La conoscenza è un tema fondamentale in Calvino, affrontato in maniera particolare nelle Città invisibili e nell’Avventura di un fotografo, racconto che appartiene alla raccolta Gli amori difficili, pubblicata nel 1958. Il protagonista dell’Avventura di un fotografo è Antonino Paraggi, all’inizio soprannominato dal narratore Antonino non-fotografo. È in disaccordo con la smania dei suoi amici di fotografare ogni cosa. Col tempo i suoi coetanei si sono sposati e hanno messo su famiglia, quindi ogni istante della vita dei loro bambini deve essere immortalato, così come le gite domenicali.
Antonino non-fotografo
Antonino invece non capisce per quale motivo non si dovrebbe vivere un determinato momento nel presente, per poterselo gustare nel ricordo futuro. Arriva ad affermare:
Basta che cominciate a dire di qualcosa: «Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!» e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografatile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia.
Dunque per il protagonista l’unico modo per mantenere una qualche coerenza sarebbe fotografare ogni cosa e ogni attimo in continuazione, per coglierla in tutte le sue possibilità d’esistenza. Soprattutto dal suo punto di vista l’atto di fotografare diventa un atto conoscitivo e l’unico modo per rapportarsi con la realtà. Così lui in qualche modo intraprende la via che porta alla pazzia; quella che porta alla stupidità è quella che ritiene intrapresa dai suoi amici.
Antonino Fotografo
Allora Antonino inizia a interessarsi di fotografia: compra una vecchia macchina fotografica, allestisce uno studio e una camera oscura nel suo appartamento. Intanto si allontana dagli amici e comincia a intrattenere una relazione con Bice, prima sua amica e modella, attraverso l’obiettivo. Giunge a non darle tregua nemmeno la notte mentre dorme, pur di provare a cogliere l’immagine ideale che esiste soltanto nella sua testa. A un certo punto, Bice sfiancata se ne va. E ad Antonino Fotografo non resta altro che fotografare oggetti qualsiasi, giornali, fogli macchiati d’inchiostro, portaceneri, una macchia d’umidità sul muro, il letto disfatto. Non immortala però gli oggetti in quanto tali: fotografa l’assenza di Bice, ovvero la possibilità di ciò che potrebbe essere.
Anche qui, come in molte altre opere, Calvino ci mostra l’impossibilità della conoscenza. Si concentra sulla modalità percettiva. Da dietro l’obiettivo di una macchina fotografica, Antonino Paraggi crede di aver trovato il modo per comprendere e accostarsi al mondo. Vuole tentare di afferrarlo completamente. La conoscenza però non può e non deve essere assoluta. Quindi Antonino non può esaurire tutte le possibilità del reale e il suo tentativo gnoseologico di unificare una pluralità di sfaccettature si dimostra vano. È la ricerca di un assoluto e di oggettività nella vita dell’essere umano che sembra pronta a ripiegarsi su un fallimento.
Così si conclude il racconto:
Per far entrare tutto questo in una fotografia occorreva conquistare un’abilità tecnica straordinaria, ma solo allora Antonino avrebbe potuto smettere di fotografare. Esaurite tutte le possibilità, nel momento in cui il cerchio si chiudeva su se stesso, Antonino capì che fotografare fotografie era la sola via che gli restava, anzi la vera via che lui aveva oscuramente cercato fino allora.
Le città invisibili
L’inconoscibilità è una costante anche nelle Città invisibili, soprattutto nelle rubriche Le città e i segni e Le città e gli occhi, incentrate sul modo di percepire e decifrare il mondo, azioni preliminari a qualsiasi processo conoscitivo. Le città invisibili si basano su una finzione narrativa: Marco Polo descrive a Kublai Kan, imperatore della Cina, le città che ha visita. In realtà sono delle città possibili, costruite per somiglianza e dissomiglianza sul modello di Venezia, città natale di Marco Polo. Il libro si divide in nove parti, nelle quali si alternano undici rubriche dai titoli differenti. Ad esempio Le città e il nome, Le città sottili, Le città e la memoria, Le città e gli scambi, Le città e i morti.
Le città e i segni
Le città e i segni tendono a focalizzarsi sul rapporto che sussiste tra significante e significato. Necessariamente, nell’atto conoscitivo si percepisce un segno sensibile che rimanda a qualcos’altro. Questo segno di solito può essere interpretabile, ma spesso in ogni città si giunge a paradossi difficilmente risolvibili. In Tamara, la città e i segni 1, (tutte le città oltre ad appartenere a una rubrica, hanno un nome di donna, anche se si tratta per lo più di nomi poco usuali) le cose sono “Segno di un’altra cosa”, ma al tempo stesso “alberi e pietre sono soltanto ciò che sono”. Poco dopo si arriva a un finale sconcertante: “Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamare senza averlo saputo. Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante…”
In Zirma, le città e i segni 2, viene affrontato il meccanismo che guida la conoscenza: la conoscenza è possibile solo grazie ad associazioni e dissociazioni, basandosi dunque sul già noto: “La città è ridondante, si ripete perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente”. Anche a questo riguardo, Calvino prende in considerazione l’utilizzo della lingua e del linguaggio in altre città. L’autore si era avvicinato al gruppo strutturalista francese dell’Oulipò negli anni Sessanta (anche se le Città invisibili sono successive, pubblicate nel 1972), interessandosi di semiologia. Questo si percepisce anche nell’attenzione alla struttura combinatoria del libro, basata su asimmetrie e disimmetrie, definita dalla critica “una scacchiera sghemba”.
Le città e gli occhi
Nelle Città e gli occhi a tratti sembra non esistere una verità o una realtà univoca. Non ci sono certezze, spesso lo scrittore gioca sullo sdoppiamento delle città e antitesi. Nei finali delle città ci si trova ancora una volta privi di una “soluzione”. Così termina Moriana, le città e gli occhi 5: “Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva moltiplicando il suo repertorio d’immagini: invece non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi.” Oppure c’è una Zemrude, le città e gli occhi 2, che assume una forma differente e mostra lati diversi a seconda dell’umore del visitatore. Questo però non vuol dire che “un aspetto della città sia più vero dell’altro“.
Inoltre l’azione stessa di raccontare le città di Marco Polo è un atto gnoseologico. Marco Polo, non avendole mai viste, le costruisce nella propria mente, cercando di esaurire tutte le possibilità. Questo a un certo punto porterà Kublai Kan a ipotizzare uno scambio di ruoli nel narrare e nell’ascoltare.
In ogni caso per Calvino l’assolutezza gnoseologica rimane impossibile, soprattutto di fronte a una realtà non fissa e immutabile. Oltre che impossibile, forse è anche indesiderabile.
FONTI
Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, 2018
Italo Calvino, Gli amori difficili, Mondadori, 2017
CREDITI