Lucio Dalla: la storia di Gesubambino e la censura per blasfemia

Sono passati 81 anni dalla nascita di uno dei più geniali, innovativi e versatili cantautori della musica italiana. 81 anni dal 4/3/1943, una delle date più celebri nel mondo musicale, data di nascita di Lucio Dalla e titolo del brano che lo consacra al successo sia italiano sia internazionale.

Nell’ultimo periodo si è parlato molto di censura, perciò non possiamo non ricordare la storia della sua celebre canzone dal duplice testo, quello originale e quello sanremese.

La storia del brano

Composta dallo stesso Dalla in collaborazione con Paola Pallottino e incisa nel 1971 da Dalla insieme alla Nuova Equipe 84, il brano viene spesso considerato una poesia in musica poiché presenta diverse caratteristiche delle canzoni popolari da cantastorie, una ballata composta da quattro strofe di endecasillabi a rima baciata accompagnate da un inciso di violino.

Tuttavia, il titolo originale del brano non è 4/3/1943, bensì Gesubambino, e non si tratta di un brano autobiografico: è infatti la storia di una ragazza, la quale rimane incinta di un soldato alleato e, all’età di sedici anni, dà alla luce un bambino.

Paola Pallottino affermò di aver scritto il testo della canzone come un atto di risarcimento nei confronti di Lucio, il quale aveva perso il padre alla tenera età di sette anni ed era stato cresciuto dalla madre. Pertanto, l’intento della canzone era esprimere il tema dell’assenza paterna, in una narrazione simbolica di guerra e d’amore.

Il testo originale di Gesubambino

Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare

Parlava un’altra lingua però sapeva amare

E quel giorno lui prese mia madre sopra un bel prato

L’ora più dolce prima d’essere ammazzato

 

Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto

Con l’unico vestito, ogni giorno più corto

E benché non sapesse il nome e neppure il paese

Mi riconobbe subito proprio l’ultimo mese

 

Compiva sedici anni quel giorno la mia mamma

Le strofe di taverna le cantò la ninna nanna

E stringendomi al petto che sapeva, sapeva di mare

Giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare

 

E forse fu per gioco o forse per amore

Che mi volle chiamare come Nostro Signore

Della sua breve vita il ricordo, il ricordo più grosso

È tutto in questo nome che io mi porto addosso

E ancora adesso mentre bestemmio e bevo vino

Per ladri e puttane sono Gesù Bambino

E ancora adesso mentre bestemmio e bevo vino

Per ladri e puttane sono Gesù Bambino

E ancora adesso mentre bestemmio e bevo vino

Per ladri e puttane sono Gesù Bambino

Il testo è intriso di riferimenti alla tragedia della guerra, alla miseria di quegli anni e alla caducità della vita. Si intravede la figura di una ragazza troppo giovane per assumere il ruolo di madre, ma che, nonostante ciò, affronta la situazione con determinazione, crescendo il bambino con la forza dettata dalla disperazione e dalla miseria dell’epoca. La giovane donna decide di andare contro ai pregiudizi della società e di combattere il dolore della solitudine dovuta all’abbandono da parte del soldato che “parlava un’altra lingua, però sapeva amare”. È forse proprio per questo atto di coraggio che viene accolta dagli ultimi della società, da una famiglia composta da chi si trova a cantare “le strofe di taverna” per non soccombere al peso della povertà e alla fatica del lavoro.

Il brano censurato a Sanremo

Inizialmente, Gesubambino venne escluso dalla ventunesima edizione del Festival di Sanremo perché accusato di blasfemia. Ma quell’anno, il Festival aveva una “commissione per il rinnovamento” composta da intellettuali (tra i quali Mario Soldati, Piero Vivarelli e Alberto Bevilacqua) che decise di battersi per il ripescaggio. Lo ottenne, a patto che Dalla e Pallottino avessero accettato di cambiare il titolo e alcune parti del testo.

Fu il maestro Ruggero Cini a prendere la decisione di sostituire il titolo originale con la data di nascita del cantautore, appunto il 4 marzo 1943, determinando così l’inizio di un successo. Il brano venne quindi presentato al Festival di Sanremo nel 1971 con questo titolo e con il testo modificato in alcuni versetti.

Il testo modificato

Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare

Parlava un’altra lingua però sapeva amare

E quel giorno lui prese mia madre sopra un bel prato

L’ora più dolce prima d’essere ammazzato

 

Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto

Con l’unico vestito, ogni giorno più corto

E benché non sapesse il nome e neppure il paese

M’aspettò come un dono d’amore fino dal primo mese

 

Compiva sedici anni quel giorno la mia mamma

Le strofe di taverna le cantò la ninna nanna

E stringendomi al petto che sapeva, sapeva di mare

Giocava a far la donna con il bimbo da fasciare

 

E forse fu per gioco o forse per amore

Che mi volle chiamare come Nostro Signore

Della sua breve vita il ricordo, il ricordo più grosso

È tutto in questo nome che io mi porto addosso

E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino

Per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino

E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino

Per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino

E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino

Per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino

Qui potete rivedere l’esibizione di Lucio Dalla e dell’Equipe 84 al Festival di Sanremo 1971.

Lucio, il poeta degli ultimi

Pur censurando questi versetti, la canzone suscitò non poche polemiche per i temi trattati: la gravidanza di una ragazza di sedici anni rimasta incinta da un soldato all’epoca era infatti considerata uno scandalo. La canzone si classifica al terzo posto, ma è subito chiaro che si tratta della vincitrice morale del Festival di Sanremo.

Il punto culminante del componimento rimane però l’approfondita descrizione del legame materno, ritenuto il nucleo più commovente. L’amore di questa madre si rivela più potente della guerra, della miseria e persino dell’assenza del padre. È un sentimento che abbraccia tutto e si manifesta nella forza stessa, inarrestabile e potente, della vita.

In questo concetto non mancano i riferimenti biblici alla figura della Madonna, anch’ella ragazza madre che decide coraggiosamente di farsi carico di un enorme onere: “e forse fu per gioco o forse per amore che mi volle chiamare come Nostro Signore” perché, proprio come Gesù era l’ultimo tra gli ultimi, così il protagonista del brano si circonda di persone povere, e per “ladri e puttane» diventa proprio come Gesù bambino.

E non si può fare a meno di associare l’immagine di quell’uomo che gioca a carte e sorseggia vino al ricordo di Lucio Dalla. La fortunata coincidenza di 4/3/1943, nata da un’operazione di censura, ci offre l’opportunità di celebrare e ricordare ogni anno questo grandissimo autore della musica italiana.

In occasione di quello che sarebbe stato il suo ottantunesimo compleanno, vogliamo ricordare Lucio Dalla con l’esibizione di Gesubambino durante l’ultimo concerto nella sua città.

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