“E nel vero Sebastiano nel fare i ritratti di finitezza e di bontà fu sopra tutti gli altri superiore.”
Come è risaputo, il periodo storico-culturale compreso tra la seconda metà del ‘400 e la prima metà del ‘500 vide nella Penisola un vero e proprio profluvio di produzione artistica, poetica e letteraria. Sotto la denominazione di “periodo rinascimentale” rientrano un’infinità di figure illustri che, sullo scorcio del XV e alle porte del XVI secolo, contribuirono ad arricchire una già millenaria tradizione artistico-culturale.
Né si può ridurre tale arricchimento ad un solo ambito geografico, giacché il proliferare degli Stati regionali tra ‘400 e ‘500 contribuì a rendere lo Stivale un microcosmo brulicante di infinti epicentri culturali: da Milano a Venezia, da Mantova a Ferrara, da Firenze a Roma, da Urbino a Napoli, tutti centri di potere propulsori delle nuove istanze artistiche rinascimentali.

Ad una tale costellazione di poli culturali fece eco un’altrettanto feconda costellazione di personaggi eminenti, oggi entrati nel mito per la loro incomparabile grandezza artistica. Nomi come Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Bellini, Mantegna, Botticelli etc. sono noti a tutti e in tutto il mondo. Ma nella infinita costellazione di pittori e artisti attivi nel periodo rinascimentale (o immediatamente dopo), ve ne sono anche diversi che, quantomeno al grande pubblico, spesso passano in sordina al cospetto dei roboanti nomi di cui sopra (ovviamente non agli specialisti).
Eppure si tratta di artisti, come pittori e/o scultori, ai quali Giorgio Vasari, apripista della storiografia artistica in Italia, dedicò pagine memorabili delle sue Vite.
Sebastiano del Piombo (1485-1547): tra Venezia e Roma
Soprattutto ve ne sono alcuni per i quali il Vasari ebbe uno speciale occhio di riguardo, in quanto considerati come trait d’union di due o più ambiti artistico-pittorici presenti nella penisola.
È questo il caso del pittore veneziano d’origine (ma romano d’adozione) Sebastiano del Piombo, la cui parabola artistica e dunque estetica può essere compresa soltanto considerando i contatti artistici avuti nelle due città tra le quali fu conteso e che nel primo quarto del ‘500 si apprestavano a diventare le capitali indiscusse della pittura italiana: Venezia e Roma.
Nato nel 1485 a Venezia, figlio del ricco mercante Luciano Luciani, Sebastiano si forma e cresce nella Serenissima, dove studia e compie i suoi primi lavori fino al 1511. Curiosamente però, la prima forma d’arte con la quale il giovane artista entrò in contatto fu la musica, tanto da farsi conoscere in giovinezza anzitutto per le sue doti musicali, almeno secondo quanto riporta nelle Vite Giorgio Vasari, il quale scrive:
“Dicono che Sebastiano in Vinegia (Venezia) nella prima sua giovinezza si dilettò molto de le musiche di varie sorti. […] il liuto […] lo fece sempre onorare e fra i gentiluomini di quella città per virtuoso conoscere.”
Paradossalmente quindi il pittore si fece conoscere e iniziò la sua “carriera” anzitutto come “ottimo liutaio”, ricevendo onori ed elogi per le sue doti musicali. Una caratteristica, questa, che lo accomuna al contemporaneo Leonardo, il quale si presentò alla corte di Ludovico il Moro non solo come pittore, ma anzitutto come “inventore” e suonatore di un modello di liuto da lui inventato…ma questa è un’altra storia.
Tra Bellini e Giorgione…cercando Michelangelo
Inizialmente l’avvicinamento all’arte pittorica da parte di Sebastiano del Piombo avvenne a contatto con uno dei più grandi maestri della pittura veneziana del tempo: Giovanni Bellini.
Ed è il Vasari a testimoniare come il giovane Sebastiano “con Giovan Bellino fece i principii dell’arte”, ossia apprese i principi e i rudimenti dell’arte pittorica dal maestro veneziano, salvo poi distaccarsene ed entrare per un medio-lungo periodo nella bottega del “mitico” Giorgione, che rivoluzionò l’attività pittorica lagunare, introducendo quella pittura tonale che lo storiografo aretino definisce caratterizzata da “un certo fumeggiar di colore”.
Già da queste sintetiche informazioni si può dedurre che il giovane Sebastiano del Piombo plasmò il suo stile pittorico facendo forza da un lato della “maniera” belliniana e dall’altro lato da quella giorgionesca. Ciò del resto è confermato in primo luogo dall’analisi stilistica delle opere giovanili, ma anche dalle parole dello stesso Vasari, che scrive: “egli prese una maniera che teneva forte delle cose di Giorgione e di quelle di Giovan Bellino ancora.”
Esiti stupefacenti di questo primo periodo artistico, nei quali si può rintracciare al contempo lo stile belliniano e giorgionesco, sono dipinti quali il Giudizio di Salomone (1505-1510 ca.), la Salomé del 1510, oppure ancora un Ritratto di donna come Vergine saggia dello stesso anno.



Un pittore veneziano a Roma
Dopo l’apprendistato contesto tra Bellini e Giorgione, il vero momento di svolta nella carriera pittorica di Sebastiano del Piombo avvenne attorno al 1510/1511, allorché a Venezia conobbe il mercante e mecenate romano Agostino Chigi (1465-1520), il quale convinse Sebastiano (allora venticinquenne) a trasferirsi con lui a Roma.
Il trasferimento a Roma fu un evento determinante per il giovane pittore. Il primissimo intervento pittorico (oggi purtroppo deteriorato e pesantemente restaurato) che Sebastiano del Piombo compì fu per le decorazioni parietali degli interni di Villa Farnesina, progettata per Agostino Chigi da Baldassarre Peruzzi e decorata al suo interno da un magnifico ciclo di affreschi eseguiti da Raffaello e integrati nel 1512 proprio da Sebastiano del Piombo, al quale Agostino commissionò il completamento delle pitture degli architravi delle logge con otto scene dalle Metamorfosi di Ovidio.
Degli interventi pittorici di Sebastiano in Villa Farnesina restano ancora oggi tracce importanti, tra le quali un Polifemo a fresco (ma completato con interventi a secco a olio) realizzato accanto Al trionfo di Galatea, quest’ultimo di mano raffaellesca.

Al di là dei contenuti dipinti, ciò che vale la pena sottolineare è che il venticinquenne Sebastiano del Piombo introdusse così per la prima volta a Roma la “maniera veneziana”, quella pittura tonale così diversa dalla plasticità della “maniera romana” tanto che il Vasari non può fare a meno di far notare l’importante novità stilistica introdotta da Sebastiano, scrivendo in ben due passaggi delle Vite:
“Per avere egli da Giorgione imparato un modo morbido di colorire, ne tenevano in Roma un grandissimo conto.”
“[…] Sebastiano fece cose poetiche di quella maniera che aveva recato da Vinegia (Venezia), molto disforme da quella che usavano in Roma que’ valenti pittori.”
La concorrenza di Raffaello e il sodalizio con Michelangelo
Com’è riportato sempre nelle Vite (fonte privilegiata per gli studi su Sebastiano del Piombo), il pittore veneziano si inserì perfettamente nell’ambiente artistico competitivo (per non dire “agonistico”) che caratterizzava all’epoca la città capitolina e che oscillava tra due poli indiscussi: Michelangelo e Raffaello.
Il pittore urbinate in particolare, godeva di maggiori stime da parte dell’aristocrazia romana e pontificia che, come riporta Giorgio Vasari, “aderivano più alla grazia di Raffaello, che alla profondità di Michelangelo”. Del resto è ormai risaputa la scontrosità del carattere di Michelangelo, che tuttavia non esitò a cogliere la portata innovatrice della pittura di Sebastiano del Piombo, ponendolo sotto la sua ala protettiva e stringendo con lui un sodalizio che durò parecchi anni.
Ed è proprio nel contesto competitivo romano che va inserito il sodalizio tra Michelangelo e Sebastiano, ossia anzitutto come un tentativo da parte di Michelangelo di “sfruttare” l’innovatività del colore sebastianesco al fine di guadagnare ancora più consenso critico (peraltro già notevole), almeno secondo il giudizio del Vasari, che scrive:
“[…] destato l’animo di Michelangelo verso Sebastiano, piacendogli molto il colorito di lui, lo prese in protezione, pensando che, se egli usasse lo aiuto del disegno in Sebastiano, si sarebbe potuto con questo mezzo battere coloro che tenevano tale opinione.”
Proprio in competizione con Raffaello, tra il 1515 e il 1519 è testimoniata l’esecuzione di una tavola a olio raffigurante la Resurrezione di Lazzaro, oggi conservata presso la National Gallery di Londra.

Alcuni lavori del periodo michelangiolesco
Frutto dell’attività pittorica congiunta di Sebastiano del Piombo e Michelangelo è anzitutto la meravigliosa Pietà di Viterbo, eseguita su commissione di Giovanni Botonti tra il 1515 e il 1516.
Su disegno di Michelangelo, Sebastiano realizzò la tela facendo forza della pittura tonale di matrice giorgionesca e ambientando la scena cristologica in un innovativo paesaggio al chiaro di luna, che Vasari non esita a definire “tenebroso”. La forza del colore, con il predominio di tonalità scure che passano dal marrone-grigio del terreno e del corpo di Cristo al nero del cielo notturno, costituisce indubbiante il motore espressivo del dipinto.

Sebastiano Del Piombo, Pietà, 1515-16 ca, Olio su tela, Museo Civico di Vitebro

Di questo periodo è anche il ciclo di pitture murali realizzate per la cappella privata di Pier Francesco Borgherini in San Pietro in Montorio, di cui si ricorda la celebre Flagellazione, compiuta tra il 1521 e il 1524 su disegno di Michelangelo (oggi conservato alla National Gallery di Londra), ma pesantemente restaurata in età recente a causa del pessimo stato di conservazione, dovuto all’utilizzo della pittura ad olio sull’arriccio (lo strato secondario della parete intonacata). Una scelta abbastanza scellerata ai fini della conservazione delle pitture e di cui, giusto per riportare un parallelo, ne ha fatto spese anche un’opera come il cenacolo di Leonardo, anch’esso – come si sa – profondamente deterioratosi a causa della scellerata tecnica pittorica usata dal pittore fiorentino (appunto l’uso di pittura ad olio sull’arriccio già asciutto).
La rottura con Michelangelo e la fase ritrattista
Peraltro si deve proprio ad un “consiglio scellerato” sulla tecnica pittorica la rottura dei rapporti tra Sebastiano del Piombo e Michelangelo, avvenuta nel 1534.
Giorgio Vasari infatti racconta che in occasione della realizzazione del Giudizio Universale nella Cappella Sistina, Sebastiano avrebbe consigliato a Papa Clemente VII (Giuliano de’ Medici) di farla eseguire con pittura ad olio a secco e non a fresco, com’era giustamente intenzione di Michelangelo. Sentitosi tradito da Sebastiano, e mentre Clemente VII aveva già fatto iniziare il cantiere per i dipinti su consiglio di Sebastiano, la risposta di Michelangelo fu che: “non voleva farla se non a fresco, e che il colorire a olio era arte da donna e da persone agiate et infingarde, come fra’ Bastiano; e così gettata a terra l’incrostatura fatta con ordine del frate, e fatto arricciare ogni cosa in modo da poter lavorare a fresco, Michelangelo mise mano all’opera, non si scordando però l’ingiuria che gli pareva avere ricevuta da fra’ Sebastiano, col quale tenne odio quasi fin alla morte di lui.”
Nel frattempo il pittore veneziano era diventato Fra’ Sebastiano del Piombo (il nome originario era infatti Sebastiano Luciani), avendo ottenuto il titolo di Frate Piombatore (da cui derivò l’appellativo Sebastiano del Piombo), ossia l’incarico di Frate funzionario della Cancelleria apostolica di Roma.
In questi stessi anni ’20 e ’30 del ‘500, come testimonia sempre Giorgio Vasari, il pittore si specializzò nella ritrattistica, al punto che lo storiografo aretino scrive che “nel vero Sebastiano nel fare i ritratti di finitezza e di bontà fu sopra tutti gli altri superiore”. Testimonianza di questa “superiorità” addotta dal Vasari sono gli innumerevoli ritratti eseguiti in quegli anni ad alcuni dei personaggi più illustri del tempo, quali ad esempio Pietro Aretino, lo stesso Papa Clemente VII, Giulia Gonzaga, Cristoforo Colombo (in questo caso il ritratto è “ideale”, ossia postumo naturalmente, giacche Colombo era morto nel 1506).




In tutti i ritratti – genere nel quale, come detto, Sebastiano eccelle – ciò che colpisce oltre alla persistente “maniera veneziana” mai scordata dal pittore, è anche e soprattutto il candore e la gentilezza dei volti, nonché la perizia nella resa dei tessuti, tanto che il Vasari, con efficace reticenza, scrive:
“[…] taccio i velluti, le fodre, i rasi, che per Dio si può dire che questa pittura fosse rara.”
Gli ultimi anni e la morte
Negli ultimi anni di vita Sebastiano del Piombo cessò l’attività pittorica, anche a causa della debolezza fisica, dedicando esclusivamente a quella di frate.
Morì nel 1547, all’età di 62 anni.
FONTI
Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (ed. Einaudi)