L’espressione violenza domestica indica tutti gli atti di violenza fisica, psicologica, sessuale o economica che si verificano all’interno del nucleo famigliare. Tali eventi possono accadere tra coniugi (o partner) attuali o precedenti. Questo fenomeno ha quindi molte sfaccettature: la violenza fisica è quella maggiormente riconosciuta, poiché lascia segni evidenti sul corpo. Quella sessuale è spesso presente, ma se a commetterla è un partner intimo potrebbe non venire riconosciuta adeguatamente. La violenza psicologica è molto diffusa, anche se difficile da identificare. Essa può manifestarsi tramite atteggiamenti intimidatori, controllanti e possessivi, allo scopo di isolare e indebolire la vittima. Un’ulteriore forma di violenza è quella economica, e si basa sul controllare il partner attraverso privazione o limitazione nell’accesso alle disponibilità economiche proprie o della famiglia.
Questo fenomeno ha conseguenze devastanti sulle vittime: secondo un’indagine svolta dall’Istat nel 2014, più della metà delle vittime soffre di perdita di fiducia e autostima, ansia e attacchi di panico, senso di impotenza, depressione, nonché disturbi del sonno e dell’alimentazione.
Secondo molti studi, la violenza domestica è agita principalmente da uomini verso le donne. Eppure, l’OMS la definisce come il “comportamento abusante di uno o entrambi i compagni in una relazione intima”, senza nessun riferimento al genere. Siamo davvero sicuri che esista un’unica tipologia di vittima? O un unico tipo di carnefice?
Un Fenomeno Silenzioso
La violenza contro gli uomini è un fenomeno molto diffuso di cui si parla poco. Le ragioni sono tante: a livello culturale, l’uomo è considerato il “sesso forte”, per cui spesso non viene ritenuto possibile che possa essere vittima di violenza. Invece, secondo una ricerca Istat del 2018, è emerso che in Italia nel periodo 2015-2016 circa 3 milioni e 754mila uomini (corrispondenti al 18,8% del totale) hanno subito abusi sessuali nel corso della loro vita. Chiaramente è un numero inferiore a quello relativo alle donne, che sono vittime nel 90% dei casi. Ma si tratta pur sempre di un dato notevole, da non sottovalutare.
Va però sottolineato che gli autori di tale molestie risultino prevalentemente uomini. Lo sono per il 97% delle vittime donne e per l’85,4 delle vittime uomini. Ma, come vedremo, esistono anche molti casi in cui i carnefici sono donne.
Occorre inoltre dire che questi numeri potrebbero essere più alti, poiché, come illustrato nel libro “Codice Rosso: quando l’uomo è vittima” scritto dagli avvocati Michele Miccoli e Martina Grassini, tanti uomini – sempre a causa dello stereotipo di virilità o per la paura di non essere creduti – decidono di non denunciare la violenza subita. Altri scelgono di non parlarne anche per la tendenza sociale dell’uomo medio a non esternare i propri problemi.
Concentrandoci sul caso trascurato in cui gli abusanti sono di sesso femminile. Possiamo dire che esse hanno generalmente una forza fisica inferiore a quella degli uomini, e per questo molte persone ritengono improbabile che questi ultimi possano essere vittime. Tuttavia mentre gli uomini, anche nei confronti di altri uomini, scelgono una violenza più fisica, statisticamente le donne tendono a preferire un’aggressività indiretta nei confronti degli uomini, allo scopo di instaurare un dominio su di loro.
Non va comunque dimenticato che anche le donne possono reagire fisicamente in vari modi: graffiando, mordendo, strappando capelli, lanciando oggetti. Oltretutto dovrebbe essere scontato dire che non tutti gli uomini sono alti e forti: ne esistono di più magri e gracili, di più deboli e sensibili. Nondimeno, culturalmente l’uomo è considerato più forte: se una vittima provasse ad ammettere pubblicamente di essere succube della propria compagna, potrebbe ritrovarsi a gestire un senso di vergogna indotto dal mancato raggiungimento degli standard culturali di forza e virilità che si ritengono consoni a un maschio.
Non a caso molte donne abusanti mettono in atto azioni violente nei confronti dei partner senza nessun timore di ripercussioni, perché sono perfettamente consapevoli del fatto che un uomo potrebbe non sentirsela di denunciare e che, anche in caso di denuncia, la sua testimonianza potrebbe essere considerata bizzarra o poco attendibile. O, ancora peggio, essere oggetto di scherno e battute.
Alienazione Parentale
Bisogna dire che è raro che le donne arrivino a uccidere, ma sono capaci di umiliare, ricattare e distruggere economicamente i propri mariti. Generalmente preferiscono utilizzare violenze psicologiche e indirette nei confronti degli uomini: l’obiettivo è stabilire il controllo su di loro, ad esempio mediante l’isolamento sociale. Alcune donne denigrano il coniuge nelle sue capacità familiari, sessuali ed economiche. Quando ci sono dei figli, ad esempio, in seguito a una separazione avviene spesso un fenomeno chiamato “alienazione parentale”.
Si tratta di una dinamica psicologica “tossica” per cui un genitore (di solito la madre) condiziona negativamente i rapporti dei figli con l’altro genitore (il padre) tramite una serie di comportamenti volti a neutralizzare l’altra figura genitoriale. In questi casi la madre, che ha quasi sempre la custodia dei figli (secondo l’Istat, dopo una separazione, meno dell’1% dei figli vive stabilmente con il padre), potrebbe iniziare a inventare scuse per ostacolare le visite del padre, oppure smettere di informarlo su aspetti importanti della vita dei figli. O, ancora, attuare una politica denigratoria a danno dell’ex coniuge allo scopo di metterlo in cattiva luce agli occhi dei bambini.
Questi atteggiamenti fanno insorgere nei figli una patologia chiamata “sindrome di alienazione parentale”. L’espressione è stata coniata dal medico statunitense Richard Gardner. Egli identificò il disturbo notando che il figlio conteso tra due genitori manifestava comportamenti oppositivi nei riguardi del padre, perché spinto dalla madre.
Tuttavia, va detto che l’alienazione parentale è un fenomeno complesso. Dopo una separazione, non è raro che un figlio si “allei” con il genitore che percepisce più fragile e che si prenda cura di lui – di solito, appunto, la madre. Se un bambino rifiuta il padre, non si può dire automaticamente che si tratta di un caso di alienazione parentale. Le cause possono essere molteplici: per esempio il figlio può aver assistito a episodi di violenza del padre verso la madre, decidendo così di “prendere le difese” di quest’ultima.
Padri Separati
Resta il fatto che dopo il divorzio, tanti uomini si vedono privati dei loro figli per mesi o addirittura anni. Alcuni di questi padri non riescono più a vivere con il loro stipendio (l’80% secondo l’Eurispes) e sono costretti a cercare un nuovo appartamento o trovare altri lavori per riuscire a continuare a pagare il mutuo della casa dove l’ex moglie vive coi figli. Non di rado gli uomini separati devono anche garantire un cospicuo assegno di mantenimento e, non potendo sostenere le innumerevoli spese, sono costretti a vivere in macchina e lavarsi in fontane pubbliche. Altri finiscono col mangiare alla Caritas o a sviluppare dipendenze patologiche come la ludopatia, convinti che un’eventuale vincita possa ribaltare la loro vita. Sempre secondo alcuni dati della Caritas, i papà divorziati fanno parte dei nuovi poveri: infatti 46% dei padri separati vive in condizioni di indigenza.
Oltre alla crisi economica, si aggiunge la crisi emotiva. Infatti non riuscire più a vedere la propria prole provoca in molti uomini disturbi depressivi e ansiosi, che spesso degenerano in gesti estremi. In Italia, soltanto nell’anno 2009, ci sono stati 200 suicidi di padri separati.
Se un uomo è vittima di violenza da parte della partner, la sua situazione è molto difficile: proverà malessere nella relazione, e allo stesso tempo, probabilmente non riuscirà a lasciare la compagna perché impaurito dalla prospettiva di perdere i figli e di subire devastanti conseguenze economiche. Tali uomini hanno forte necessità di un aiuto psicologico per gestire una situazione così pericolosa.
Abusi Sessuali sugli Uomini
Recentemente si sono fatti grandi passi avanti sulla conoscenza degli effetti dell’abuso sessuale sulle donne. Non si può dire lo stesso sull’abuso maschile. Infatti la ricerca, l’aiuto e il supporto per le vittime di violenza sessuale di sesso maschile sono estremamente arretrati rispetto a quelli per le vittime di sesso femminile (Elkins et al., 2017).
A causa di tabù, pregiudizi e stereotipi sfortunatamente ancora molto diffusi sulla sessualità maschile, esiste la concezione che un uomo non possa essere vittima di abuso sessuale se non in casi rari. C’è l’erronea credenza che sia fisicamente impossibile – per una donna – stuprare un uomo e che, nel caso ciò avvenga, costui abbia in qualche modo acconsentito e che ne sia rimasto meno traumatizzato rispetto ad una donna che abbia subito la stessa violenza. Questo discorso potrebbe collegarsi al tema della mascolinità tossica, molto discusso al giorno d’oggi. Si vede spesso il maschio come una macchina sempre pronta ad avere rapporti sessuali e di conseguenza non si ritiene possibile che anche un uomo possa rifiutarsi, o “non avere voglia”. Inoltre l’idea di essere sopraffatti da una donna è considerata stigmatizzante e associata a una presunta mancanza di virilità.
Per via di questi pregiudizi, il numero di denunce di abusi sessuali da parte di uomini è molto basso. A causa dello stigma e della vergogna un uomo potrebbe faticare a parlarne anche in terapia.
Lo stigma che un uomo violentato deve sopportare dipende anche da fattori fisiologici: durante l’abuso sessuale potrebbe esserci, da parte della vittima, un’erezione o l’eiaculazione. C’è il rischio che questo elemento venga considerato dall’abusante, dal sistema giudiziario o dalla comunità medica come un indicatore di consenso e partecipazione all’atto sessuale. Un fattore che, quindi, testimonierebbe il vissuto positivo dell’esperienza. In realtà, però, molti studi (Coolen et al., 2004; Giuliano & Clement, 2005) sulla fisiologia sessuale dell’uomo, hanno evidenziato che è possibile avere un’erezione o eiaculazione anche in una situazione di rapporto non consensuale. Inoltre, tali reazione fisiche possono manifestarsi anche in circostanze di stress estremo (Holstege, Georgiadis, Paans et al., 2003). Per gli uomini vittime di violenza, soffermarsi su questo aspetto è importantissimo, al fine di accettare meglio ciò che è avvenuto.
Altri dati derivanti dagli stessi studi riportano che 1 uomo su 4 ha subito una qualche forma di contatto sessuale indesiderato nel corso della vita. Mentre 1 uomo su 38 è stato vittima di stupro o tentato stupro. Nel 71% dei casi questi eventi avvengono prima dei 25 anni. L’abuso sessuale può avvenire in varie circostanze: l’abusante può essere una persona conosciuta da poco, un partner, un amico, un familiare. La maggior parte degli abusanti (87%) sono di sesso maschile, ma alcuni studi riportano abusi compiuti da donne. Molte ricerche, infatti, distinguono tra i casi di stupro in cui gli uomini subiscono la penetrazione e quelli in cui vengono costretti a penetrare o a svolgere altre attività sessuali senza il loro consenso. Nel caso di quest’ultimo tipo di violenza, è stato riscontrato che i perpetratori sono molto più spesso le donne (79-82%) (Centers for Disease Control and Prevention, 2017).
Cosa si dovrebbe fare
Possiamo concludere affermando che la violenza sugli uomini non è certo frequente quanto quella sulle donne ma che, poiché si tratta di un fenomeno più nascosto e sfuggente, è comunque da non sottovalutare. La priorità è fare in modo che gli uomini denuncino, riuscendo a vincere la vergogna e l’ansia le cui radici affondano in pregiudizi e stereotipi di natura principalmente culturale. Dopo un episodio di violenza domestica, essi provano esattamente le stesse sensazioni delle donne: paura, disagio, dolore, senso di colpa.
Superare lo stigma, sensibilizzare l’opinione pubblica e garantire alle vittime l’accesso a risorse adeguate sono passi importanti per la risoluzione di questa problematica. Le istituzioni potrebbero fare di più, per esempio creando rifugi e centri antiviolenza che accolgano anche uomini. In Italia, ad esempio, esistono assai poche realtà di questo tipo; possiamo citare Ankyra a Milano e il CeAv a Vicenza.
Gli esperti dovrebbero poi approfondire i fenomeni nella loro interezza e complessità, dando a tutti i protagonisti la dignità e l’attenzione che meritano. La violenza domestica è infatti un problema che riguarda tutti, e può essere sconfitta tramite educazione, consapevolezza ed empatia. Forse, quindi, sarebbe opportuno parlare di violenza contro le persone, a prescindere dal sesso e dal genere.
FONTI
https://www.savethechildren.it/
https://www.guidapsicologi.it/
https://www.ilgiornalediudine.com
https://www.barbarabenedettelli.it
https://www.interattivamente.org
https://www.laleggepertutti.it
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