I am not a doll: un progetto fotografico per raccontare l’anoressia (p.1)

Un’intervista al fotografo Andrea Tuber, ideatore del progetto

Noi de Lo Sbuffo abbiamo intervistato Andrea Tuber, tecnico informatico appassionato di fotografia, che ha curato un progetto fotografico davvero speciale. Si tratta di un lavoro che ha lo scopo di sensibilizzare su una delle problematiche più diffuse tra gli adolescenti: i disturbi del comportamento alimentare.

Il progetto nasce come progetto fotografico, ma ha una profonda valenza simbolica.  Protagoniste del progetto, che potete andare a guardare sulla pagina Instagram, sono da una parte le Barbie, canoni indiscussi di perfezione (… ma ne siamo poi così sicuri?) e dall’altra le ragazze, ragazze che per molto tempo hanno sofferto, appunto, di anoressia.

Andrea Tuber ci racconta

“Questo progetto fotografico ha lo scopo di far conoscere meglio una malattia che troppo spesso viene sminuita, ma che invece colpisce tante persone. Abbiamo voluto metterla sotto i riflettori per fare informazione e prevenzione. All’interno del progetto fotografico, vengono raccolte storie di ragazze che hanno voluto testimoniare ciò che hanno vissuto in prima persona. Solo chi ha vissuto questa situazione sulla propria pelle può dire quanto l’anoressia sia insidiosa e pericolosa, e far capire quanto sono diverse le cause che sfociano in questa patologia come esito. Perciò, alle foto, si aggiungono racconti, sfoghi, pensieri, consigli che le protagoniste hanno voluto condividere.”

È il racconto di una questa metamorfosi, gioco simbolico sottile, con cui si vuole portare all’attenzione un argomento serio: quello dei DCA (disturbi del comportamento alimentare).

Fare prevenzione e informazione

Continua Andrea:

“Non ho voluto fotografare corpi nudi eccessivamente magri, come fece Oliviero Toscani, che ho conosciuto. Non ho voluto farlo perché ritengo che sia un po’ svilente: temo che a volte le persone, di fronte a queste immagini forti, preferiscano far finta di non vedere. Ho voluto farlo a modo mio.

progetto fotograficoprogetto fotografico

Questa malattia si insidia soprattutto tra gli adolescenti e io voglio fare prevenzione e informazione, catturando l’attenzione degli adolescenti per dire che ‘va bene’ prendere come modello la Barbie, che è anche simbolo dell’emancipazione femminile… se ci pensiamo, Barbie ha tutto: bella casa, bel lavoro, bel fidanzato, bel corpo. ‘Va bene’ anche seguire i canoni di bellezza che ci impone la società, le modelle, le influencer. Però dico: attenzione!

Questi obiettivi non sono sempre veri, nel senso che Barbie non esiste nella realtà. Non sono obiettivi sempre raggiungibili. E non raggiungere tali stereotipi può portare alla frustrazione e a dinamiche patologiche difficili da gestire. In questa patologia, se si supera il limite, è difficile tornare indietro. È ovvio poi che dietro questi disturbi ci sono tanti altri motivi o dinamiche: problemi affettivi, di autostima. Ma da qualche parte bisogna iniziare. E io ho pensato di iniziare dall’aspirazione alla perfezione che pervade la nostra società”.

Non per forza il diverso è sbagliato o un errore

Andrea aggiunge: “Mi piacerebbe far capire che non per forza il diverso è sbagliato o un errore. Bisogna accettarsi per ciò che si è. E dare più importanza al contenuto piuttosto che al contenitore. Anche perché poi i modelli di perfezione nella vita reale non esistono… niente è davvero perfetto, e l’apparenza inganna.”

Questo progetto fotografico utilizza la tecnica del morphing, tecnica digitale che permette di fondere due o più foto insieme.

“Lo scopo? Raccontare la metamorfosi non solo fisica ma anche psicologica di queste ragazze. Ad un corpo sempre più magro si accompagna una sempre più crescente perdita delle emozioni. Il loro corpo viene fuso con una barbie simile alla persona in questione. Una volta scelta la barbie, la mia amica Deborah, che è parrucchiera, mi aiuta a creare anche le pettinature simili, uguali alle ragazze. Il risultato è questo ibrido dove non si è né persona né barbie. Ed è ciò che avviene secondo me anche in queste ragazze. Anche nei sentimenti: il cuore diventa di plastica, non si avverte più niente, non si sente di avere un problema, non si ascolta la famiglia.”

“Ho voluto raccogliere le testimonianze delle ragazze che hanno vissuto in prima persona la malattia, e la maggior parte ne è uscita. Molte ragazze che ne sono uscite e hanno partecipato al progetto vogliono far capire che non è un semplice capriccio, ma una malattia estremamente pericolosa. A me piacciono molto i messaggi di speranza, che possono aiutare chi si trova in un periodo buio. Per come l’ho pensata, i racconti sono fondamentali in questo progetto, per far conoscere di più quanto può essere grave questa malattia che spesso viene sminuita”.

Nella seconda parte dell’articolo ulteriori approfondimenti.


FONTI
Intervista ad Andrea Tuber (profilo instagram)
CREDITS
Copertina
Le immagini provengono dal progetto

 

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