Pecora d'allevamento fotografata in un prato. Negli allevamenti intensivi le pecore sono tenute in spazi molto ridotti.

La verità scomoda sugli allevamenti intensivi

Nel contesto attuale di crescente consapevolezza ambientale e etica, la produzione e il consumo di carne sono diventati argomenti centrali di dibattito. Nell’articolo che segue, esploreremo da vicino la verità scomoda sugli allevamenti intensivi e, in particolare, le questioni legate alla sostenibilità ambientale e al benessere degli animali. Inoltre, analizzeremo cosa contiene la carne venduta sul mercato italiano e quali sono i  rischi che la produzione di carne comporta per la salute pubblica. Infine, rifletteremo sul ruolo di ogni consumatore nel modellare il futuro della produzione e del consumo di carne.

L’impatto ambientale degli allevamenti intensivi

Gli allevamenti intensivi sono sinonimo di sovraffollamento di animali allevati adottando misure disumane per poter offrire quantità di carne sempre maggiori a prezzi accessibili alla massa. Infatti, guardando la situazione dal punto di vista economico, la legge della domanda ci dice che quando il prezzo di un bene diminuisce, la quantità del bene che i consumatori acquisteranno aumenterà a sua volta e viceversa.

Questi allevamenti si caratterizzano per l’utilizzo di sistemi di produzione altamente meccanizzati, riducendo gli animali a semplici mezzi di produzione e danneggiando l’ambiente. Pertanto, in un’epoca nella quale alcune delle preoccupazioni più grandi sono  rappresentate dai pericoli che l’ambiente sta attraversando e dal futuro delle generazioni a venire, bisogna ricordarsi dell’impatto enorme che gli allevamenti intensivi hanno sull’ambiente. Basti pensare che il loro funzionamento è responsabile del 14.5% delle emissioni totali di gas serra nel mondo (dati riportati dalla FAO 2021), nonché una delle principali cause della deforestazione, utile a creare spazi per l’allevamento. Per di più, l’uso intensivo di acqua e di terra per la produzione di cibo animale contribuisce alla scarsità di risorse naturali e all’insicurezza alimentare globale.  A provare quest’affermazione, è il fatto che per la produzione di 1 kg di carne bovina occorrono circa 15.139 litri d’acqua.

L’impiego di suolo agricolo

Le coltivazioni agricole per la produzione di carne richiedono un notevole uso di suolo, principalmente a causa della necessità di coltivare alimenti per gli animali. La carne di bovino in particolare è quella che richiede più terreno, dovuto alla minor efficienza di conversione.

Circa il 50% di questo impatto sul suolo è dovuto alla pratica agronomica del sovescio ( pratica agronomica che consiste nella semina di verdure in un campo per migliorare la fertilità del suolo), mentre il resto è legato alle colture direttamente praticate per l’alimentazione degli animali.

Anche il foraggio per maiali e polli ha un impatto significativo, con colture come mais, soia e frumento che occupano la maggior parte del suolo agricolo utilizzato dalle società umane a livello globale.

Per tutti questi motivi piselli e soia risultano essere opzioni alimentari più sostenibili rispetto alla carne animale, poiché richiedono meno suolo per produrre la stessa quantità di proteine rispetto a queste ultime – che siano suine, ovine, bovine o avicole. La soia, in particolare, emerge come la fonte più sostenibile di proteine, richiedendo solo 0,8 metri quadrati di suolo per 100 grammi di proteine rispetto ai 12,5 metri quadrati necessari per la carne bovina.

In base ai dati riportati sopra, è chiaro che la produzione di carne inquini notevolmente l’ambiente.

I rischi maggiori per la salute

In un paese la cui Costituzione tutela in modo particolare la salute pubblica bisogna portare più luce sulle conseguenze del consumo di carne proveniente da animali cresciuti in tempi veloci e innaturali in un allevamento intensivo. Per prevenire diverse malattie e favorire la crescita degli animali è molto frequente il ricorso ad antibiotici e sostanze chimiche che sono però pericolose per i consumatori. L’impiego eccessivo di antibiotici negli animali da allevamento favorisce lo sviluppo di batteri resistenti agli antibiotici, che si trasferiscono agli esseri umani attraverso il consumo di carne contaminata.

L’uso spropositato di antibiotici rende in seguito difficoltoso il trattamento di infezioni negli esseri umani. Nei casi più gravi, i batteri di cui stiamo parlando possono diventare super-resistenti, causando infezioni più gravi e potenzialmente letali negli esseri umani. Inoltre, la presenza di residui di antibiotici nella carne può contaminare altri alimenti durante la lavorazione e la preparazione, comportando l’aumento del rischio di ingestione involontaria di antibiotici. 

Le condizioni igieniche inesistenti negli allevamenti intensivi

Riguardo le condizioni igieniche inesistenti negli allevamenti intensivi, David Zanforlini, avvocato che si occupa dei diritti degli animali, afferma che entrando in un allevamento intensivo, o anche solo sentendo anche l’odore presente all’interno, si può capire quanto la qualità della carne venduta sul mercato sia scadente. In particolare, Zanforlini si esprime dicendo che “l’odore è ciò che fa percepire il disagio di questi animali, perché vivono nell’ammoniaca… a chiunque mangia carne, farei passare solo tre minuti all’interno di un allevamento, dopo vediamo se la mangia ancora”.

Il Pre-Summit delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari ha rilevato che gli animali allevati in modo non sostenibile sono fonte del 75% delle malattie zoonotiche emergenti negli ultimi anni. Valentina Rizzi, esperta in malattie EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), afferma che “Una grande proporzione di tutte le malattie infettive negli esseri umani proviene da animali”. Infatti, negli ultimi dieci anni, gli animali tenuti in gabbie strette e cresciuti tra topi, ammoniaca e i propri escrementi sono stati il punto di sviluppo di numerose malattie infettive.

Per queste ragioni, le associazioni ambientaliste e animaliste sostengono che per ridurre il rischio di future pandemie, l’Unione europea e i governi nazionali dovrebbero interrompere il sostegno all’allevamento intensivo nei pacchetti di salvataggio o con altri sussidi pubblici, concentrando invece la propria attenzione sull’agricoltura su piccola scala.

La vita breve e da incubo degli animali

Uno degli aspetti più critici degli allevamenti intensivi è il benessere degli animali. Le condizioni di vita degli animali all’interno di questi sistemi sono estremamente precarie, con spazi ridotti che ricordano un prototipo di camere a gas, mancanza di accesso ai pascoli, pratiche di allevamento che causano stress e sofferenze ulteriori e inutili agli animali. Le pratiche crudeli che vedremo in seguito sono contrarie ai regolamenti che troviamo nella Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali. Quest’ultimi soffrono di stress, frustrazione, malattie e lesioni dovute alle pratiche di gestione dell’allevamento. 

Alcune delle pratiche effettuate quotidianamente

Ad esempio, la mutilazione sistematica del becco dei pulcini destinati a diventare galline ovaiole viene effettuato per impedire il più possibile il continuo beccarsi e ferirsi reciprocamente, comportamenti aggressivi che originano dalla condizione di stress immenso in cui gli animali sono costretti a “vivere”. L’aspetto peggiore di questa pratica è il fatto che il becco dei pulcini è ricco di terminazioni nervose e il dolore causato è inimmaginabile. In modo analogo, ai maiali ancora in fase di allattamento viene amputata la coda per evitare episodi di violenza una volta diventati adulti. Viene inoltre praticata la castrazione per eliminare un cattivo odore nelle carni. Tutte queste pratiche, per di più, vengono effettuate senza anestesia. Le scrofe sono rinchiuse all’interno di gabbie rendendo impossibile il movimento, pratica utilizzata per assicurare l’ingrassamento più veloce in uno spazio di tempo ridotto.

Un’altra pratica disumana è l’alimentazione forzata di anatre e oche con cibo grasso, più volte al giorno, attraverso un tubo inserito in gola che raggiunge l’esofago. Questa tortura fa parte del processo di produzione del paté detto foie gras (letteralmente “fegato grasso” in francese). La procedura utilizzata, infatti, causa lo sviluppo della lipidosi epatica portando il fegato degli animali a dimensioni fino a dieci volte maggiori rispetto a quelle di un fegato normale.

Nel campo della produzione delle carni ovine, invece, gli agnelli vengono solitamente sgozzati ancora coscienti, dopo essere stati storditi in modo approssimativo con l’aiuto delle pinze elettriche.

I procedimenti qui riportati rappresentano una piccola parte di tutto ciò che avviene quotidianamente negli allevamenti intensivi. Animali che potrebbero avere una vita dignitosa e una morte indolore e veloce subiscono invece torture spietate che rendono le ultime ore o gli ultimi giorni della loro vita un inferno sulla Terra.

Come possiamo migliorare la situazione?

La questione degli allevamenti intensivi richiede una riflessione seria e approfondita sui modelli di produzione e consumo alimentare che vogliamo sostenere, e sull’impatto che essi possono avere sulla nostra salute e sul futuro delle generazioni più giovani. Grazie all’offerta enormemente varia presente sul mercato, i consumatori hanno la possibilità di fare scelte più sostenibili per la propria salute e per il benessere del pianeta attraverso dei passi semplici.

Promuovere una dieta più a base vegetale

Prima di tutto, bisognerebbe adottare pratiche di allevamento più etiche, che comprendano l’aumento dello spazio vitale e l’accesso a esercizio all’aperto. Allo stesso tempo, l’incentivazione della trasparenza attraverso l’etichettatura chiara dei prodotti animali aiuterà i consumatori a fare scelte informate. Inoltre, investire nella ricerca di alternative sostenibili alla produzione di carne e promuovere una dieta maggiormente a base vegetale possono ridurre la dipendenza dagli allevamenti intensivi.

Implementare normative più rigorose

Sul piano giuridico diverse associazioni come Animal Equality si attivano ogni giorno per l’adozione di pene più severe per gli operatori delle aziende che non rispettano le norme vigenti riguardanti la tutela del benessere degli animali. Nei casi di violazione di queste norme si va incontro ad una sanzione dai 4 mesi ai 2 anni in caso di uccisione ingiustificata e ad una sanzione minore nei casi di maltrattamento.

Tuttavia, si parla della responsabilità penale dell’azienda o degli operatori solo se si riesce a dimostrare che il metodo adottato nella gestione aziendale comporta il maltrattamento e l’uccisione ingiustificata degli animali. Purtroppo, la possibilità di dimostrare il fallimento nella gestione corretta dell’azienda è molto bassa, siccome i controlli non sono sufficienti a condannare i gestori e gli operatori delle aziende. Spesso, inoltre, i controlli effettuati non riportano minimamente le condizioni infernali negli allevamenti intensivi, essendo queste considerate normali oppure necessarie per la produzione di carne.

Fortunatamente, ognuno di noi può fare la propria parte firmando petizioni e partecipando attivamente alle attività proposte dalle associazioni che lottano per i diritti degli animali.

Non discriminare in base alla specie

Dovremmo unirci tutti al fine di combattere le ingiustizie subite dagli animali, poiché riconoscere il loro diritto a vivere una vita serena in condizioni igienico-sanitarie accettabili non solo ha ripercussioni sul loro benessere e la loro dignità, ma dimostra anche la nostra stessa umanità. 

Non c’è differenza tra gli animali che ora si trovano negli allevamenti intensivi e i cani o i gatti che vivono con noi. Ogni animale è un essere senziente: si affeziona facilmente agli esseri umani che lo curano sviluppando sentimenti di amore e fedeltà e, allo stesso tempo, è capace di sentire ogni dolore che gli viene inflitto.

Solo attraverso un impegno costante e concreto da parte di tutti  potremo creare un pianeta più equo per tutti.

 

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