Intervista al Professor Claudio Martinelli, docente presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca
L’Unione europea ha trasformato il volto dell’Europa: da un continente dilaniato dalla guerra dopo il 1945 a un’area di pace e prosperità. Questo percorso di integrazione, iniziato con piccoli passi di cooperazione economica negli anni ’50, ha portato alla creazione di un’Unione economica e politica, forte ed influente. Di certo, però, non è stato un tragitto semplice, né tantomeno veloce.
Oggi, l’UE è un’unione di 27 Stati, con istituzioni centrali che che cooperano e deliberano su un ampio spettro di settori: dalla politica economica alla giustizia, dalla sicurezza alla tutela ambientale.
Il viaggio, tuttavia, è ben lontano dalla fine. Le prossime elezioni del Parlamento Europeo, in programma l’8 e il 9giugno prossimo, segneranno un punto cruciale per il futuro dell’Unione.
Per comprendere le sfide e le opportunità che queste elezioni rappresentano per il futuro dell’integrazione europea, abbiamo intervistato il Professor Claudio Martinelli, docente di Diritto Pubblico Comparato e Diritto Parlamentare presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, autore del libro “Il Parlamento europeo. Simbolo o motore dell’Unione?”, pubblicato a marzo di quest’anno da Il Mulino.
Da dove è partito il viaggio europeo e dove sta andando? Dove porteranno le imminenti elezioni? In questo articolo cercheremo di offrire agli elettori una bussola per orientarsi prima del voto. Esploreremo il passato, il presente e il futuro dell’Unione europea, tentando di dipanare la complessità dei meccanismi istituzionali e politici, ed analizzando le scelte che l’UE sarà chiamata a compiere negli anni a venire.
Infine, tracceremo le implicazioni che la storia europea avrà sulle imminenti elezioni ed il loro impatto sul destino dell’Europa.
Una complessità tutta europea
L’UE ha una struttura istituzionale complessa e unica, progettata per bilanciare gli interessi degli Stati membri e garantire un processo decisionale condiviso. Le principali istituzioni dell’UE includono:
Parlamento Europeo: eletto direttamente dai cittadini, approva, emenda o respinge le leggi proposte dalla Commissione e supervisiona le altre istituzioni;
Commissione Europea: propone le leggi, gestisce il bilancio e assicura l’attuazione delle politiche;
Consiglio dell’Unione Europea: composto dai ministri delle varie nazioni, insieme al Parlamento, adotta le leggi e coordina le politiche;
Consiglio Europeo: composto dai leader degli Stati membri, stabilisce le priorità politiche dell’UE, ma non legifera.
Queste istituzioni lavorano di concerto tramite un processo decisionale molto articolato, che richiede negoziazioni e compromessi continui. L’UE si avvale, inoltre, di più di 30 agenzie specializzate che implementano le politiche sul campo, operando in diversi settori quali salute, trasporti e ambiente.
La complessità di questa struttura deriva dalla necessità di rappresentare e armonizzare una vasta gamma di interessi nazionali e settoriali. Le istituzioni dell’UE operano in sedi diverse (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo) e devono coordinare le attività di circa 60.000 funzionari che servono una popolazione di circa 450 milioni di cittadini.
Il ruolo del Parlamento UE
All’interno di questa complessità, il Parlamento europeo si presenta come l’unico organo che, dal 1979, è eletto direttamente dai cittadini europei a suffragio universale.
“Il Parlamento per lungo tempo, certamente fino al 1979, ma per certi aspetti anche dopo, non ha avuto una apprezzabile capacità di incidere nelle scelte politico-giuridiche dell’UE paragonabile a quella delle altre istituzioni” sottolinea il Professor Martinelli, “ma ragionare oggi come se la situazione fosse ancora quella di ieri sarebbe un errore, perché da tempo le cose non stanno più così: il Parlamento UE è ormai a tutti gli effetti uno dei motori dell’Unione europea“.
Di fronte all’accusa di eccessiva burocrazia rivolta al Parlamento e all’UE, il Professore asserisce che “gli accusatori non sanno bene come funzioni l’UE e adottano uno dei tipici stilemi complottisti. In realtà, se paragonato alle burocrazie degli Stati nazionali, non è affatto vero che l’UE ha una burocrazia elefantiaca, anzi probabilmente è dotata di una struttura burocratica perfino sottodimensionata. Inoltre, le procedure non prevedono affatto un dominio dei burocrati sui politici. Nel caso del Parlamento siamo di fronte ad un’istituzione eletta direttamente dai cittadini, ma ciò non significa che le altre siano costituite da burocrati, anzi si tratta di istituzioni che rispondono a precisi criteri democratici, sia dal punto di vista delle modalità da seguire per la loro formazione, sia perché sono comunque espressione di istituzioni nazionali a loro volta corrispondenti a principi democratici.”
Conclude su questo aspetto affermando che “quindi, quello della burocrazia è un luogo comune che ci portiamo dietro. Occorre non rinunciare a mettere sotto la lente di ingrandimento questi luoghi comuni: uno degli scopi della mia pubblicazione è proprio quello di offrire un piccolo contributo a rendere un po’ più conosciute e chiare le istituzioni e le loro procedure”.
Euroscetticismo: realtà e percezione
Il tema dell’euroscetticismo è spesso al centro del dibattito pubblico sull’UE, ma quanto è realmente diffuso e qual è la percezione reale tra i cittadini europei?
Anzitutto, va sottolineato come questa questione sia strettamente legata alla complessità della politica europea e della struttura istituzionale.
Questa complessità può generare una percezione di distanza e incomprensione tra i cittadini, alimentando critiche e dubbi sulla sua efficacia.
Secondo Claudio Martinelli, “tutto è a macchia di leopardo. Ci sono paesi che sono entrati nell’UE molto tardi e dove di euroscetticismo non c’è nemmeno l’ombra. È vero che ci sono partiti euroscettici, ma non mi risulta che nessun paese guidato da questi partiti si stia apprestando ad uscire dall’Unione”. Molti potrebbero erroneamente pensare che in seguito alla Brexit, l’eurocontrarietà, perlomeno a livello partitico, sia aumentata. In realtà, evidenzia Martinelli “la Brexit è un fatto britannico e non rappresenta un movimento continentale. Paradossalmente, dopo la Brexit, il numero di partiti euroscettici è diminuito ma soprattutto è quasi scomparsa dal dibattito pubblico europeo qualunque velleità di fuoriuscita dalla UE o dall’Euro. Uno degli esempi più chiari mi sembra proprio il nostro Paese”.
Martinelli invita a relativizzare l’idea di un euroscetticismo dilagante. “Da cosa sappiamo che sta dilagando questo euroscetticismo? Non saremo fuorviati dal fatto che esistono partiti e leader, sempre meno forti, che urlano contro l’Unione europea?” Molti cittadini, inclusi i giovani, sono poco appassionati di politica europea non per un’avversione specifica, ma perché non comprendono appieno il funzionamento delle istituzioni dell’UE.
Le cause della disaffezione
Il Professore invita poi a una riflessione sulle cause profonde della disaffezione politica dei cittadini, individuandone principalmente due. Prima tra tutte “la complessità dell’architettura istituzionale dell’UE”. Le strutture e i processi decisionali dell’UE possono sembrare lontani e difficili da comprendere per i cittadini.
Tuttavia, secondo Martinelli, c’è una causa ancora più significativa legata alla natura stessa della politica moderna. “Rispetto a 50 anni fa, la politica di oggi non ha più nulla di palingenetico, e per fortuna! Le ideologie palingenetiche sono quelle uscite sconfitte dal Novecento perché hanno portato tragedie immani.”
Oggi, i cittadini tendono a interessarsi di più a questioni specifiche: “la dimostrazione di ciò sta nel fatto che oggi gli entusiasmi politici non sono di tipo partitico ma per issue“, tendenza evidente anche tra i giovani che mostrano interesse a temi particolari, piuttosto che a generali ideologie di partito. In sostanza, il calo dell’entusiasmo politico riflette un più ampio cambiamento nella politica moderna, che si è spostata dalle grandi ideologie del passato verso un coinvolgimento più focalizzato su questioni specifiche.
L’euroscetticismo è un fenomeno complesso e spesso mal interpretato. Mentre esistono voci forti e critiche nei confronti dell’UE, la realtà è che la maggior parte dei cittadini non è tanto euroscettica quanto disconnessa e disinformata sui meccanismi dell’Unione. Per colmare il vuoto conoscitivo è necessario migliorare la comprensione e la trasparenza delle istituzioni europee, e incentivare un coinvolgimento politico più informato e consapevole.
L’Europa al bivio: la scelta di direzione
L’Unione Europea, alla vigilia delle elezioni, si trova a un bivio cruciale. Il voto di giugno 2024 rappresenterà un momento decisivo per il futuro dell’Unione. Qual è l’attuale la situazione a livello nazionale ed europeo? Quali saranno le scelte degli elettori e dei loro rappresentanti eletti?
A livello interno ed internazionale, l’UE sta affrontando numerose sfide che ne stanno mettendo alla prova coesione e capacità di azione. Internamente all’Unione, la complessità di istituzioni e meccanismi decisionali rende difficile la gestione efficace delle politiche comuni, alimentando una certa disaffezione tra i cittadini. A livello internazionale, l’UE deve confrontarsi con questioni geopolitiche complesse: tensioni tra grandi potenze globali, gestione delle crisi migratorie ed emergenza climatiche, per citarne alcune.
Claudio Martinelli afferma: “La mia impressione è che queste elezioni segnino il raggiungimento di un bivio. È come una macchina che ha fatto un lungo viaggio, anche tormentato e pieno di problemi dentro cui, a un certo punto, si è arrivati a un traguardo parziale“.
Il traguardo di cui parla Martinelli rappresenta il momento in cui l’UE deve scegliere la direzione futura tra tre opzioni possibili.
Le strade che si aprono per l’UE
La prima delle opzioni è continuare sulla strada attuale, mantenendo le strutture e i processi esistenti. Una scelta che implica l’accettazione delle attuali limitazioni attuali dell’UE, quali la sua relativa inefficacia in alcune aree strategiche, come la politica estera e di difesa. “Dire che siamo di fronte a un bivio non vuol dire che è impossibile continuare come fatto finora, ma altrettanto ovviamente il continuare in questa direzione farà scontare determinati problemi” afferma Martinelli.
La biforcazione che comporta una decisione forte, invece, è tra due direzioni opposte: da un lato imboccare una strada più ambiziosa verso una maggiore integrazione federale; dall’altro restituire enfasi al ruolo dei governi nazionali.
Nel primo caso, si tratta di un avanzamento verso un’Unione europea più federale: una scelta “né immediata né automatica, ma che comporterebbe imboccare ancora una volta un percorso, compiere una svolta in questa lunga strada che nasce negli anni ’50”.
Nel secondo, si tratta di un ritorno: la riaffermazione della centralità dei governi nazionali e dei loro poteri, che ridurrebbe il ruolo delle istituzioni sovranazionali. Una visione descritta dal Professor Martinelli come una ripresa della “visione neogollista”, che propone un’Europa delle Nazioni. Significherebbe “raffreddare gli elementi sovranazionali comunitari nel processo di integrazione europea”, spiega Martinelli.
La prospettiva federalista
Il concetto di federalismo europeo non è nuovo. “L’anelito federalista in senso tecnico c’è sempre stato e si incarna in una personalità che fu appunto uno degli estensori del Manifesto di Ventotene del 1941” commenta Martinelli. “
Il federalismo è un concetto complesso e diversificato. Martinelli sottolinea che “gli Stati federali non sono tutti uguali. Non tutti sono nati nello stesso momento e non tutti rispondono alle stesse esigenze e agli stessi schemi giuridici”. Tuttavia, tutti gli Stati federali hanno in comune una caratteristica: “sono stati costituiti come tali da Stati membri che non avevano una storia forte alle spalle, basti pensare al caso della formazione degli Stati Uniti d’America”.
Continua poi dicendo che “quando si pensa a uno sviluppo federalista per l’UE, non bisogna fare ragionamenti fondati su meccanici automatismi. L’integrazione europea richiederebbe soluzioni particolari e innovative, in grado di convincere nazioni e popoli con una storia lunghissima e molto radicata a mettere in condivisione ulteriori e fondamentali quote di sovranità”.
Nonostante tutte le difficoltà, Martinelli ritiene non solo che un approccio federalista sia auspicabile, ma che “si finirà per comprendere che si tratta di una prospettiva necessaria: i problemi, le questioni, le tematiche politiche sono sempre più di ordine planetario e quindi l’efficacia delle risposte dipende sempre dalle dimensioni delle istituzioni”.
Eventuali implicazioni di un’Europa più integrata
Per comprendere appieno le implicazioni di un’Europa più integrata, è fondamentale esplorare alcuni aspetti chiave del federalismo e come questo potrebbe modellare l’UE. Al riguardo, il Professor Martinelli ci offre preziose intuizioni.
Anzitutto, un elemento cruciale di un’Unione Europea più integrata comporterebbe lo sviluppo di una politica estera comune. Attualmente, il Parlamento europeo e le altre istituzioni dell’Unione hanno ancora un ruolo limitato, poiché non esiste una politica estera unificata. Nel contesto di un ampliamento delle competenze dell’UE “il Parlamento dovrebbe avere più voce in capitolo dal punto di vista decisionale”, sostiene il Professor Martinelli.
Un altro aspetto chiave riguarderebbe l’introduzione di un sistema elettorale comune. Attualmente, infatti, ogni Stato membro elegge i suoi eurodeputati con l’ausilio di una legge elettorale nazionale.
“Avrebbe molto senso nel quadro di un federalismo europeo, tanto che si potrebbero immaginare ulteriori sviluppi: ad esempio l’elezione diretta di alcune cariche chiave, come quella del Presidente della Commissione”. O ancora, Martinelli immagina la possibilità di “una legge elettorale che sia per metà nazionale e per metà europea. Come momento di passaggio potrebbe avere senso: il cittadino elettore avrebbe due voti a disposizione, ossia quello del parlamentare nazionale che va a coprire la metà dei seggi e quello del parlamentare europeo che va a coprire l’altra metà dei seggi”.
Le elezioni di giugno 2024 e la loro importanza
Le elezioni europee del 2024 saranno un punto di svolta per l’Unione Europea, segnando un momento cruciale nella sua storia recente.
Secondo lo studioso milanese, queste elezioni rappresentano “lepiù importanti dal 1979“, incarnando la scelta più significativa da quei tempi, poiché, come spiegato, non si tratta solo della composizione del Parlamento europeo, ma anche del futuro dell’integrazione europea nel suo complesso.
L’Unione Europea si trova, oggi, al bivio lucidamente descritto dal Professor Martinelli: i cittadini saranno chiamati a decidere se continuare sulla traiettoria attuale o imboccare una nuova direzione, tra le due diametralmente opposte.
Le campagne elettorali
Le elezioni di quest’anno avrebbero potuto e dovuto essere l’occasione per gli elettori di prendere coscienza dell’importanza del loro voto, con il supporto di chiare campagne elettorali.
Per consentire un voto consapevole da parte dei cittadini alle elezioni, le proposte elettorali avrebbero dovuto chiarire due punti cruciali:
la complessità delle istituzioni europee;
il ruolo che i futuri eurodeputati potranno giocare nelle scelte sul futuro europeo.
“Fotografando la situazione a fine maggio, perlomeno in Italia, ancora una volta le forze politiche hanno sprecato la grandissima occasione che avrebbe dovuto servire anzitutto a frenare questo ipotetico scollamento e disinteresse dei cittadini rispetto alle politiche europee. Avrebbero potuto e dovuto spiegare proprio come funzionano queste politiche europee” sostiene Claudio Martinelli. Al contrario, si è posta un’enfasi sul raccogliere preferenze. In tutto ciò, non viene chiarito agli elettori dove risiede il bivio né l’importanza di queste elezioni e della scelta che comporteranno.
In Italia, questa tendenza è dimostrata dalla scelta, fatta da alcune figure politiche di primo piano, di candidarsi nonostante la consapevolezza di non poter accettare, qualora eletti, il seggio al Parlamento europeo per incompatibilità con la carica che ricoprono a livello nazionale, minando così la credibilità del processo elettorale. “È ovvio che gli elettori sanno benissimo che questi non andranno a fare i parlamentari europei: è la funzionalità del sistema a essere beffata”. Questa tendenza restituisce un quadro caratterizzato dall’assenza di chiarezza, in cui il focus è sulle questioni nazionali. La diretta conseguenza è l’offuscamento del vero significato delle imminenti elezioni, riducendo il dibattito pubblico a una competizione di politica interna.
L’importanza della scelta
In definitiva, il voto cui siamo chiamati tra l’8 e il 9 giugno rappresenterà un crocevia fondamentale per il futuro dell’Unione Europea.
L’Europa è a un bivio, dove la scelta tra un’ulteriore integrazione o un ritorno a una visione più intergovernativa definirà il percorso nei prossimi anni. I cittadini, attraverso il loro voto, sono chiamati a esprimersi su questa importante decisione, che influenzerà la direzione e il ruolo dell’UE nel contesto globale.
Nel perseguire la democrazia europea, è fondamentale che gli elettori siano pienamente consapevoli dell’importanza delle loro scelte e che i politici assumano la responsabilità di spiegare chiaramente le implicazioni delle loro posizioni. Solo così l’Unione Europea potrà affrontare con determinazione le sfide future e continuare il suo percorso verso un’identità politica e una governance più integrate.
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