Vita da prof: quanto si guadagna e come si diventa insegnanti in Italia e in Europa

Per gli aspiranti professori il 2024 sarà l’ultimo anno in cui sarà possibile accedere al concorso nazionale con soli 30 o 24 CFU (crediti formativi universitari). Dal 2025, infatti, entreranno in vigore a pieno regime le nuove normative previste dal D.lgs. n. 59/2017, modificato dal DL 36/2022 (convertito in legge n. 79/2022). Secondo le nuove regole, il percorso universitario di abilitazione consisterà nel conseguimento di 60 crediti, ovvero il doppio di quelli attualmente richiesti per accedere ai concorsi della “fase transitoria” in cui ci troviamo tutt’ora. Inoltre, nel marzo 2023, il governo ha sbloccato 300 milioni per un aumento dello stipendio degli insegnanti. Questi cambiamenti recenti portano ancora una volta a riflettere sui temi dell’educazione, della scuola e soprattutto sulle condizioni degli insegnanti nel nostro Paese.

È vero che i docenti in Italia guadagnano poco? Lo stipendio degli insegnanti

Sul tema delle retribuzioni, nell’ottobre 2023 INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa) ha pubblicato un articolo abbastanza dettagliato sugli stipendi degli insegnanti e capi di istituto delle scuole pubbliche in generale. L’articolo riassume a sua volta i contenuti del rapporto Eurydice relativo all’anno scolastico 2021/22. Naturalmente, l’indagine non tiene conto dei suddetti aumenti ma le considerazioni fatte sono comunque valide.

La prima osservazione riguarda l’inferiorità dello stipendio lordo degli insegnanti italiani confrontati con quelli dei docenti dei Paesi a noi “vicini” (Francia, Spagna e Germania, ad esempio). In Italia si parte da un minimo di 24.297 euro per arrivare a un massimo di 40.597 euro a fine carriera. In Germania il minimo è di 54.129 euro e il massimo è il doppio di quello italiano. Questo è il paragone più eclatante, tuttavia anche in Francia e Spagna si rilevano retribuzioni superiori.

L’osservatorio Cpi (Conti Pubblici Italiani) dell’Università Cattolica ha calcolato che per portare gli stipendi dell’Italia ai livelli europei medi sarebbe necessario stanziare 2,9 miliardi di euro all’anno. Questo dato tiene conto del potere d’acquisto, cioè della quantità di beni o servizi acquistabili tramite la retribuzione. Prendendo in considerazione questo aspetto, il divario rispetto alla media europea è un minimo colmato, perché il potere di acquisto in Italia è più alto.

Bisogna però tenere in considerazione anche le specificità delle varie regioni italiane. Se si rapporta la retribuzione del docente alla soglia di povertà, è evidente la diversità di condizione tra un insegnante di Milano e uno di Napoli, ad esempio. Infatti, il valore della soglia di povertà, calcolato da Istat in base al costo della vita, è diverso per ogni regione. In particolare, a Milano è 1175 euro, mentre a Napoli  è 713 euro. Ciò implica che un docente neoassunto alla scuola primaria, con retribuzione mensile di 1400 euro in tutta Italia, a Napoli riceve uno stipendio pari al doppio della soglia di povertà di quella regione, mentre a Milano la sua paga è solo il 119% della soglia di povertà calcolata per la Lombardia.

Un insegnante milanese, quindi, non può essere considerato con certezza “non povero” sulla base della definizione Istat, secondo cui si può essere definiti tali se si percepisce un reddito pari almeno al 120% della soglia di povertà. Questo, naturalmente, scoraggia i giovani a intraprendere una carriera in questo settore e sfavorisce chi ha meno mezzi economici.

L’aumento della retribuzione con l’avanzamento della carriera

Un’altra prospettiva interessante da cui guardare la questione è il potenziale di aumento dei salari nel corso della carriera dei docenti.

Stipendi insegnanti in Europa

Guardando ai Paesi europei presi in considerazione, si possono individuare quattro situazioni principali:

  • aumento significativo dello stipendio in tempi brevi;
  • aumento significativo ma in tempi più lunghi;
  • aumento esiguo ma dopo pochi anni di servizio;
  • aumento esiguo raggiungibile solo dopo molti anni di anzianità.

L’Italia, purtroppo, rientra in quest’ultimo caso, poiché gli insegnanti possono sperare in un aumento del 49% dello stipendio (aumento massimo) dopo 35 anni di servizio. Si presenta una situazione simile anche in Spagna. Da questo punto di vista il Paese migliore sembra essere Cipro, con una possibilità di aumento della retribuzione massima di più del 140%, auspicabile dopo 24 anni. A Cipro, dopo soli 10 anni di servizio, lo stipendio del docente aumenta già più di quanto aumenti quello italiano dopo 30 anni. Come in Italia, anche in Portogallo e in Grecia per raggiungere i massimi incrementi sono necessari circa 35 anni. In questi Paesi, però, l’attesa premia maggiormente perché l’aumento è almeno del doppio (100%), se non di più.

Scuola primaria e scuola secondaria

Un ulteriore tema di indagine si riferisce alla differenza di stipendio dei docenti valutata in funzione del livello di istruzione in cui insegnano. Generalmente, gli insegnanti della scuola primaria tendono a guadagnare meno rispetto a quelli della scuola secondaria superiore. Perché questo divario? Nella maggior parte dei Paesi è dovuto ai differenti requisiti richiesti per poter accedere alla professione. Non in Italia, però. Qui gli stipendi di base degli insegnanti di scuola primaria sono inferiori, nonostante il requisito sia la laurea magistrale per tutti i docenti di ogni grado.

I percorsi formativi degli insegnanti

A proposito di requisiti, è interessante domandarsi quali siano le competenze richieste ai futuri insegnanti e come siano strutturati i percorsi formativi previsti nei vari Paesi d’Europa. Un altro articolo di INDIRE spiega che nella maggior parte dei casi il livello di istruzione di base richiesto è quello equivalente a una nostra laurea magistrale. In Europa esistono fondamentalmente due tipi di formazione iniziale per gli insegnanti: il percorso concorrente e quello consecutivo. Nel primo caso gli studenti si formano sia teoricamente che praticamente mentre svolgono il loro percorso di studi generale della disciplina scelta. Nel secondo, invece, la formazione specifica per l’insegnamento avviene successivamente alla laurea (o titolo equivalente).

In Europa è accettata praticamente all’unanimità l’idea che una formazione efficace debba includere tre aspetti differenti: le conoscenze disciplinari, la teoria pedagogica e la parte pratica (tirocinio). Ciò che diversifica fortemente i vari Stati è la durata della formazione specifica per la professione di docente. Nel Belgio francese, in Irlanda e a Malta si ha una durata del 50% rispetto alla totalità della formazione dello studente. In Italia, invece, la percentuale di formazione professionale inclusa nei piani di studio è dell’8%. Inoltre, attualmente non è previsto il tirocinio in classe per i futuri professori della scuola secondaria.

La crisi dell’insegnante italiano

Nel nostro Paese la crisi della figura professionale del docente presenta diverse sfaccettature. Innanzitutto, la “popolazione docente” sta subendo un significativo invecchiamento e coesistono sia un eccesso di domanda, sia un eccesso di offerta. Ciò è dovuto probabilmente ai difetti del sistema di reclutamento. Inoltre, in Italia il 78% dei giovani insegnanti con meno di 35 anni è precario. Sempre tra i giovani, solo la metà riporta di aver ricevuto una formazione pre-insegnamento riguardante tutte e tre le aree citate sopra. La Spagna e la Francia presentano dati simili ai nostri per quanto riguarda la formazione professionale di tutti gli insegnanti, ma vedono un miglioramento proprio tra gli under 35. Questo testimonia l’efficacia delle politiche introdotte recentemente in questi Paesi. In Italia, invece, la situazione per i giovani non migliora, almeno per il momento. Si spera infatti che le riforme previste, una volta attualizzate, portino a un’inversione di rotta.

Pro e contro della nuova riforma

Una novità che sarà introdotta dalla riforma è infatti il tirocinio per i giovani aspiranti insegnanti. Esso assumerà un’importanza maggiore rispetto al presente perché, all’interno dei 60 cfu, almeno 20 sono previsti per attività di tirocinio diretto e indiretto (non retribuito). Dopo aver concluso il percorso da 60 crediti e aver superato la prova del concorso nazionale, il docente dovrebbe svolgere un anno di servizio in prova con una valutazione finale. A questo punto, la valutazione finale positiva conferma la sua assunzione a tempo indeterminato.

Questa riforma del percorso di abilitazione sicuramente contribuirà a valorizzare il ruolo dell’insegnante in quanto figura professionale “specializzata”. Ci si domanda, però, se dopo tutti gli sforzi fatti per concludere questo percorso (che a livello economico ha ovviamente dei costi), i docenti possano sperare in un migliore trattamento della propria categoria, in termini di stipendio e non solo.

 

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