Ispirazione mediterranea

Ispirazione mediterranea: verso il recupero della moda

Quando si perde la capacità di narrare bisogna ripercorrere la propria storia per cercare di recuperarne le radici. Tornare alle origini, dove tutto è cominciato, e recuperare il filo perduto, la corporeità e la capacità di sentire, per poi rielaborare soluzioni nuove. Questo vale anche, e soprattutto, per la moda, che forse un po’ si è persa tra gli intrecci della sua storia, perdendo quel filo che ne ha costituito la trama originaria.

Moda come veicolo identitario, espressione individuale e, allo stesso tempo, sociale. Seguendo il ritmo crescente del progresso e della contemporaneità, la moda ha un po’ perso questi suoi principi più autentici, trasformandosi in una corsa all’ultima tendenza. Artigianalità, elogio alla sartorialità e alla qualità dei materiali, unicità e preziosità delle lavorazioni: tutto questo è stato messo al bando dall’irruenza della moda fast fashion; veloce e a basso costo, poco etica e noncurante delle differenze. Riflessioni attuali come non mai, soprattutto in questo periodo in cui il sistema moda si è ritrovato esposto alle sue logiche contraddittorie.

La consapevolezza di questa insostenibilità è stata portata dal Coronavirus, insieme alla necessità di restaurare una moda più autentica, pura e senza tempo. Ne ha parlato tanto Giorgio Armani, nella lettera aperta che ha fatto riflettere il mondo tessile pubblicata sul Women’s Wear Daily: “La moda ora deve rallentare il suo ritmo insostenibile”.

Ma da dove partire per recuperare questo filo perduto della moda?

Ispirazione mediterranea

Paul Valéry, poeta novecentesco francese, parlava di ispirazione mediterranea, nel tentativo di recuperare la capacità di narrare la propria civiltà attraverso la poesia.

Mediterraneo come punto di incontro tra culture, ispirazioni, esperienze diverse. Punto dove il molteplice si riunisce e trova una comune origine, legata ai sentimenti di condivisione e corporeità. Luogo di ispirazione e riconciliazione con tutti gli elementi naturali, dove mare e terra s’incontrano, dove il progresso s’insidia in un incrocio di culture. Il mediterraneo rappresenta un ancoraggio alle tradizioni, un punto d’appoggio per le nuove narrazioni che, pur esplorando, in qualche modo tornano sempre a casa, a una radice comune, ai i valori che le hanno generate. 

Forse per questo la moda si rifà spesso alla cultura mediterranea, per recuperare un punto fermo in questa frenetica corsa all’ultima tendenza, dove tutto è effimero ancor prima di potersi affermare, non lascia segni stabili nella cultura in cui si diffonde. Appoggiarsi a questo contesto è un po’ come riagganciarsi a un filo identitario destinato a rimanere, attingere a un patrimonio collettivo, per poter lasciare di nuovo segni attraverso l’abbigliamento.

Per questo la moda spesso riparte proprio da qui, dall’intreccio di culture, volti e suggestioni che appartengono ai luoghi bagnati dal Mediterraneo. Culture e etnie vengono rappresentate in un gioco di rimandi, trame e colori. Materiali che riflettono sul rapporto tra moda e ambiente, e ristabiliscono un nuovo equilibrio. Tutto nella moda infatti nasce e finisce con la natura stessa, in un circolo che dovrebbe essere virtuoso e di reciproca ispirazione, anche se spesso l’economia se n’è dimenticata.

L’ispirazione mediterranea è proprio un recupero sensoriale, la capacità di lasciarsi ispirare dalla natura nei suoi elementi più essenziali e contrastanti, nell’immensità della macchia mediterranea che si schiera con la profondità del mare.

Patchwork di Sicilia, l’assemblaggio culturale di Dolce&Gabbana

Esemplare su questo tema è la collezione Patchwork di Sicilia di Dolce&Gabbana, titolo che richiama il cuore pulsante della sfilata presentata a settembre 2020: la Sicilia, uno dei luoghi simbolo della mediterraneità intesa come convivenza di tradizioni, stili e culture che si fondono in armonia e danno vita ai più diversi prodotti culturali. In questo caso, la moda di Domenico Dolce e Stefano Gabbana, letteralmente un patchwork che prende spunto da ogni dove, ricostruendo – come fosse un puzzle – l’anima sicula attraverso gli abiti della collezione.

Abbiamo chiamato la collezione Patchwork di Sicilia perché da quando abbiamo iniziato, 37 anni fa, la Sicilia è al centro del nostro universo creativo, ma anche perché la Sicilia stessa è un patchwork di culture, tradizioni, colori, usanze, stili culinari e persino vini.

– Domenico Dolce e Stefano Gabbana

Centrale è il tema della differenza, degli opposti apparentemente inconciliabili, dei complementari irriducibili. La collezione è un’occasione per riflettere sul tema della convivenza armoniosa, e per ridare valore a ciò che è finito col passare per scontato. La moda che ne scaturisce è un tutto che non è mai la semplice somma delle singole parti, ma una commistione sinergica, in cui ogni elemento trova la sua collocazione. L’ispirazione mediterranea così declinata, nella riscoperta di valori autentici, in questa collezione si racconta in diversi modi.

Ispirazione mediterranea: culture, tessuti e colori

Tutto parte da una sfilata del 1992 e da un racconto corale, a più voci. Pezzi iconici e tessuti inediti sono affidati alle sarte locali, ognuna delle quali è stata lasciata libera di raccontarsi con ago e filo,  apportando il proprio contributo al lavoro a più mani che ha dato vita all’anima della sfilata. Il patchwork è una tecnica antica che deriva proprio dall’arte di legare, mettere insieme, ciò che apparentemente pare come inconciliabile. Che siano tessuti o colori, la diversità è proprio il pregio di questo assemblaggio creativo, simbolo di rinascita, convivenza e artigianalità. 

I colori sono quelli dell’atmosfera calda dei paesaggi mediterranei e del loro immaginario. Tinte vivaci che rimandano ora al mare e ai luoghi attigui, ora ai campi e alle loro colture tipiche; per poi rievocare le ceramiche e le maioliche del posto nel loro tripudio di trame e colori. La collezione, composta da 98 look, per la prima volta non esibisce l’iconico nero: quattro sono i capi in tinta unita, ma sempre in un rimando alla gamma cromatica dell’isola. 

Centrale è il ruolo dei tessuti, a braccetto con il tema ambientale. Perché il patchwork è una tecnica che ben si sposa con la sostenibilità. Recupera ciò che stato abbandonato, ricuce una nuova vita, sempre nell’ottica di un’economia circolare e rispettosa per l’ambiente. 

Si va dai tessuti più semplici fino al denim e ai broccati, ornati di nappe e passamanerie, uniti in un’arte che è quella dello stare bene insieme. Il punto interessante è come questa collezione, concepita in un momento di rinascita, parta da una geografia e dalla sua cultura, e sia realizzata proprio da chi vive l’ispirazione mediterranea nella quotidianità.

Tutto parte dalla natura

Ogni elemento di ciò che indossiamo proviene dalla natura

– Dilys Williams, Director of Centre for Sustainable Fashion, UAL

Il Centro per la moda sostenibile del London College of Fashion ha dato il via ad una serie di iniziative che gravitano attorno al rapporto tra moda e natura. Fashion values è sia una challenge sia un percorso di apprendimento, che invita il mondo della moda a riflettere su come la natura sia sempre il punto di partenza, sia nei processi di design sia come fonte d’ispirazione.

Centrale è il tema della biodiversità, il tessuto vivente che ci avvolge e con cui interagiamo ogni giorno:

Tutto ciò che indossiamo – capi, accessori, gioielli, calzature – è realizzato con materiali che si trovano nel mondo che ci circonda. La moda ha un ruolo fondamentale per vestire la società, e attinge dalla natura sia come fonte di ispirazione estetica che come materia prima : realizziamo moda derivata da piante, animali, insetti, oli, minerali, metalli. Progettiamo fiori, stampe fogliari, paesaggi, scheletri ispirati alla natura e creati dalle sue risorse. Un ecosistema di biodiversità offre alla moda un’incredibile tavolozza da cui attingere.

FashionValues.org

Sempre parlando di tessuti, riflettere sui materiali significa quindi risalire al rapporto tra moda e natura, tornare davvero alle origini per ricostituire un equilibrio collaborativo. A tal proposito, il mondo mediterraneo è anche luogo da cui originano soluzioni innovative sul fronte tessile, partendo dall’arte del recupero di ciò che abbonda e che, diversamente, diventerebbe scarto. 

Orange Fiber, la fibra tessile che deriva dalle arance

È l’esempio di Orange Fiber, fibra tessile che deriva dai sottoprodotti della spremitura degli agrumi, un mercato florido che, nelle zone mediterranee italiane, genera almeno 700.000 tonnellate di scarti l’anno. La fibra sviluppata da Adriana Santanocito e Enrica Arena ha riscosso subito successo nell’ambito dell’economia circolare, perché trasforma un’ingente quantità di scarti in una fibra biodegradabile simile alla seta. Imediterraneon occasione della giornata della terra 2017, è stata protagonista della Ferragamo Orange Fiber Collection, uscendo dai confini siculi per imporsi come alternativa tessile naturale. 

Torna sempre lo stesso concetto: tutto parte e si riduce alla natura, chiave di una moda più etica, sostenibile e, soprattutto, significativa. I prodotti che impiegano questi materiali hanno un valore superiore, proprio perché nascono in sinergia con l’ambiente e le sue risorse.

Mediterraneo, tra moda e cultura

La moda realizzata secondo questi principi si fa veicolo culturale, un’occasione per accendere il dibattito sul rapporto ancestrale che vige tra uomo e abbigliamento, tra essere umani e natura. 

Da più di 20 anni a Caltanissetta, in Sicilia, si svolge Med Moda, un festival internazionale che valorizza le proposte di stilisti e artisti emergenti provenienti dalle zone che trovano un punto d’incontro nel Mediterraneo. 

Anno dopo anno il festival si è fatto un polo culturale, oltre che punto d’incontro, per rappresentare tutte quelle tradizioni tessili, colori e stili che originano proprio dalle promesse eterogenee del bacino. Un’occasione che diventa scambio culturale, un momento libero da qualsiasi conflitto, valorizzato dalla forza attrattiva della moda.

Un nuovo inizio per la moda?

In questo contesto, con il crescente interesse per la sostenibilità, sono sempre di più gli stilisti, emergenti e non, che decidono di ripartire dalle origini, da un recupero dell’essenziale che sta nella natura, proprio come suggerito da Paul Valéry. I punti da affrontare sono tanti, e gli sforzi non pochi, in un periodo in cui il progresso sembra aver semplificato ogni cosa, compresa l’automatizzazione della creatività.

È quando il mondo cambia, e le logiche passate smettono di funzionare, che si rende necessario trovare nuove basi solide su cui costruire. La sostenibilità è un investimento a lungo termine, che richiede il sovvertimento dei modi che hanno governato la moda finora. Si tratta di cambiare mentalità, uscire dagli schemi. Tornare all’esperienza sensoriale e corporea con la natura, tra il sentire e il poiesis, quel fare che origina proprio dal nulla, ”l’attività in cui una persona crea qualcosa che prima non esisteva”.

Sullo sfondo resta lo scenario del Mediterraneo, perenne fonte d’ispirazione, cuore di un mondo antico e anima di una realtà in continuo corso d’opera, mutevole, indefinita, varia come le culture che le danno forma.


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