Legàmi: il ragno del libro accanto

Il ragno del libro accanto di Federica Tosadori

Quel rumoroso disordine di odori se lo sarebbe ricordato per sempre: “la mente è un caos incompiuto”, aveva letto una volta sopra un libro sul quale si era addormentato. Ovviamente si parlava di mente umana, ma in fondo non credeva che la sua di mente fosse poi tanto diversa. Aveva pensato: è proprio questo il bello del caos in fondo: non essere mai definitivo, c’è sempre ulteriore spazio per aumentarne le dimensioni, per aggiungere disordine al disordine. Quando tutto è nel punto giusto, nel posto che gli è stato da non si sa chi assegnato cosa c’è da fare oltre? Come si può aggiungere ordine all’ordine, quando tutto è stabilito? Alcuni direbbero che è meglio così, che la calma che deriva dall’ordine delle cose sia il punto di arrivo, la consapevolezza maggiore che un essere possa raggiungere. Ma lui non era d’accordo. Per questo si sentiva a suo agio in quel disordine di odori e libri, perché solo così poteva giocare a distinguerne provenienza e significato, solo così sfidava se stesso a scovare la sua pista, e dunque il luogo giusto dove stabilirsi e infine vivere.

Viveva in una libreria.

Era un luogo grande, luminoso, riflettente. Riflettente perché tutto ciò che accadeva fuori, filtrato dalle grandi finestre di vetro spesso, rimbalzava sugli scaffali, sul dorso dei libri, sui pavimenti lunghi dei corridoi. C’era la pioggia e dentro pioveva e i libri si bagnavano, le parole si scioglievano. C’era il sole e dentro splendeva la luce calda, asciugava la fine dei romanzi. C’era la neve e dentro intorpidivano le urla e i dolori dei saggi storici. C’era il buio della notte, banale e semplice come tutte le notti del mondo, e dentro sognava la dolcezza di certe notturne poesie banali e semplici come tutte le poesie del mondo. C’erano le nuvole e dentro implodeva la bellezza nascosta in certe idee mute, di certi amori non corrisposti. Il pomeriggio dopo pranzo, dilungato verso le cinque, l’ora del tè: questo era il momento migliore nella libreria. Quando vibrava l’atmosfera con quel suo sole appoggiato al cielo inesorabilmente consapevole della fine, con quella sua pioggia carezzevole e le nuvole grigie e pallide come dei volti umani, allora il disordine più bello regnava. Entravano clienti, passeggiavano, chiacchieravano e si portavano dentro tutti gli odori delle strade, odori di cibo, odori di altre persone con cui avevano scambiato odori, odori di odori di altre città, odori di odori di odori di qualche ricordo dimenticato. Oh era un tripudio meraviglioso di parole inespresse!

Tra i libri sugli scaffali succedeva di tutto: succede sempre di tutto tra i libri.

Lui tra i libri letteralmente ci viveva. Tesseva i fili della sua esistenza tra un saggio critico e un libro di poesie, e il giorno dopo ancora cambiava, e allora i confini della sua casa diventavano romanzi classici e nuove scoperte letterarie dalla vita breve. Si muoveva veloce sulle lettere nere dei titoli e sui nomi troppo grandi degli scrittori bisognosi di urlare il proprio nome effimero. E poi semplicemente osservava: esseri umani vestiti in modo strano cercavano un appiglio, lì dentro. Gli sembrava che entrassero sempre in procinto di sciogliersi come delle gelatine molli, non avevano fondamento. Correvano dentro come a cercare rifugio e ossigeno, si appendevano disperati alle prime pagine che trovavano e ritornavano lentamente a respirare. Scorrevano occhi secchi su altrettanto secchi fogli e poi tutto diventava più morbido: i loro occhi e i fogli stessi. Come fiori rinascevano e piante rigogliose di desideri possibili crescevano dalle pupille, crescevano dalle parole.

Lui era solo un ragno, dai mille occhi, dalle mille zampe, dai mille sensi sviluppati. Eppure più di un essere umano percepiva gli inizi delle cose e il mondo riflesso; la paura lo faceva scappare e gli insegnava a costruire ragnatele spesse e vibranti, fili invisibili a collegare Tolstoj e D’Annunzio, Baudelaire e Shakespeare, Marx e Proudhon. Che gran capolavori… quelle sue ragnatele! Come fiocchi di neve sempre diverse, come gocce bagnate di acqua sempre uguali. Eppure un giorno si sentì dire che quello spazio non poteva essere tutto suo. C’era un altro ragno, come lui, a condividere i suoi sensi di ragno.

«Non puoi dirmi che devo condividere questo mio posto con te. Non so chi tu sia, questi sono i miei libri e tu sei appena arrivato.»

«Io veramente sono qui da quindici anni, tu?»

Già non sapeva più come rispondere: non era possibile che fossero in quel posto dalla stesso tempo e non si fossero mai visti.

«Io… di più, vattene.»

«Perché? Abbiamo sempre vissuto uno accanto all’altro, spostandoci nella notte sugli scaffali: andava bene solo perché non te ne sei mai accorto?»

«Non dire sciocchezze, tu sei appena arrivato, questo è il mio regno, tutto il mio potere è qui, in questo disordine di libri e di esseri umani che odorano di cose di mondo e si appendono ai libri come a salvarsi… non posso per nessun motivo permettermi di concederti dello spazio.»

«L’hai sempre fatto, solo che non lo sapevi. Sono sempre stato qui, a distanza di un paio di scaffali, a distanza di poche parole nere… sono il ragno del libro accanto!»

«Non posso accettarti, sei maledettamente uguale a me, mi fai paura. Io qui sono libero di essere unico e di vivere anarchicamente.»

«Continuerai a esserlo, libero, autonomo e anarchico. Ti rispetterò.»

«…»

Il ragno ci provò davvero ad accettare lo sconosciuto suo simile, ma il pensiero che qualcuno potesse condividere le sue emozioni, potesse accorgersi del riflettersi del mondo in quel luogo, potesse assaporarne il disordine di odori, lo faceva impazzire. In modo anarchico aveva sempre vissuto e in modo anarchico il ragno desiderava continuava a tessere i suoi fili dondolanti tra Leopardi ed Emily Dickinson. Così glielo disse:

«Non posso sopportare la tua presenza, la tua estenuante somiglianza. Sento che la pensi come me, che percepisci il mondo riflesso e che osservi crescere piante di desideri dagli occhi secchi degli esseri umani quando leggono e si appigliano alle parole…»

«Vorresti esistere in modo anarchico? L’anarchia è il saper vivere insieme in modo ordinato senza imposizioni e dunque senza imporre, con rispetto e comprensione di quella che è libertà altrui… Dovresti saperlo, vivi tra i libri!»

«Che cosa stai dicendo? In modo ordinato? Cosa me ne importa a me dell’ordine? Io amo questo disordine, amo sentirne la potenza, la sua potenza di cambiamento.»

«Allora accettami, io ne faccio parte, di questo tuo amato disordine.»

Ma prima che il ragno potesse abituarsi alla presenza del suo nuovo compagno la libreria dovette chiudere: nel mondo di fuori era “crisi”. Per quanto la mente dei ragni potesse essere simile a quella umana, quei due microbi non capivano davvero cosa fosse la “crisi”; sapevano però che inevitabilmente si era riflessa come tutto il resto degli eventi esterni nel mondo di dentro, nel disordine libresco in cui vivevano. Le parole nella notte avevano cominciato a urlare la loro frustrazione: si sentivano ora soli, tutti i libri, senza nessuno che potesse apprezzarli, che potesse capirne il senso, ora che gli esseri umani si erano perduti tra bisogni che non contemplavano la necessità della bellezza, della letteratura, dell’arte: c’era la “crisi” e non ci si poteva permettere certo di spendere soldi in parole. Non potevano più cercare rifugio lì dentro, chiedere aiuto in silenzio, leggendo.

«Bhè visto? Alla fine dobbiamo andarcene entrambi; questo posto diventerà forse un mini market e certamente noi non saremo i benvenuti.»

«È tutta colpa tua! Da quando sei comparso tutto ha cominciato ad andare a rotoli ed è scoppiata questa “crisi”. Io stavo così bene qui da solo, a regnare sul disordine…»

«Più disordine di quello che provoca questa “crisi” non credo tu possa averne, dovresti essere felice di uscire, di vedere davvero cosa il disordine puro comporta, come gli esseri umani che tanto ti piacciono reagiscono a questa “crisi” forse economica, forse culturale, forse di valori, forse semplicemente umana o forse tutto insieme. Fuori è anarchia no? Quello che volevi.»

«Tu mi avevi detto che anarchia è saper vivere in modo ordinato, senza imporsi, rispettando la libertà degli altri… quindi quello che sta accadendo la fuori non è anarchia se qualcuno sta imponendo delle regole economiche, culturali, di valori o forse semplicemente umane.»

Il suo nuovo compagno come divertito, se ne stava andando senza controbattere, così come era comparso, improvvisamente un giorno.

«No aspetta! Non… non andartene, per favore.»

«Ora hai improvvisamente bisogno di me?»

«Non ho bisogno di te, è solo che ho paura di perdermi, in quel mondo di fuori dove le cose sono vere e non riflesse, non filtrate da parole, da vetri spessi, da scaffali impolverati, da pagine di carta secche. Là fuori gli odori sono puri e forti e costanti e il disordine fa davvero rumore e credo che seguire il mio istinto di tessitore di legami lì sarà molto più difficile.»

«Dunque hai bisogno di me?»

Senza dirsi più niente i due ragni zampettarono nel mondo di fuori, insieme salutando il disordine di libri in cui avevano vissuto ordinatamente, uno accanto all’altro, a distanza di poche parole.


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