili influenzano le nostre decisioni nel modo di vestire, così come moltissime altre variabili ci hanno portato a scegliere in negozio una determinata maglietta, un certo abito, un colore specifico.

Il nostro abbigliamento rivela la nostra personalità, i nostri gusti, il nostro carattere, le nostre idee, la nostra unicità.

È così bello e comodo credere in questa fandonia.

La verità è celata dietro il variopinto, finto e illusorio velo dei “dovrebbe”. Non importa la nostra estrazione sociale, la nostra disponibilità economica o la nostra personalità: quello che compriamo, i vestiti che indossiamo con tanta fierezza, sono sostanzialmente la stessa sbobba posta in un’unica mangiatoia da cui ci nutriamo tutti quanti, la sola differenza è costituita dall’etichetta diversa posta sui barili da cui deriva quell’unico pastone.

Il motivo per cui trovate ripugnante quel paio di pantaloni comprato l’anno prima è solo il fatto che vi hanno detto che ormai fa schifo.

Perché oggi comprereste subito quel micro top da Spice Girls anni ’90, mentre qualche tempo fa l’avreste considerato di cattivo gusto? Perché voi uomini vi fareste crescere la barba fino ai piedi pur di apparire un hipster alternativo in piena regola mentre prima consideravate questo look un segno di trascuratezza? E perché i quindicenni vanno in giro coi mocassini (cosa che francamente fa ribrezzo anche negli uomini di una certa età)?

Oggi vi piace, domani lo butterete via con velocità fulminea. E anche i gruppi ristretti e le correnti di pensiero che si identificano attraverso un abbigliamento preciso non sfuggono al fenomeno di massa e gli esempi sono parecchi: vi ricordate dal 2008 in poi come si vestiva la gente? Andare in giro per Milano era come un ritorno alla Londra punk anni ’70: giubbetti di pelle, abusi di borchie sugli abiti scuri e bikers.

Tra l’ira dei metallari e dei punk che di punto in bianco si sono visti confondere tra le fashion victim e i modaioli che indossavano magliette dei Sex Pistols senza sapere chi fossero, quel particolare piccolo gruppo identificativo sembrava svuotarsi piano piano del suo significato, delle sue caratteristiche e delle sue idee.

La moda investe con prepotenza e profana tutti i generi e tutti i look, li riporta in auge, e infine li rende insignificanti, restituendoceli come spazzatura che ormai caccia cattivo odore.

Ogni volta che mettiamo mano a un abito quante volte ci sentiamo davvero identificati e rappresentati da questo? Quante volte lo abbiamo comprato perché “ormai ce l’hanno tutti”? Quante volte ci siamo sentiti vanamente originali indossando una maglietta che pochi minuti dopo abbiamo visto su un’altra ragazza?

Non esiste originalità o libertà di vestiario in una società di massa. Quello che indossiamo sono divise, con molte variabili, certo, ma pur sempre divise. Nessuno ammetterebbe mai di essere un conformista e nessuno ammetterebbe mai di volerlo essere, ma è questo che siamo. Perché si sta così bene ad essere uguali agli altri in una società dall’opinione facile. Mantenere un profilo basso è il patto per stare bene nel recinto.

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