L’altra faccia della medaglia: lo sfruttamento nell’arte

Di sfruttamento in Italia si sente parlare da parecchio tempo; uomini, donne, bambini, anziani, migranti e chi più ne ha più ne metta. Lo raccontano alla radio, in televisione, sui giornali. Anche l’arte l’ha fatto, in modo più o meno provocatorio. Ecco solo alcuni dei tanti dipinti che raccontano lo sfruttamento.

All’origine dello sfruttamento: la Preistoria

Uomini e donne che lavorano sono onnipresenti nelle opere d’arte, sin dalla Preistoria. Un esempio? Basti pensare ai dipinti rupestri, le incisioni nelle grotte. Sono tutte scene in cui l’uomo è raffigurato “lavorando”, principalmente cacciando cibo.

Soprattutto a partire dal XIX, però, qualcosa è cambiato. Nell’Ottocento, infatti, l’attenzione nei confronti del lavoro è diversa, più serrata e forte.

Il XIX secolo: la rivoluzione industriale e il socialismo

Come detto, nell’Ottocento la tematica lavorativa si fa molto più centrale. A segnare questo periodo è stata proprio la rivoluzione industriale. Si parla di un processo di evoluzione economica e, soprattutto, sociale. La società, infatti, cambia; finalmente, da agricola-artigianale diventa un sistema industriale moderno. A caratterizzarla sono ora l’uso di macchine, l’energia meccanica, l’uso di nuove fonti energetiche (come, ad esempio, i combustibili fossili).

Il cambiamento fu così epocale da suscitare anche l’interesse di artisti e pittori. Tra questi, uno dei più importanti è sicuramente Gustave Courbet (1819-1877).

Gustave Courbet e lo sfruttamento

Ho cinquant’anni ed ho sempre vissuto libero; lasciatemi finire libero la mia vita; quando sarò morto voglio che questo si dica di me: Non ha fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di alcuna accademia e men che meno di alcun sistema: l’unica cosa a cui è appartenuto è stata la libertà.

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Gustave Courbet (1819-1877), The sleeping spinner, 1853

Conosciuto come esponente del Realismo, Gustave Courbet è stato uno dei pittori più ribelli e anticonformisti. Il pittore, infatti, si è occupato di problematiche sociali, soprattutto per quanto riguarda le difficili condizioni di vita, lo sfruttamento e il lavoro dei contadini e dei più poveri.

Gli spaccapietre, 1849

Il Realismo vede, come primo obiettivo, quello di rappresentare la realtà così com’è, per quanto cruda e tagliente possa essere. Ed è stato proprio questo l’obiettivo di Gustave Courbet. Proprio per questo motivo, il pittore ha dedicato un’opera intera a due lavoratori, due sconosciuti, operati di una cava di pietre: Gli spaccapietre.

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Courbet, Gli spaccapietre, 1849

L’opera venne dipinta da Courbet nel 1849, cioè un anno dopo la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Non si sa se ci sia un qualche legame diretto fra il quadro e il documento scritto, e probabilmente non c’è. Entrambe le opere, tuttavia, tanto quella artistica quanto quella filosofica, furono il frutto di un comune sentire.

Courbet era un socialista, come egli stesso ha dichiarato più volte: Mi si domanda una professione di fede. Dopo trent’anni di vita pubblica rivoluzionaria socialista, non ho saputo far comprendere le mie idee? […] Mi sono costantemente occupato della questione sociale e delle filosofie che vi si riferiscono.

Come già detto in precedenza, Gustave si era sempre occupato di queste problematiche, con un occhio di riguardo verso le condizioni dei diseredati, dei contadini, dei sottoproletari. Il soggetto del quadro è una coppia di spaccapietre. A quell’epoca, tra i tantissimi mestieri onesti, quello dello spaccapietre è probabilmente il più faticoso e umile. Un po’ come se fosse un minatore, con la differenza di essere all’aria aperta. La giornata lavorativa era scandita dallo spaccare pietre, nelle cave, con mazze e martelli fino a ridurle alla dimensione di ciottoli. Tutto questo avveniva per 11-13 ore al giorno, nei mesi estivi sotto il sole, d’inverno con il freddo nelle ossa.

Ovviamente a risentirne, oltre a livello psicologico, era anche il corpo: gli spaccapietre avevano mani deformate, gambe storte e rigide, schiena curva, occhi malati per la polvere e le schegge. E, inoltre, le condizioni di vita erano sempre quelle di una volta: abitazioni precarie, senza acqua potabile e servizi igienici, sfruttati dai procacciatori di lavoro con una paga che consentiva loro a mala pena di sopravvivere.

E oggi lo sfruttamento?

Courbet ci aveva già visto lungo 200 anni fa, denunciando un lavoro così sfruttato e degradante. Il mestiere raffigurato, quello dello spaccapietre, nel 2020 non è scomparso. Esso, infatti, è ancora largamente diffuso, soprattutto in quelle zone povere del globo, quali Nepal e Nicaragua.

Raccontare lo sfruttamento con foto

Non sono solo i pittori, tuttavia, ad aver denunciato questo ingente problema. Anche i fotografi, nel XX secolo, hanno raccontato il lavoro con scatti e reportage memorabili.

Un maestro della fotografia realista è il brasiliano Sebastião Salgado (1944), ricordato come uno dei più grandi fotografi dei nostri tempi. L’artista ha girato il mondo con un unico obiettivo: mostrare e denunciare miserie e contraddizioni ma, nel contempo, svelarne la struggente bellezza. Ha realizzato tantissimi viaggi e reportage, soprattutto realizzati in Africa, Sudamerica, Medio Oriente, raccontando la vita nelle campagne, la semplicità del lavoro, la disperazione dei migranti.

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Fra i suoi scatti più famosi, quasi sempre in bianco e nero, si deve per forza ricordare quelle realizzate nella miniera d’oro della Serra Pelada, in Brasile, dove migliaia di persone sono ritratte mentre trasportano sacchi di fango arrampicandosi sulle pareti scoscese e scivolose di una cava enorme.

Dalla Preistoria ad oggi

Le immagini raccontate sono suggestive, inquietanti e capaci di evocare gli scenari apocalittici degli inferni immaginati, secoli fa, già dagli artisti medievali. E come ha dichiarato lo stesso Sebastião Salgado:

Quando fotografo io respiro la fatica dell’uomo, i suoi ritmi, le sue angosce. Ma anche le sue speranze», ha detto Salgado. «Le immagini possono risvegliare le coscienze come una premessa necessaria all’avvio di qualche azione. Un’immagine è come un appello a fare qualcosa, non soltanto a sentirsi turbati o indignati. La foto dice: “Basta! Intervenite, agite!”.

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