Giorgio Manganelli parlava di sé così:
Perché io scrivo? Confesso di non saperlo, di non averne la minima idea e anche che la domanda è insieme buffa e sconvolgente. Come domanda buffa, avrà certamente delle risposte buffe: ad esempio, che scrivo perché non so fare altro; o perché sono troppo disonesto per mettermi a lavorare.
Se qualcuno gli dava l’appellativo di scrittore, lui replicava:
Intanto, che sono uno scrittore lo sta dicendo lei. È un’illazione o una diffamazione.
Una personalità, quella di Manganelli, sicuramente particolare: una penna che ha prodotto tantissime opere, sperimentando una moltitudine di forme e di generi. Critico, scrittore, traduttore, giornalista: uno degli autori più straordinari del nostro Novecento e, contemporaneamente, uno di quelli meno conosciuti e studiati.
Nota biografica su Giorgio Manganelli
Giorgio Manganelli nasce a Milano il 15 novembre del 1922, in una famiglia di umili origini. Studia, si laurea in Scienze Politiche e inizia ad insegnare lingua inglese. Nel mentre coltiva una certa passione nello scrivere poesia. Quando scoppia la bufera della seconda guerra mondiale, non si tira indietro: partecipa alla Resistenza. Nel 1945 viene condannato a morte ma poi, forse per miracolo, i nemici ritirano la condanna. Durante il caos vitalistico della liberazione, si trasferisce a Roma: inizia una fase di lavoro intensissima.
A Roma collabora con la RAI e, in questo modo, entra a contatto con le personalità più interessanti dell’epoca: Umberto Eco, Vittorio Sermonti, Italo Calvino, del quale Manganelli scrisse che sembrava <<uscito come Minerva dal cervello di Giove, maturo e armato di tutte le sue doti>>.
Giorgio Manganelli aderisce al Gruppo 63: un movimento neo avanguardista, che cercava di rivoluzionare il clima letterario del periodo.
Una letteratura cinica
Giorgio Manganelli, quindi, di influenze e di ispirazioni ne ha avute parecchie. Eppure si è sempre distinto da esse: ancora oggi, è impossibile categorizzare la sua produzione poetica all’interno di un singolo gruppo letterario. Sarebbe limitante farlo. Soprattutto perché, alla base di un’innumerevole produzione, abbiamo una visione della letteratura del tutto innovativa: per lui, è una specie di magia. Un incantesimo che prende la realtà per trasformarla in menzogna. Nel sortilegio letterario, secondo Manganelli, la realtà è ridotta a un puro gioco di forme e di suoni. E la sua è una visione cinica della letteratura, quasi spaventosa: ed è stato lui stesso a dirlo.
Non v’è dubbio: la letteratura è cinica. Non v’è lascivia che le si addica, non sentimento ignobile, odio, rancore, sadismo che non la rallegri, non tragedia che gelidamente non la ecciti, e solleciti la cauta, maliziosa intelligenza che la governa. […] Corrotta, sa fingersi pietosa; splendidamente deforme, impone la coerenza sadica della sintassi; irreale, ci offre finte e inconsumabili epifanie illusionistiche. Priva di sentimenti, li usa tutti. La sua coerenza nasce dall’assenza di sincerità. Quando getta via la propria anima trova il proprio destino.
Queste sono le indicazioni che Manganelli ci ha fornito per interpretare la sua poetica.
È questo il libretto di istruzioni che abbiamo tra le mani quando apriamo i suoi libri. In essi troviamo una spericolata ricerca lessicale: arcaismi, neologismi, figure retoriche. Una scrittura caratterizzata da un estremismo espressivo, con forme raffinate e l’utilizzo dell’ironia e della parodia.
Tutto questo perché?
Perché per lo scrittore non contava il contenuto di un testo, ma la forma. Non c’era nulla, se non la parola nella sua essenza più pura. La letteratura, per Manganelli, non conteneva nessuna funzione etica, morale o psicologica: d’altronde, per lui, la letteratura è un’attività da buffoni che s’illudono di essere portatori di messaggi per l’umanità.
Lo scrittore sceglie in primo luogo di essere inutile.
Eccolo, di nuovo, che irrompe prepotentemente sulla scena: il cinismo.
E l’uomo?
Il cinismo non ha risparmiato neanche la visione che Manganelli ha dell’essere umano: un groviglio di cellule, misteriosamente legate insieme.
Giorgio Manganelli, in conclusione, non si può non definire un uomo “tormentato”.
Cinico, sicuramente, ma anche uno sperimentalista e innovatore. Un uomo dal temperamento particolare, ma che ha reso questa peculiarità la sua fonte di ispirazione. Da essa, infatti, ha creato l’arte.
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