La storia del paradosso ha una lunga tradizione che inizia nell’antichità, con Zenone di Elea nel V secolo a.C., coi suoi paradossi contro la molteplicità e contro il movimento (il paradosso di Achille e la tartaruga o della freccia). Nel corso dei secoli molti filosofi e pensatori hanno utilizzato i paradossi nelle loro argomentazioni fino al pensiero moderno con il filosofo Bertrand Russel e il suo paradosso del barbiere sopra citato e da lui usato nello studio della teoria degli insiemi e della gerarchia dei diversi tipi. Lo studio di Russell, infatti, mise in luce alcune contraddizioni della matematica racchiuse nella sua antinomia che: “l’insieme di tuti gli insiemi che non appartengono a sé stessi appartiene a sé stesso se e solo se non appartiene a sé stesso”, come appunto lui esemplifica nel paradosso del barbiere.
In conclusione, estremizzare la realtà nel paradosso ci può aiutare ad intraprendere delle strade di risoluzione o perlomeno di ricerca di risposte e di validazione di alcune teorie di cui è costellata la nostra storia del pensiero. Attraverso la tensione tra ragione ed esperienza, che trova la sua applicazione nella contraddizione come condizione ineliminabile dell’esistenza, il paradosso, senza trascinarci in un buco nero concettuale può diventare un’affascinante terreno d’esplorazione filosofica.
FONTI:
Piergiorgio Odifreddi, C’era una volta un paradosso, Einaudi, Torino, 2004.
Nicholas Falletta, Il libro dei paradossi, Longanesi, Milano, 2005.
Franca D’agostini, Paradossi, Carocci editore, Roma, 2009.
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Il paradosso come stimolo e provocazione per uscire dalla logica dell’opinione comune e per argomentare su verità apparenti e finzioni. Immerso nella realtà quotidiana, il paradosso ci circonda e ci investe non solo nella sua dimensione percettiva e sensoriale ma soprattutto in quella dell’immaginazione concettual