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Stop ai fondi umanitari US: danno o opportunità?

“Lo scopo della cooperazione è interrompere la cooperazione”

Recita così quello che nel settore è diventato ormai un mantra, inteso a rendere la cooperazione internazionale, prima o poi, superflua, e favorire  lo sviluppo autonomo degli stati beneficiari. 

L’ordine esecutivo dell’amministrazione Trump del 20 gennaio ha annunciato il congelamento della maggioranza dei fondi umanitari statali. A prima vista, può sembrare un punto di partenza verso una maggiore autonomia per tutti quei paesi ancora profondamente dipendenti dagli aiuti internazionali. 

Ma, nonostante la mancanza di risorse esterne sia spesso un incentivo per trovare soluzioni alternative, sono necessari dei tempi tecnici per fare delle inversioni di rotta così decisive come quella imposta da Trump.

Il sistema dei finanziamenti umanitari è consolidato ormai da anni su scala globale, e proprio per le sue dimensioni enormi, il mondo lungi dall’essere pronto per farne improvvisamente a meno.

Infatti, la decisione del presidente degli Stati Uniti di chiudere i rubinetti non mira lontanamente all’autonomia dei beneficiari di tali risorse; anzi, rispecchia semplicemente gli obiettivi della nuova agenda “America First”, il cui caposaldo è un generale rintanamento nei confronti del resto del mondo. 

Quanto durerà lo stop

La sospensione dei fondi avrà una durata di 90 giorni, necessari al governo per revisionare il proprio piano finanziario a riguardo. L’erogazione di aiuti alimentari d’emergenza e militari per Israele ed Egitto non saranno oggetto di tale interruzione.   

I governi beneficiari non sono ancora equipaggiati a compiere una “manovra di indipendenza” così rapida. Così il disagio già dilaga in ogni ingranaggio di questa immensa macchina della cooperazione; si tratta infatti di un sistema quasi centenario, le cui radici affondano negli anni ‘50 con l’avvio del processo di decolonizzazione.

US: primi donatori al mondo

La decisione del capo di stato americano ha già iniziato a comportare un grave squilibrio. Gli Stati Uniti, infatti, si confermano i primi donatori al mondo nel settore umanitario. Nel 2024 il loro contributo ammontava al 41,7% del totale delle sovvenzioni mondiali, per un totale di 14 miliardi di dollari destinati a circa 180 paesi (dati FTS/UNOCHA). 

Gli USA sono inoltre tra i primi contribuenti a sostegno delle agenzie dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), come il WFP (Programma per l’Alimentazione Mondiale) o l’IOM (Agenzia Mondiale per le Migrazioni). 

Sintesi del finanziamento globale totale riportato per il 2024, Financial Tracking Service UN/OCHA
Agenzie ONU finanziate dagli Stati Uniti nel 2024, Financial Tracking Service UN/OCHA

Agenzia USAID decapitata

Trump ha ridotto inoltre il personale USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale) del 97%. Lo staff del principale erogatore di aiuti al mondo sarà in congedo amministrativo, ad eccezione del personale “essenziale”. Gli impiegati espatriati saranno obbligati a rientrare negli Stati Uniti entro 30 giorni. 

Il 13 febbraio lAIDS Vaccine Advocacy Coalition e il Global Health Council hanno sfidato la decisione di licenziamento USAID in sede di tribunale, in quanto altamente preoccupate per l’impatto del blocco sui malati più gravi.

La giurisdizione ha definito la revisione dei programmi lecita. Tuttavia non giustificata adeguatamente per quanto riguarda la sua sospensione, considerati termini contrattuali ancora in corso di validità. 

Danno o opportunità?

La sentenza impedisce momentaneamente di fare rispettare gli ordini di stop al lavoro imposti da Trump; tuttavia, ciò non permette comunque alle organizzazioni umanitarie di scommettere su un ritorno alla “normalità”. 

Esistono progetti umanitari finanziati da un solo donatore e progetti, invece, cofinanziati, cioè sovvenzionati da più sponsor. Se viene meno uno di questi, a effetto cascata si perdono anche i soldi di tutti gli altri. 

I vari attori del settore sono costretti perciò a rivedere i propri programmi, e in molti casi a sospenderli o chiuderli. Infatti, non esiste certezza legale sul fatto che i donatori riconosceranno le spese per l’implementazione delle proprie iniziative. 

Forse, in questo marasma,  gli altri attori internazionali come l’Unione Europea o i singoli stati potrebbero essere spinti a rinforzare il proprio sistema di finanziamenti, così da colmare le lacune che l’amministrazione statunitense ha già iniziato a scavare. 

 

 

 

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