Storia di un Impiegato: prima parte

Storia di un Impiegato

La storia di un uomo che escogita il suo folle volo, “se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”, che si articola man mano che le canzoni scorrono, tra sogni e vita reale. Questo è ciò che racconta l’album Storia di un Impiegato, di Fabrizio De André.

L’album, uscito nel 1973, è composto da 9 tracce, che costituiscono il racconto lineare, che prende vita canzone dopo canzone, della vita di un “trentenne disperato” che sogna di rovesciare il potere, terminale di tutto ciò che il protagonista disprezza.

Ideali e società

La narrazione inizia in modo dirompente: il primo brano è Introduzione e segue poi Canzone del Maggio. L’album si apre dunque raccontando delle rivolte del ‘68. In Introduzione il protagonista rievoca le proteste e i moti studenteschi del 1968, descrivendo la condizione dei giovani insorti. Egli non partecipa attivamente, dato che ne parla solamente in terza persona, ma vi assiste emozionato, teso a cogliere lo zeitgeist della sua generazione. Cantando la rivolta, in Canzone del Maggio, si scaglia contro coloro che hanno ignorato o tentato di fermare le correnti rivoluzionarie. Si scaglia contro chi difende il potere e le istituzioni, evidenziando, però, come non potranno riuscire nel loro intento. Infatti, come emerge nella versione non censurata, il cantautore grida chiaramente che “non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo”. 

I moti sessantottini, sono visti dal protagonista come un attacco inarrestabile alla società costituita.

“Convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco, 

Provate pure a credervi assolti,

Siete lo stesso coinvolti”

Lo stile musicale della canzone ricorda quelle ballate solenni tipiche della musica francese, mentre ogni strofa si chiude portando un’accusa nuova da cui nessuno può sentirsi incolpevole.

Segue poi La Bomba in Testa, che apre ritmicamente le danze, è il primo accenno di vita del folle volo anarchico dell’impiegato in rivolta. È infatti da questi presupposti che si articolerà poi Il Bombarolo, che segna il culmine della storia. Nell’opera, infatti, le due canzoni sono separate soltanto da tre sogni. Non c’è alcuna azione nella vita reale che le distanzia, a sottolineare la loro sostanziale comunanza d’intenti.

In questo brano per la prima volta emerge l’età del protagonista: “eppure i miei trent’anni…”. Grazie a questa informazione, possiamo capire perché il protagonista non sia in prima linea con gli studenti del ‘68, più giovani e sognatori. Lui, già venuto a contatto con un mondo che disprezza, rivolge il suo interesse al futuro, che gli si presenta oscuro, sentimento di prigionia sociale cui non vuole adeguarsi. I toni di questo brano sono duri, enfatizzano il lavoro costante dell’impiegato, ribadendo “non importa, adesso torno a lavoro”, e si sposano con un ritmo che sembra inesorabile e frenetico come il dissenso e la condizione lavorativa dell’impiegato.

Con le prime tre canzoni De André ci permette di comprendere le idee che tormentano l’impiegato, la sua vita da giovane ingranaggio intrappolato in un sistema di cui non vuole fare parte. Essendo queste le premesse, tutto è pronto per i tre straordinari sogni che il Faber si appresta a cantare.

Il primo sogno

Il primo sogno è raccontato nel brano Al Ballo Mascherato. 

Il testo è composto quasi esclusivamente da allegorie, e anche il brano in sé presenta una complessità armonica che a primo impatto può quasi risultare ambigua, proprio a dare l’idea di un sogno. Anche i due successivi sogni, in ragione della sfera onirica, presenteranno figure e passi che rischiano di essere di difficile comprensione, almeno a un primo e fugace ascolto.

Ogni personaggio famoso che viene nominato in questa canzone simboleggia un determinato sociale, come ad esempio la religione, raffigurata da Cristo, che lui fa saltare in aria con la sua bomba.

Dopo la carrellata di allegorie, l’impiegato arriva a parlare del tema della famiglia. Per primo tratta della figura del padre come simbolo di austerità e ostentata autorità della quale ama vestirsi. Il potere paterno opprime anche la figura materna, rappresentata come colei che si accontenta, o che addirittura si vanta della sua condizione: “il martirio è il suo mestiere, la sua vanità”.

Il primo sogno, musicalmente incalzante e brioso, termina con una presa di consapevolezza del protagonista che eliminando il potere ora non ha più “i piedi sul collo”.

Il secondo sogno

È proprio da questo concetto che si apre Sogno Numero Due. Canzone totalmente opposta sia nelle sensazioni che nel ritmo rispetto alla precedente. Se Al Ballo Mascherato ha un ritmo veloce, questa l’esatto contrario. La canzone rappresenta il discorso che il giudice, personificazione della legge opprimente, rivolge all’impiegato nel giorno del suo processo, dopo l’attentato al ballo delle celebrità posto in essere dal protagonista dell’album. È, infatti, una canzone parlata piuttosto che cantata ed esprime concetti fondamentali. Il giudice spiega che le gesta dell’impiegato non hanno distrutto il potere ma, al contrario, lo hanno alimentato e rinnovato. Questo perché distruggendo il potere il bombarolo onirico ha alimentato la sua stessa “sete di potere” ed è diventato, a sua volta, il potere che intendeva distruggere. Proprio per questo motivo il giudice non si sente di giudicare l’imputato:

“Una volta un giudice come me

Giudicò chi gli aveva dettato la legge

Prima cambiarono il giudice

E subito dopo

La legge.

Oggi, un giudice come me, lo chiede al potere se può giudicare.

Tu sei il potere.

Vuoi essere giudicato?

Vuoi essere assolto o condannato?”

L’ultimo sogno

Si arriva all’ultimo sogno, La Canzone del Padre. La traccia si apre con una domanda rivolta dal giudice all’impiegato: “Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi solo i sogni che non fanno svegliare?”. Ovvero: vuoi continuare a credere in questi sogni, in questi ideali così profondi che non fanno neanche svegliare? La risposta non solo è un sì, ma mostra anche che l’impiegato questi sogni li vuole ancora più grandi. 

Così, il giudice conferisce all’imputato un nuovo ruolo di potere, che lo fa assomigliare al padre (“Ucciso in un sogno precedente”) . Dunque l’imputato è stato non solo assolto, ma ha anche ottenuto il potere. Il compito è di supervisionare chi sta sotto di lui con la raccomandazione di non badare a chi invece gli è sopra.

“Non dovrai che restare sul ponte 

E guardare le altre navi passare,

Le più piccole dirigile al fiume 

Le più grandi sanno già dove andare.”

La scena si sposta di colpo su un altra persona, Berto. Egli non ha mai sognato, ha soltanto sfruttato la madre, seppellita in “un cimitero di lavatrici”. Infine anche lui è dovuto morire, da arrugginito, come tutta “la gente che si lascia piovere addosso”. Berto è dunque l’opposto dell’impiegato, che in realtà si sta addentrando sempre più in questa situazione di cinico lasciando via i sogni.

Appare tutto il rammarico di essere diventato come il padre, investendo nella famiglia e nei soldi. Ne risulta soltanto una vita colma di incertezze, con una moglie di dubbia fedeltà, “Lei ha gli occhi di una donna che pago”, e un figlio con problemi di droga “Non ha più la faccia del suo primo hashish”.

Esausto della sua condizione, capisce di essere stato ingannato dal potere e di non avere più alibi per non agire in modo drastico. Dopo aver insultato il giudice, lo avverte del fatto che i due si rincontreranno fuori dal sogno. “Ora aspettami fuori dal sogno, ci vedremo davvero, io ricomincio da capo”.

FONTI

legendarycover.it

legendarycover.it

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