Il problema ecologico dell’incessante produzione di plastica nella società contemporanea è noto ormai da decenni, eppure in molti settori non è stato ancora possibile nemmeno rallentare l’utilizzo di questo materiale. Se siamo ormai abituati all’idea di portarci dietro una borraccia piuttosto che comprare una bottiglia d’acqua, e non ci scandalizza affatto l’idea di utilizzare uno spazzolino in bambù, difficilmente ci immaginiamo di poter fare la spesa senza acquistare almeno qualche prodotto avvolto in plastica – anche al mercato. Il settore alimentare, particolarmente nei supermercati, è ancora il regno della plastica: dagli espositori di frutta e verdura, al reparto dolci con merendine e cioccolatini incartati uno per uno, fino al reparto dei prodotti da bagno.
Molta, moltissima plastica
Secondo il rapporto Coop 2019, nei supermercati italiani viene imballata nella plastica una quantità davvero strabiliante di alimenti: il 73 % dei cibi e il 17% delle bevande, per un totale di circa 43 kg a persona ogni anno – vale a dire, in totale, milioni di tonnellate di plastica.
Se, come mostrano queste percentuali, le alternative del Tetrapak e del vetro per sono comunque molto popolari, assai diverso è il caso degli alimenti: la quasi totalità degli alimenti freschi (come carne, pesce, salumi, prodotti di gastronomia calda e fredda, ortaggi e frutta pronta) è confezionata in imballaggi o vaschette di plastica.
Sebbene la sensibilità rispetto a questo tema sia aumentata negli ultimi anni, insieme all’utilizzo di packaging alternativi come la carta – materiale in forte crescita – la quantità totale di plastica utilizzata nell’industria alimentare italiana è in realtà aumentata. Secondo COREPLA, il Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica, nel 2022 sono stati immesse sul mercato quasi 2 milioni di tonnellate di imballaggi di plastica, ossia lo 0,5% in più rispetto al 2012. Di queste, per fortuna, quasi 727.481 tonnellate (poco meno della metà del totale) sono state avviate al riciclo. Tuttavia, anche la virtuosa pratica del riciclo non è affatto priva di impatto ambientale; per questo, ancor più che il riciclo andrebbe favorito il riuso.
In Italia il 70% della plastica che in un anno subisce processi di riciclo proviene proprio dal settore alimentare, il che non è necessariamente un bene: più auspicabile sarebbe infatti diminuire drasticamente l’uso della plastica nel settore. Anche perché, ci si potrebbe chiedere, è davvero necessario utilizzarne tanta?
Perché imballiamo gli alimenti nella plastica?
Per millenni nessuno ha sentito la necessità di imballare gli alimenti in metri di materiale plastico. Le cose sono però cambiate drasticamente con l’avvento della grande distribuzione, e ad oggi l’imballaggio in plastica rappresenta ancora la miglior modalità tecnologica per conservare correttamente gli alimenti ad un costo ragionevole.
Inoltre, anche l’estetica ha un certo ruolo: il supermercato è una grande esposizione di cibo, il cui obbiettivo è attirare il “visitatore”: anche l’occhio, quindi, vuole la sua parte. Da un punto di vista commerciale questo è un aspetto irrinunciabile. La plastica infatti, con la sua trasparenza, aiuta ad attirare il cliente permettendo l’osservazione e la scelta del prodotto. Un vero e proprio vantaggio strategico. Inoltre, la plastica è una protezione piuttosto efficace contro danni meccanici e termici, e rappresenta un buon compromesso – rispetto a materiali alternativi come il vetro – per la facilità del trasporto, grazie al suo peso esiguo.
I pregi degli imballaggi in plastica, insomma, sono indubbi, ma c’è da chiedersi: tutti i prodotti hanno veramente bisogno di essere imballati?
Molti come, la frutta e la verdura, teoricamente no, perché sono già naturalmente protetti dalla buccia. Tuttavia, talvolta l’imballaggio in plastica aumenta notevolmente la vita di un ortaggio o di un frutto – come è il caso, ad esempio, dei cetrioli, che vengono imballati perché rimangano croccanti più a lungo. A livello commerciale e pratico, nel quadro della grande distribuzione, non è semplice rinunciare a questo vantaggio.
I pericoli della plastica
Tuttavia, anche dove è assolutamente necessario un imballo impermeabile e rigido – pensiamo ai prodotti umidi – bisogna considerare che l’utilizzo della plastica ha delle conseguenze molto negative: oltre 50 studi, raccolti nel rapporto pubblicato dal WWF insieme all’università di Newcastle, Australia, concordano sul dire che ogni settimana ingeriamo circa 5 grammi di microplastiche. Più o meno come mangiassimo una carta di credito!
Inoltre, la produzione e lavorazione della plastica dipende dai combustibili fossili ed è quindi inquinante e poco sostenibile. In fase di smaltimento poi, la plastica pone grandi problemi, primo tra tutti la dispersione in mare di rifiuti plastici, i quali entrano nelle catene trofiche e poi sulla nostra tavola. Ancora negli ultimi anni, gli imballaggi alimentari in plastica sono rimasti il secondo tipo di rifiuto più raccolto nei mari.
Inoltre, alcuni materiali plastici contengono sostanze nocive, come ad esempio il bisfenolo A, che può migrare dalla plastica agli alimenti mettendo a rischio la nostra salute.
Le soluzioni alternative alla plastica e la loro fattibilità economica
La consapevolezza delle criticità legate all’uso di imballaggi in plastica si traduce in un’aumentata domanda da parte dei consumatori e pressione da parte dell’Unione Europea (si vedano i recenti regolamenti sulla riduzione della plastica negli imballaggi), che a loro volta stimolano la ricerca di alternative più sostenibili. Assistiamo infatti a un aumento dei prodotti “plastic free”, ossia senza imballaggio (prevalentemente frutta e verdura) oppure imballati con packaging alternativi e più ecosostenibili: dalla semplice carta fino ai materiali più innovativi.
Qualche esempio? Le famose “buste della spesa” sono ormai comunemente rappresentate da borse riutilizzabili, magari in tela. La stessa busta fornita dai supermercati è, nella grande maggioranza dei casi, un sacchetto biodegradabile o in carta riciclata. D’altronde, che queste alternative ormai affermatesi sul mercato siano davvero più sostenibili, indipendentemente dalle nostre abitudini, non è così scontato: per un’analisi approfondita e rigorosa dell’argomento vi consigliamo la visione di questo video, che si basa su studi aggiornati.
In ogni caso, il vero problema per una rivoluzione sostenibile del packaging alimentare restano i contenitori per il cibo. In questo caso trovare alternative è più complesso: il vetro e l’alluminio inossidabile sono molto efficaci per proteggere gli alimenti da sbalzi termici e meccanici, ma sono evidentemente molto più dispendiosi della plastica – per il produttore, e di riflesso anche per i consumatori! Il vetro, inoltre, avendo un peso decisamente maggiore rispetto alla plastica, risulta meno sostenibile in fase di trasporto poiché richiede un più alto dispendio energetico per la sua movimentazione, oltre a risultare meno pratico a causa della sua fragilità.
Tra le più recenti e innovative proposte alternative alla plastica nel campo degli imballaggi alimentari troviamo i tessuti trattati con cera d’api: tessuti di cotone intrisi di cera d’api che li rende impermeabili e facilmente avvolgibili intorno ad alimenti relativamente rigidi ma freschi/umidi, come ad esempio i formaggi stagionati. Riutilizzabile da parte del consumatore e del tutto biodegradabile, questo materiale appare molto ecologico, tuttavia è possibile interrogarsi sulla sostenibilità della produzione di cera d’api in quantità sufficienti per le necessità del mercato. Imballare gli alimenti con tela e cera d’api, inoltre, resta molto più dispendioso rispetto alla sistema-plastica, richiede molte attenzioni per garantire l’igiene e, per di più, non è una soluzione adatta a tutti gli alimenti.
Esistono, poi, materiali di imballaggio compostabili: la carta, il cartone (ancora più ecologici se riciclati o provenienti da foreste gestite responsabilmente) e le plastiche biodegradabili. Tuttavia, mentre i primi non sono adatti a tutto (ad esempio agli alimenti umidi o che necessitano di una chiusura ermetica), le ultime sono spesso utilizzate in imballaggi molli – si pensi ai sacchettini per frutta e verdura – ma è più raro vederle sfruttate per imballaggi rigidi quali vasetti e vaschette per yogurt, affettati etc, principalmente a causa dei costi di produzione ancora troppo elevati rispetto alla plastica tradizionale.
Vi è poi l’opzione della plastica riciclata, che però richiede molte attenzioni e processi tecnicamente complessi per garantirne la sicurezza a contatto diretto con gli alimenti.
Infine, un’altra opzione è quella degli imballaggi in bambù, anch’essa però non applicabile a tutti i prodotti in modo semplice ed efficace. Inoltre, come nel caso del vetro, anche per il bambù la valutazione di sostenibilità deve tenere conto di molteplici fattori: il suo smaltimento non dà problemi, ma la sua produzione presenta alcuni rischi per l’ambiente (a causa dei trattamenti chimici spesso utilizzati per assicurare la longevità del materiale). Inoltre, il bambù infatti cresce prevalentemente in Cina, quindi trasportarlo nel mondo in grandi quantità ha un impatto inquinante elevato. Bisogna infine tenere presente il potenziale squilibrio nell’ecosistema causato da una produzione di massa del bambù, che peraltro è una pianta invasiva. Gli effetti negativi della produzione su vasta scala è una problematica che il bambù condivide anche con altre alternative “green” sfruttate in ambito alimentare, quali la soia e le mandorle usati in sostituzione dei prodotti animali.
Per alcune tipologie di prodotti si può considerare la possibilità di non utilizzare alcun tipo di packaging, come succede già con molta frutta e verdura, la quale poi viene trasportata dal consumatore in borse compostabili o riutilizzabili. Anche in questo caso resta tuttavia da considerare la fase del trasporto fino al supermercato, in cui va garantita l’integrità del prodotto. Un’opzione che viene alla mente è l’utilizzo di cassette e di pluriball per ammortizzare gli urti. Certo, questo ultimo è un materiale plastico, ma è anche generalmente riutilizzabile, quindi non andrebbe ad aggiungersi a tanti altri packaging di plastica monouso che ingrossano i sacchi della spazzatura di case e condomini.
Una sfida per il futuro
Insomma, ridurre drasticamente l’utilizzo della plastica nel comparto alimentare è possibile e urgente, ma non così semplice. Un’analisi completa della sostenibilità di imballaggi alimentari alternativi, infatti, deve tenere conto dell’impatto ambientale del packaging nel suo complesso (dalla produzione allo smaltimento), ma anche della sua sostenibilità economica (costo) e sociosanitaria (igiene e rischi per la salute), nonché della sua praticità.
D’altronde, ne siamo ormai coscienti, è il modo di vita contemporaneo degli esseri umani – e il loro numero – a costituire un problema per il pianeta, non semplicemente la tecnologia e i materiali che utilizziamo. Ritrovare un equilibro tra le nostre vite e le risorse del pianeta è una sfida complessa, che richiede tutto l’ingegno e l’impegno di cui l’umanità è capace.
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