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Società maschilista: spunti di riflessione sulla realtà italiana

L’aggettivo maschilista, che spesso viene anche utilizzato per descrizione la nostra società, ha origine dal termine maschilismo che indica la tendenza a comportamenti e atteggiamenti personali, sociali e culturali con cui gli uomini esprimono la convinzione di una loro superiorità nei confronti delle donne sul piano intellettuale, psicologico, biologico o lavorativo occupando una posizione di privilegio nella società.

Ciò ha precluso per molto tempo il progresso verso la parità di genere, portando di fatto quasi alla segregazione di bambine, donne e ragazze in ambito domestico, nel ruolo di mogli e madri.

Inoltre, le donne stesse hanno interiorizzato un’immagine di sé come esseri di serie B al servizio degli uomini, con scarse capacità in ambiti al di fuori dei tradizionali compiti di cura, e hanno tramandato tramite l’educazione questi stereotipi di genere sia alle figlie che ai figli.

Origine e sviluppo della società maschilista

Prima di rivolgere l’attenzione l’attuale concetto di società maschilista è fondamentale cogliere a pieno le origini di quella struttura sociale che inizialmente venne definita società patriarcale.

Il termine “patriarcale” descrive la struttura sociale e religiosa in cui vige il “diritto paterno” e  le donne non hanno diritti, ma devono essere protette e mantenute dai maschi (padri, mariti o fratelli), essendo in qualche modo considerate una loro proprietà.

Inizialmente è stata la civiltà greca ad influenzare profondamente le culture ad essa contemporanee, soprattutto quella romana, relegando le donne alla sfera privata e costringendole alla quasi invisibilità, escluse da politica, economia, scienze ed arti.

Con l’avvento della rivoluzione industriale e nei decenni seguiti alla Seconda Guerra Mondiale, i movimenti per diritti delle donne si sono fatti sempre più presenti e influenti.

La società maschilista contemporanea

Arriviamo quindi al concetto di società maschilista contemporanea che verte sostanzialmente su ciò che viene chiamato Male Gaze, ossia la rappresentazione della donna come oggetto passivo dello sguardo esterno maschile. Si tratta di un termine inglese coniato negli anni Settanta da John Berger e poi inserito nel settore cinematografico dalla regista e critica Laura Mulvey nel suo saggio Visual Pleasure and Narrative Cinema.

E’ bene ricordare che attualmente la popolazione mondiale è composta di 3 miliardi e 248 milioni di uomini e da 3 miliardi e 215 milioni di donne. Nonostante la lieve discrepanza numerica a favore degli uomini,  si possono trovare numerose e non proporzionate disparità di genere in molteplici contesti sociali.

Abbiamo deciso di soffermarci sui dati emersi nel settore lavorativo italiano che possono essere degli ottimi spunti di riflessione su tali disuguaglianze.

Il settore lavorativo in Italia

Secondo gli stereotipi di genere, le donne dovrebbero lavorare meno degli uomini o non lavorare affatto, per avere il tempo di dedicarsi alla cura dei figli e alle faccende domestiche.

Tutta via il lavoro è imprescindibile per l’indipendenza economica e materiale ma anche per crearsi una rete sociale e sviluppare abilità e competenze. Lo dimostrano i dati: nell’Unione Europea risulta occupato l’80% della popolazione maschile in età lavorativa, contro il 69,3% di quella femminile.

Nonostante la graduale emancipazione delle donne nella società, in Italia come nel resto dell’Europa, persiste il fenomeno di una maggiore partecipazione maschile al mondo del lavoro, anche perché alcune dinamiche legate alla natura umana della donna, quali il desiderio di procreare e formare una famiglia,  sono ancora motivo di discriminazione e licenziamento sul posto di lavoro.

Invece, è interessante notare che per gli uomini si verifica il fenomeno opposto: gli uomini con figli hanno un tasso di occupazione più elevato (90,1%) rispetto a quelli che non ne hanno (81,1%) e lavorano meno frequentemente part-time. Le madri, oltre a essere quelle con il tasso di occupazione più basso, sono anche la categoria che presenta l’incidenza più marcata di lavoro a tempo parziale (più del 23%).

Dagli uomini (con o senza figli) alle donne (madri o senza figli) si restringe l’occupazione e parallelamente aumenta, al suo interno, l’incidenza del lavoro a tempo parziale.

Tasso di occupazione di uomini e donne europei con o senza figli (2021)

Tra gli uomini con figli e le donne con figli si registra quindi il divario maggiore in termini di occupazione: parliamo di quasi 20 punti percentuali di differenza, mentre tra le persone senza figli il valore scende a 4 punti. Avere figli è quindi una condizione che incide fortemente sull’inserimento lavorativo delle donne a causa della quale si determinano le disuguaglianze più marcate.

Le donne italiane hanno un’alta capacità di adattamento

Alcune ricerche hanno dimostrato che l‘Italia ha il numero più alto in Europa di donne imprenditrici e in grado di rispondere positivamente alla carenza di professioni femminili optando per ricoprire dei ruoli tipicamente maschili; per citare un esempio, l’Italia registra il numero più alto di donne camioniste in tutta Europa.

Inoltre, secondo quanto calcolato dall’International Labour Organization (ILO), la quota di donne in posizioni dirigenziali (Senior management e middle management) è pari a circa il 24%. Non solo. Anche dal Rapporto SDGS del 2021 si evince che in Italia, per il ruolo di presidente o presidente onorario, il valore sale al 27%.

Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che nel nostro Paese solo nel 2022 è stato conferito per la prima volta ad una donna l’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri e inoltre ad oggi, in quasi 77 anni di storia della Repubblica, nessuna donna ha mai ricoperto la più alta carica dello Stato, quella di Presidente della Repubblica.

Come sostenere una reale parità di genere e una società nuova?

Come creare una nuova società, occidentale e non, che sia bilanciata ed inclusiva nei confronti delle donne?

Malgrado negli ultimi anni si stia sostenendo una generale rivoluzione culturale finalizzata a scalzare la mentalità piuttosto tradizionalista e di impronta cattolica diffusa nel nostro Paese, i ruoli di genere rimangono ben delineati e risulta sempre più fondamentale e ricercato un aggiornamento della legislazione italiana nel senso della parità tra i generi.

Nella visione tradizionalista la donna è ancora strettamente legata alle mura domestiche e ciò, nonostante tutto, emerge anche nella nostra legislazione, in cui si trovano leggi sulla violenza psicologica o fisica in ambito famigliare, ma non esiste ancora un corpo di leggi contro le violenze sul lavoro (come il mobbing e le molestie).

Insieme al rinnovamento legislativo è altrettanto importante smantellare le radici culturali sessiste.
Non è un compito facile, serve uno sforzo di coscienza individuale, ma superare questi pregiudizi può non solo migliorare la vita delle singole donne, ma anche promuovere una società più equa e inclusiva vantaggiosa per tutti.

Fonti:

Eco Internazionale

Istat 2024

Parlamento Italiano

https://ecointernazionale.com/2021/05/soffitto-di-cristallo-infrangere-gender-gap/

Rapporto Antigone

https://www.openpolis.it/

Crediti:

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