Riprendiamo il nostro viaggio nel racconto di una delle band più amate e conosciute nella storia della musica: i Queen. Se vi siete persi la prima parte, potete andare a recuperarla qui.
Da Hot Space a The Works: il difficile esordio degli anni Ottanta
Nella loro carriera durante gli anni Settanta, i Queen non erano rimasti sempre nei binari del rock puro. Prima l’opera poi il gospel – vedasi Somebody To Love – e infine un inizio di funk con Another One Bites The Dust, composta da John Deacon. Quest’ultima sembra una canzone di una band nera, non residente nei lussuosi quartieri di Kensington. Perciò, la voglia di Freddie Mercury di sperimentare nel mondo della musica dance nei primi anni Ottanta avrebbe potuto non essere così sbagliata. Purtroppo, i fan non la pensavano allo stesso modo. In realtà, neanche qualche membro stesso del gruppo, come Roger Taylor, che vedevano Mercury troppo suggestionato dagli ambienti che stava ormai frequentando all’epoca, soprattutto sotto l’influenza negativa del suo assistente Paul Prenter.
Hot Space (di cui vi avevamo parlato qui) uscì nel 1982, dopo essere stato prodotto quasi interamente a Monaco, a eccezione di Under Pressure con David Bowie, nata, invece, a Montreux. L’album venne criticato per le sue sonorità elettroniche e “danzerecce”, allontanando diversi appassionati dai Queen.
Una parziale risalita della band in termini di gradimento avvenne nel 1984 con la pubblicazione di The Works. A differenza di Hot Space, l’album risente del clima e delle atmosfere soleggiate di Los Angeles, dove venne prodotto. Contiene numerose hit tutte riconducibili allo stile “classico” dei Queen, tra cui Radio Gaga e I Want To Break Free. Nonostante l’accoglienza positiva in Europa, The Works non entrò in nessuna delle classifiche americane. Per la prima volta dal 1977, i Queen non fecero nessuna data del tour negli Stati Uniti, senza sapere che non ci sarebbero mai più tornati con la loro formazione originale.
A Kind Of Magic e il tour che ha fatto la storia
Dopo un anno di pausa, durante il quale Mercury si dedicò al suo controverso album solita, Mr. Bad Guy, la band si riunì in occasione del leggendario Live Aid, il 13 luglio 1985. Per il concerto a sostegno della popolazione etiope, i Queen si esibirono in una delle loro migliori performance di sempre. Per 18 minuti rubarono la scena alle altre grandi icone della musica, ammaliando il pubblico con sei dei loro brani più celebri. Tutti gli spettatori cantarono all’unisono, chi era allo stadio di Wembley e chi a casa di fronte alla TV.
Il Live Aid fu la conferma che serviva al gruppo: nonostante gli alti e bassi degli ultimi anni, tutti conoscevano a memoria le loro canzoni. La teatralità di Freddie Mercury poteva incantare anche un intero stadio europeo. Lo stesso valeva per il carisma di Brian, Roger e John. Quel 13 luglio fu la «boast of confidence» di cui tutti ne avevano bisogno.
Nel 1986 venne pubblicato A Kind Of Magic, il dodicesimo album in studio dei Queen. Seguì una tournée memorabile, nei più grandi stadi d’Europa. A colpire fu soprattutto la data di Budapest, perché quel concerto fu il primo a essere organizzato oltre alla cosiddetta “Cortina di Ferro” comunista. Inoltre, il tour vide due date a Wembley, con 72.000 spettatori ciascuna, per poi chiudersi con il live più maestoso tenuto dalla band di “Sua Maestà”. Il 9 agosto, un pubblico di circa 200.000 persone occupò Knebworth Park per quello che nessuno sapeva essere l’ultimo concerto con Freddie Mercury. Sulle note di God Save The Queen, riarrangiata da Brian May, il cantante sollevò la sua corona sfoggiando un prezioso mantello di ermellino rosso. Fece i suoi saluti finali a chi aveva saputo regalare emozioni e momenti che non sarebbero mai tornati.
La consapevolezza dell’inevitabile senza volersi arrendere: The Miracle e Innuendo
Freddie scoprì di essere positivo all’HIV e di aver sviluppato l’AIDS nel 1987. Decise di non dirlo subito agli altri membri della band, aspettando di tornare in sala di registrazione. Una volta informati Deacon, May e Taylor, Mercury volle pensare solo alla musica, comporre il più possibile prima del tragico destino che sapeva attenderlo. Da questo primo lavoro nacque nel 1989 The Miracle, il primo album dove i Queen decisero di accreditare ogni singola traccia a tutta la band, a differenza di prima. Nonostante il periodo difficile durante cui venne prodotto, The Miracle è un disco pieno di grinta e di positività. A partire, in particolare, dall’omonima traccia, scritta da Freddie Mercury: una canzone ricca di speranza e gioia nei confronti della vita, ancora più toccanti se si pensa alle tragiche condizioni in cui versava.
Innuendo, invece, è l’ultimo album in studio dei Queen al completo. Venne registrato a Montreux, per cercare di sfuggire alla stampa britannica che perseguiva ovunque Mercury date le diverse ipotesi di una sua malattia. Innuendo è il frutto della voglia di musica che Freddie dimostrò fino alla fine. La sua voce risulta in molte tracce più sottile e “pulita”, nonostante non manchino brani specificamente rock come Headlong o The Hitman. La canzone che dà il titolo al disco è stata vista come la nuova e ultima Bohemian Rhapsody della band, mentre The Show Must Go On e These Are the Days of Our Lives sono ormai il simbolo dell’ultimo saluto di Freddie.
Those were the days of our lives, yeah
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one thing’s still true
When I look and I find, I still love you
I still love you.
Made In Heaven: il ritorno in vita di Freddie Mercury con la sua musica
Freddie morì il 24 novembre 1991. La sua morte avvenne solamente un giorno dopo il comunicato ufficiale con cui si rendeva nota la sua malattia. Il cantante lasciò tutti i diritti della sua musica a Jim Beach, ancora oggi produttore dei Queen. Gli fece promettere solo una cosa, di non renderlo mai noioso. Mercury continuò a incidere anche dopo l’uscita di Innuendo. Più le sue condizioni si aggravavano, più aveva bisogno di registrare.
Voglio cantare ora questo materiale perché non posso aspettare che compongano la musica. Canterò sul ritmo della drum machine. Tu dammi quella e loro la finiranno dopo.
Dopo il concerto in tributo in suo onore nel 1992, i Queen tornarono a Montreux nel ’95 a lavorare le ultime musiche lasciate dal loro ex compagno. Oltre a quelle, ritoccarono alcuni singoli della carriera solista del cantante. La voce di Freddie usciva dagli speaker e dovettero abituarsi a lavorare come se lui fosse lì con loro, a dire cosa fare o meno. Il risultato fu Made In Heaven, l’album che riportò in vita il talento di uno degli artisti più importanti della storia della musica.
I don’t want to make no waves
But you can give me all the love that I crave
I can’t take it if you see me cry
I long for peace before I die.
“The Show Must Go On”: i Queen oggi
Dopo il 1995, John Deacon lasciò definitivamente la band, partecipando solamente alla realizzazione di No One But You (Only The Good Die Young). Si tratta dell’ultimo brano rilasciato in ricordo di Freddie Mercury. Brian May e Roger Taylor, invece, si concentrarono sulle loro carriere da solisti, già avviate negli anni precedenti. Per anni una possibile reunion dei Queen sembrava un miraggio. Benché ogni componente del gruppo avesse dato un apporto significativo alla produzione musicale, ascoltare quelle canzoni senza la voce e il carisma di Freddie Mercury sembrava impensabile.
L’impossibile divenne possibile nel 2004, quando May e Taylor iniziarono a collaborare con Paul Rodgers e pubblicarono The Cosmos Rocks. Seguirono due tournée che registrarono numerosi sold out. La voglia di rivedere i Queen dal vivo era tanta. In quei concerti si celebravano le loro canzoni intramontabili e la vita di Freddie. Lo stesso succede oggi, quando Brian e Roger calcano le scene affiancati, però, da Adam Lambert.
Che si parta dal 1970 o dal 1971, i Queen sono nati 50 anni fa e solo 20 sono stati vissuti insieme a Mercury. La loro storia è segnata dalle contraddizioni, dagli alti e bassi, dalle svolte di generi e persino dallo sconvolgente desiderio di andare avanti nonostante tutto. Nessuno vuole e potrà mai sostituire quell’artista straordinario, oltraggioso e carismatico che era e sarà per sempre Freddie. Tutti, invece, lo vogliono ricordare con ciò che più amava: la musica e l’amore per la vita.
I won’t be a rock star. I will be a legend.