Negli ultimi anni o, per meglio dire, in seguito alla sempre più crescente diffusione dei social media, il termine “bellezza” ha assunto numerosi significati, nettamente diversi rispetto al passato e, soprattutto, molto più rapidi in termini di cambiamento.
La costante è che il mondo dell’estetica ha da sempre e avrà per sempre le proprie radici nella società e nel suo corso.
Si pensi anche solo al modo di vestirsi. La generazione dei nostri nonni, forse a causa del lustro che conferivano determinati vestiti, vedeva nell’eleganza -anche se semplice- un qualcosa da perseguire sempre, anche nelle occasioni più informali. Uomini in giacca e cravatta anche allo stadio, donne con dei perfetti bigodini anche per andare al supermercato.
Estetica e bellezza nell’antichità: le donne
Ma l’estetica va, ovviamente, ben oltre. Prendiamo la donna.
Dacché ne abbiamo testimonianza, la bellezza femminile è stata a lungo vista come l’unico riferimento estetico, un’armonia di forme perfette, capaci di appagare i sensi. Basti pensare che le primissime raffigurazioni di popoli antichi a noi pervenute rappresentano figure femminili, considerate modelli ideali e incarnazioni dei canoni di bellezza.
Ma allontaniamoci, per un secondo, dalla visione del corpo della donna come bellezza a sé.
Eccezion fatta per l’epoca medievale, il canone estetico femminile “classico” era sempre stato (e ciò significa che lo era nell’Antico Egitto, nell’Antica Grecia e nell’Antica Roma) quello di una donna armoniosa, proporzionata, graziosa. Questo a prescindere dalla sinuosità delle forme: in Egitto e a Roma più esili, in Grecia più robuste.
E superato, poi, il Medioevo, durante il quale la donna era “bella” se estremamente pallida e persino priva di forme -il seno veniva appositamente appiattito da delle fasce…- tornò in auge questo canone classico. Quello che comunemente si identifica nella divinità greca. Seppur sempre candida e pallida.
La bellezza femminile dal ‘900 al nuovo millennio
Ma non dilunghiamoci troppo.
Nel corso del ‘900 l’ideale di bellezza femminile ha oscillato tra parecchi modelli diversi.
Dai corpi androgini di inizio secolo, alle curve prorompenti delle pin-up e delle dive dell’epoca d’oro di Hollywood, alle silhouette esili e slanciate degli anni ’60.
Negli anni ’80, invece, hanno dominato le prime top model atletiche e formose. Ed è poi negli anni ’90 che l’ideale di magrezza ha raggiunto un’estremizzazione. Il cosiddetto stile heroin chic voleva delle modelle magrissime, androgine e dall’aspetto etereo. Canone che ha lasciato spazio, negli anni successivi, a una nuova concezione di bellezza: un corpo asciutto ma tonico, con pancia piatta, fianchi definiti e forme proporzionate. Ed è quello che ha accompagnato la nostra società nel corso degli anni 2000.
Non solo le donne. Cos’è la bellezza maschile?
L’uomo è da sempre associato alla tonicità, alla forza, alla virilità. Canoni condivisi nell’Antica Grecia – un fisico atletico e muscoloso – e nell’Antica Roma – un fisico forte e robusto – e che, come sempre, si perdono nel Medioevo, ritornando in auge dal Rinascimento.
Insomma, l’immagine dell’”uomo ideale” è sempre stata associata a un fisico atletico; e mai come dal ‘900 in poi, cioè da quando lo sport iniziò a diventare un fenomeno di massa. E soprattutto, relegato quasi esclusivamente all’universo maschile. Questa variabile continua a sottolineare l’importanza che la società attribuiva – e attribuisce – all’atleticità degli uomini, anche se a molti di loro, com’è legittimo che sia, non importa davvero.
La bellezza nel nuovo millennio
Nel tempo sono cambiati i nostri gusti, le nostre percezioni e, appunto, il senso che diamo alla parola bellezza.
Chiunque sia stato bambino a cavallo tra la fine degli anni ‘90 e i primi del 2000 ricorda riviste come Pop o Cioè, che oltre a fare gossip sui cantanti preferiti dei teenager dell’epoca mostravano sempre attori e attrici, modelle e modelli molto esili, ricalcando i canoni estetici scritti sopra. Ragazzi alti e tonici, con pochi muscoli ma definiti e ragazze alte, con gambe lunghe e snelle e una pancia piattissima.
E in aggiunta, oltre alle riviste, c’erano anche le pubblicità: in TV, sui cartelloni e i manifesti in strada, nelle campagne promozionali… il canone era quello ed è molto difficile risalire a qualcosa che se ne discostasse.
Non è possibile definire la veridicità di quanto sto per scrivere, ma chi non si è mai sentito in difetto, almeno una volta, guardando queste persone che sembravano essere così perfette, prive di imperfezioni?
Tuttavia, in assenza dei social media, questi erano gli unici canali attraverso i quali era possibile “ammirare” questi miracoli della genetica. O almeno, quelli che i fotografi, armati di Photoshop, decidevano di mostrarci. Non mancavano, infatti, quelle “notizie” – se così possono essere chiamate; meglio scoop sensazionalistici – in cui i paparazzi fotografavano i VIP al mare, nel quotidiano. Vizio che non hanno perso nemmeno oggi, ma che nei primi del ‘2000 sembrava quasi voler dire “guardate che queste persone hanno fisici super normali, come voi altri esseri umani”. In realtà sappiamo che l’intento non era quello, ma sempre denigratorio; al pubblico, tuttavia, non interessava.
I canoni estetici e le loro controindicazioni
L’anoressia nervosa (persone, soprattutto ragazze, che arrivano al di sotto del limite della condizione di sottopeso in relazione alla propria altezza/peso) e la bulimia nervosa (individui che alternano, in maniera incontrollata, abbuffate e “modi per non sentirsi in colpa” in seguito alle stesse, come eccessivo esercizio fisico, digiuni, induzione al vomito) sono i due DCA, o Disturbi del Comportamento Alimentare, più diffusi e noti.
Le cause possono essere diverse: disturbi come la depressione e l’ansia acuta sono forse uno dei motivi principali per cui una persona non riesce più a regolare questo aspetto della propria vita. Non è raro, infatti, soffrirne in seguito a un lutto o in periodi della vita particolarmente difficili e sofferti.
D’altra parte, chi soffre di anoressia e bulimia tende spesso a mettersi a confronto, in maniera patologica, proprio con quelle immagini frutto di Photoshop, di ritocchi, di finzione. Non è detto che chi ne soffra sia automaticamente depresso, triste, dipendente da sostanze o altro; ciò che è oggettivo è che, per qualche motivo, si è instaurato un rapporto tossico col cibo e con il proprio aspetto.
I dati
Arriviamo al problema vero e proprio.
Abbiamo fatto un escursus sui primi anni del 2000. Bene, si tenga a mente che in Italia, in quegli anni, il Ministero della Salute contava circa 300.000 persone affette da DCA.
Oggi, il numero ha superato i 3 milioni.
Questo solo in Italia. In Europa il numero si estende a 20 milioni; nel globo, a 55 milioni.
Senza dilungarsi sui dati (magistralmente forniti dall’Istituto Superiore di Sanità), è interessante sottolineare che se prima la problematica colpiva perlopiù la popolazione femminile, negli ultimi anni la percentuale di DCA diagnosticati a individui di sesso maschile è notevolmente aumentata.
Ma com’è possibile che prima, in un periodo in cui non esisteva alcuna campagna sul body positive, così come quasi nessuna consapevolezza sui DCA (e le loro cause), questo problema fosse minore?
I social media
La risposta era già stata scritta in partenza. Il problema è accentuato in maniera sicura dai social media.
Quando si parla di certezze occorre avere a disposizione non solo dei dati tangibili, ma anche, in questo caso, un po’ di conoscenza delle dinamiche social nella community fit (quella sportiva).
Una pubblicazione di PubMed del 2023 (The social media diet: A scoping review to investigate the association between social media, body image and eating disorders amongst young people) ha raccolto i risultati di 50 studi che analizzano il modo in cui i social condizionano il proprio comportamento alimentare.
La teoria dell’Impression Management ci insegna che le persone cercano perennemente di controllare l’immagine che forniscono agli altri. Se prima ciò aveva a che vedere solo con il mondo reale, oggi ognuno di noi può costruirsi un proprio personaggio online e, purtroppo – e spesso inconsapevolmente – restarne schiavo. Possiamo controllare di tutto: like, commenti, interazioni, feedback. Ma anche e soprattutto la nostra immagine. Postiamo solo le foto in cui usciamo bene, quelle in cui non abbiamo difetti. Puntiamo quasi sempre a raggiungere standard irrealistici.
Le community fit
Per rimanere in tema, però, concentriamoci sull’aspetto fisico.
All’indomani della pandemia è scoppiato un fenomeno social che si è diffuso molto rapidamente: quello dei fitness influencers. Persone che mostrano la propria routine di allenamento, di riposo, di conciliazione vita-lavoro… e di alimentazione.
Chiariamo un punto: il famoso “riso e pollo” si mangia laddove si è in preparazione atletica per una gara. Sono i bodybuilder che, per periodi limitati di tempo, assumono un apporto calorico inferiore al loro fabbisogno, per poter posare al meglio sul palco e mostrare ogni singola fibra muscolare.
Ma cosa appare sui social media? Soprattutto fino ai primi mesi del 2024 c’è stata una proliferazione molto importante di persone che mostravano “ricette fit”: zero zuccheri, zero kcal, zero carboidrati… e così via. Va detto: si parla sempre di persone non laureate, assolutamente non professionisti del settore.
Inoltre, sono nate delle community volte a idolatrare atleti che in realtà sono dopati. O meglio: atleti che hanno fisicità irraggiungibili ma che però, per motivi di partnership e sponsor, non possono ammettere pubblicamente di utilizzare sostanze.
Aggiungiamo, poi, gli influencer che sponsorizzano sui social prodotti non funzionanti, cioè i soliti escamotage che prendono in giro le persone illudendole di poter costruire muscolo e perdere peso senza allenarsi e mangiare di meno.
La vigoressia
Tutto ciò comporta due cose: un patologica ammirazione per l’irrangiungibile e un controllo patologico del cibo.
Qui il focus va posto sulla vigoressia. In molti la definiscono la malattia di chi ama troppo la palestra. Ma la realtà non è assolutamente così semplicistica.
Si tratta di un disturbo psicologico per il quale una persona allenata, quando si guarda allo specchio, vede sempre e costantemente poco muscolo, troppa magrezza, poca tonicità. Insomma, si vede male, nonostante il suo impegno, la dieta e l’allenamento.
E cosa fa?
Si allena in maniera estenuante, mangia in maniera iper-controllata, mette il fitness al primo posto e, nei casi più gravi, inizia ad assumere steroidi anabolizzanti.
Tutto ciò è alimentato dalle community. I social sono pieni di commenti negativi sui post di persone che, magari, hanno appena iniziato ad allenarsi e non sono ancora eccessivamente muscolose. Anche perché oggi l’immagine del “muscolo” è distorta, perché i più giovani tendono a considerare muscolosi solo i dopati e, di conseguenza, a vedere “piccoli” loro stessi e gli altri.
Si tratta di un meccanismo pericolosissimo. Nelle donne, oltretutto, mangiare in maniera troppo controllata e allenarsi troppo può portare a perdere il proprio ciclo mestruale, andando cioè in amenorrea.
Al di fuori del fitness: il binge eating
Ma tutto ciò, ovviamente, ha a che fare anche con persone a cui non importa l’allenamento.
Non è raro sentire, da parte di persone inesperte e informate male, frasi come “i carboidrati fanno male se mangiati di sera“; non c’è nulla di più falso, dato che i carboidrati non hanno l’orologio. O ancora “non mangio questo dolce perché altrimenti ingrasso“; altrettanto falso, dato che se rientra nel proprio fabbisogno, quel dolce può essere mangiato eccome, senza controindicazioni.
Sembra poi un taboo dire a queste persone – così chiuse nelle proprie convinzioni – che per dimagrire (salvo casi in cui subentrano delle patologie) serve solo rientrare nel proprio fabbisogno calorico (consultabile insieme a un nutrizionista preparato) e fare un minimo di movimento.
Esistono persone che fanno disinformazione sui social, innescando ulteriore terrore psicologico agli spettatori, soprattutto a coloro che soffrono o hanno sofferto di DCA.
Il nuovo trend: l’opposizione
Per fortuna, negli ultimi anni sono diventati famosi sui social alcuni creator che tentano, in maniera ironica o meno, di far luce su queste problematiche e di “salvare” i più giovani.
Dal punto di vista del fitness il più iconico è sicuramente Flavio Raponi, uno youtuber romano (oltre che bodybuilder che ha fatto uso di doping, quindi competente nel settore) che ha come obiettivo principale quello di smascherare coloro che online si professano natural ma, in realtà, assumono sostanze.
Dal punto di vista dell’alimentazione c’è Lorenzo Caressa (o Il Nutrichad), un nutrizionista molto competente che, in maniera simpatica e tramite gag, informa il suo pubblico sui falsi miti propinati sul cibo, come quello dei carboidrati scritto sopra. Il suo intento è quello di disinnescare la paura che alcune persone hanno del cibo, prendendo al tempo stesso in giro i “fuffaguru” dell’alimentazione.
E per parlare di persone normalissime, il più simpatico è sicuramente Il Profeta della Verità. È un ragazzo romano che si allena 5 volte a settimana e, nel frattempo, mangia di tutto e non solo: mangia tantissimo. Lui – che tra l’altro è amico di Raponi – punta tutto sul far capire che non bisogna avere paura del cibo. Bisogna essere amici dello stesso, mangiare e farlo anche a volontà, senza limitazioni e non per forza utilizzando un’applicazione atta al conteggio delle calorie. Ma al contempo, è importante anche fare attività fisica, anche solo camminare.
Soluzione: amare sé stessi
Insomma, oggi i social ci hanno portati a un’estremizzazione della nostra forma fisica, a preoccuparci troppo di ciò che le persone pensano di noi e di come ci vedono.
Ma bisogna sempre ricordare che l’unico giudizio importante è quello personale. Solo noi sappiamo a cosa pensiamo, cosa proviamo e cosa abbiamo vissuto. Farsi condizionare da elementi esterni, da persone che a loro volta mostrano solo la propria parte migliore sui social, è dannoso e controproducente.
E poi: nessuno ha un fisico perfetto. L’importante rimane volersi bene e rispettare sempre il proprio corpo.
Fonti
Dati dell’Istituto Superiore di Sanità
Cosa sono i DCA: Società Italiana di Psicopatologia dell’Alimentazione
Credits
Immagine di copertina