Negli anni Cinquanta i giocattoli destinati alle bambine erano sempre e solo finalizzati ad incoraggiare alla maternità: una bambina non poteva pensare di essere più di casalinga e madre, fin quando Ruth Handler -sposata con il cofondatore di Mattel, Elliot Handler- non creò Barbie. Barbie è una teenage fashion model dal corpo adulto e pienamente in carriera, inizialmente nel ruolo di modella poi in tanti altri ruoli, una figura attraverso la quale le bimbe potevano immaginare il proprio futuro. Che si voglia o no, Barbie, nei suoi sessantaquattro anni di storia, ha ampiamente influenzato la società che tutt’oggi ci circonda.
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Corpo e capelli perfetti e un armadio pieno di vestiti: secondo gli standard odierni sono causa scatenante di danni alla salute mentale e fisica delle sue fruitrici.
Con la crescente consapevolezza dei disturbi mentali legati all’immagine corporea e delle pressioni sociali sulle ragazze, Mattel, probabilmente provocata dal calo delle vendite, nel 2016 ha lanciato una nuova gamma di bambole Barbie che celebrava la diversità, che comprendeva quattro silhouette, sei carnagioni e ben venti acconciature differenti fra loro tra colori, texture e vari tagli di capelli.
Per quanto si trattasse di un passo avanti per Mattel, l’azienda di giocattoli non è stata risparmiata dalle critiche; oltre a ritenere discutibile la scelta di porre denominazione alle bambole in base al loro corpo (Barbie “curvy”, “tall” o “petite”), la Barbie più formosa, nonostante i suoi fianchi più larghi e le cosce più spesse, rimane comunque molto magra. Se si pensa che la prima modella curvy è apparsa su una delle passerelle più celebri del mondo, quella di Victoria’s Secret, solamente nel 2019, il mondo Mattel tutto sommato non è stato il solo a ritardare la propria partecipazione nel diffondere un messaggio di body positivity.
i just realized that barbie never really white washed their black dolls in their artwork even back in the 70s and 80s pic.twitter.com/tqM4Z9bDMi
— d⋆*༄ (@miniplastico) August 22, 2023
Ampliare la corporatura di Barbie è stato un processo più travagliato, ma si può riconoscere a Mattel il “successo” di una più rapida espansione nelle carnagioni delle loro bambole. Dopo Christi, la primissima bambola non bianca dell’azienda -creata nel 1968 per supportare i pari diritti-, negli anni ci sono state alcune bambole a celebrare la diversità all’interno di BarbieLand. Nel 1980, Mattel rilascia le prime bambole di nome Barbie a essere diverse dalla classica bambola caucasica bionda, una ispanica e una nera.
Dopo questo primo grande passo, Mattel ha realizzato bambole con chiome folte e lunghissime o senza capelli, con vitiligine, protesi e sedia a rotelle con rampa di risalita… Meglio tardi che mai, Barbie è finalmente cambiata.
We girls can do anything
Sin dalla sua prima apparizione sul mercato nel 1959, la bambola più famosa del mondo è ritenuta responsabile della promozione di standard estetici irrealistici che, d’altronde, preannunciavano l’incombente tendenza fisica esile e snella in voga negli anni ’60. Tra le critiche più frequenti, vi era però anche l’incoraggiamento a stereotipi di genere che sono, tuttavia, ben lontani dalla creatrice della bambola. L’idea di Handler era un giocattolo alternativo al classico bambolotto da accudire, proprio per garantire un’opzione di gioco che anche la figlia Barbara, poco divertita dal ‘fare la mamma’, avrebbe potuto gradire. Nella teoria un’idea progressista, che puntava a contrastare lo stereotipo della donna vista unicamente come madre; nella pratica, negli anni ’50 forse era ancora inevitabile incappare in altri stereotipi sulla figura femminile.
La “Barbie Pigiama Party” del 1965, per esempio, era dotata, tra accessori per capelli e scarpe, anche di una bilancia che segnava quarantanove chilogrammi e una guida per perdere peso che intimava di non mangiare, libro incluso anche nella confezione di ‘Barbie Babysitter’. Nonostante per i primi decenni non sforasse mai dalla sua “perfetta” taglia XS, una cosa è sempre stata ben evidente: Barbie può fare (quasi) tutto. Quattro anni prima che l’uomo toccasse la Luna, Barbie era già astronauta per festeggiare il programma spaziale.
Vent’anni dopo, in televisione con lo spot “We Girls Can Do Anything” sugli scaffali compare la “Day-to-Night Barbie” che, prima in tailleur rosa e poi in uno scintillante vestito del medesimo colore, dimostra di poter realizzare qualsiasi suo desiderio.
Barbie contro il Dream Gap
L’abbiamo vista presidente, giocatrice di basket, dottoressa, insegnante, ma nonostante più di 300 lavori nei suoi sessantaquattro anni di storia, le controversie sulla posizione dell’icona Mattel riguardo gli stereotipi di genere non si sono fermate. Nel 2010 esce la prima versione della collezione di libri “Barbie I can be…” raffigurante Barbie in diversi ambienti lavorativi. Un’iniziativa apparentemente stimolante, se non fosse per il numero su Barbie ingegnera informatica, che si rivelò estremamente sessista: Barbie era più che altro incompetente nel suo lavoro e aveva bisogno dell’aiuto dei suoi due colleghi – ovviamente uomini – per realizzare il suo obiettivo. Per leggere di una Barbie informatica realmente indipendente, purtroppo, è possibile solo attraverso il sito di “Feminist Hacker Barbie” che pubblica versioni corrette della ineluttabile figuraccia di Mattel.
Nel 2019 Barbie si riscatta. Viene aperto il sito ufficiale del “Barbie Dream Gap Project”, in collaborazione con Andrei Cimpian, Professore Associato di Psicologia dell’Università di New York. Il progetto “rosa”, con l’obiettivo di scardinare il divario tra le donne e il loro vero potenziale, offre fondi e borse di studio attraverso il ricavato ottenuto dalla vendita di bambole ispirate a donne di carriera esemplari, per spronare le bambine a inseguire i propri sogni, qualunque essi siano.
Il consumismo veste rosa
Dagli anni Sessanta ad oggi, nonostante il suo armadio in continua crescita e le sue acconciature sempre più varie, uno dei suoi “accessori” non è mai mutato granché: la Dreamhouse. La “Casa dei sogni” è stata parte integrante dell’esperienza del nostro gioco da bambini, tra chi l’ha fantasiosamente ricreata da sé con materiali reperibili in qualsiasi cartoleria e chi aveva un’intera collezione di ville ricolme di mobilio sgargiante e, con gli anni, con tanto di ascensore e televisore interattivo.
L’evoluzione dell’amata casa-giocattolo ha inizio nel 1962, quando era ancora un’elegante scatola con mobili interamente in cartone. Negli anni Settanta, il gusto sbarazzino e colorato di quegli anni viene ripreso a pieno nella prima casa giocattolo dotata di ascensore. A cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, con la nuova Barbie ceo, iniziamo a riconoscere l’esplosione rosa di mobili: Mattel aveva trovato la sua firma. Da quel momento in avanti, la DreamHouse riecheggia plastica, tonalità di rosa e fucsia a volontà e accessori e mobili sempre più moderni.
Tra componibili, richiudibili, su un piano o molteplici, le case di Barbie hanno affascinato dai più piccoli agli adulti. Come se collezionare tutte le case in barbie-size non fosse già un dispendio, con l’uscita del live action diretto da Greta Gerwig, AirBnB ha reso possibile affittare tramite la sua piattaforma una perfetta riproduzione a grandezza naturale della DreamHouse “Ken’s way”.
È proprio “Ken” infatti a presentare la villa vista oceano a Malibu, dotata di bar a bordo piscina e palestra domestica e caratterizzata da abiti da cowboy e rollerblade colorati, a immagine della casa-dojo presente nel film omonimo uscito il 20 luglio di quest’anno. Vive in una casa da sogno e possiede la cabriolet rosa più famosa della scena: Barbie, con la sua figura perfetta e il suo ruolo nel mondo della moda, può apparire come icona di una società vittima del culto dell’estetica e del consumismo.
Ad aprire questo mondo alle bambine non è solamente la bambola in sé, ma soprattutto le numerose ville colorate e migliaia di accessori diversi che la accompagnano. Presentata da una press tra le più ampie nel mondo dei giocattoli, tra film, spot televisivi, canzoni a lei dedicate, poster pubblicitari e tanti, tanti, gadget.
Barbie come prodotto
Uno degli eventi più attesi dell’anno non poteva che essere Barbie the Movie.
Fin dal primo trailer pubblicato sulle piattaforme, le collaborazioni infinite e le trovate pubblicitarie che hanno contornato le premiere del film hanno contribuito a rendere il mondo “più rosa che mai”. Ciò che colpisce del film marchiato Mattel è sicuramente come l’azienda sia riuscita a trasformare lo stereotipo della donna perfetta degli anni ‘50 nel simbolo femminista del 2023. Mattel trasmette il messaggio di un femminismo nuovo ma inserito in un grandissimo progetto pubblicitario.
Nonostante sembri un film come un altro, Barbie è pur sempre un prodotto; e il motivo per cui è stato realizzato è per migliorare la percezione che si ha dell’azienda. Mattel attraverso la nuova pellicola trasmette sì i valori del brand ma per vendere più bambole. Da quest’anno Barbie è completamente riposizionata nel mercato sotto una nuova ottica; anche chi ha sempre criticato Barbie dopo questo film non può che apprezzarla per l’empowerment femminile che ha portato sul grande schermo.
In una società in cui la perfezione inizia finalmente a essere demonetizzata, Barbie -che rappresenta lo stereotipo della ragazza perfetta- non andava più bene. I pubblicitari di Mattel hanno enorme responsabilità perché così come il marketing è influenzato dalla società e dal momento storico in cui viene creata, questo ha allo stesso tempo un’enorme influenza sulla società stessa per la promozione di nuovi messaggi e nuove idee: come Barbie influenza la società, la società influenza Barbie.
L’influenza sulle bambine
I bambini cresciuti dagli anni ’70 fino ai primi del 2000, ricorderanno sicuramente di aver giocato con una delle iconiche bambole alte poco più di 29 centimetri. I giocattoli hanno una forte influenza sullo sviluppo di bambini e bambine. Per i più piccoli, il gioco è la fonte più diretta per sapere ciò che la società si aspetta da loro una volta cresciuti: come devono apparire, cosa devono possedere e come si devono comportare.
Nel 1930, degli studi di Kenneth e Mamie Clark mostrarono che giovani ragazze nere avrebbero scelto di giocare con una bambola bianca piuttosto che una nera, dato che la prima è considerata più bella. Questa è l’interiorizzazione di un razzismo che, nel momento in cui Barbie è esplosa nel commercio globale, ha influenzato il proprio target a provare un sentimento di rifiuto verso bellezze differenti dalla Barbie stereotipo.
Le proporzioni “reali” di Barbie le davano un indice di massa corporea talmente basso da provocarle non pochi problemi fisiologici: un collo così lungo e sottile le impedirebbe di reggere la testa a dovere, il suo girovita non concede lo spazio necessario agli organi, e le gambe così lunghe e esili le darebbero problemi di equilibrio e deambulazione.
Che si tratti del colore della pelle o della forma fisica, Barbie è un oggetto di paragone da cui le bambine sono da sempre troppo suggestionate. Nel 2014 uno studio psicologico ha provato che giocare con le bambole Barbie ha influenzato le aspirazioni lavorative delle ragazzine. Dopo pochi minuti di gioco, i ricercatori dell’università dell’Oregan hanno chiesto a bambine e bambini cosa potessero fare una volta cresciuti tra 10 posizioni a loro elencate, ciascuna delle quali con la reputazione di essere unicamente “maschile” o “femminile”.
I risultati hanno mostrato che le ragazze che hanno giocato con la bambola pensano di poter riaprire meno ruoli rispetto ai ragazzi. Al contrario, le ragazze che hanno giocato con il giocattolo di Mrs Potato hanno riportato una differenza inferiore a paragone con i ragazzi. Rita Tanas, endocrinologa pediatra della Società Italiana di Pediatria in un commento sull’arrivo della nuova Barbie più “umana” sostiene che le nuove Barbie più reali e “imperfette” possono aiutare le bambine nel processo di accettazione del proprio corpo, mostrando che si può, e si deve, uscire da uno stereotipo di eccessiva magrezza che fa molti danni a giovani e giovanissime.
Al commento di Rita Tanas, il vicepresidente della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza Giampaolo de Luca aggiunge che la nuova realtà di Barbie è una buona iniziativa perché “le bambine si identificano con la bambola che diventa un modello a cui aspirare”. La Barbie classica, però, mal si adatta alla bellezza femminile mediterranea, precisa il pediatra. Barbie è un modello con un’influenza importante sullo sviluppo psicologico, soprattutto oggi che l’età della pubertà si va via via abbassando e il sovrappeso, sempre più frequente, porta con sé comparsa di disturbi del comportamento alimentare.
Non solo, continua Tanas: “Ben vengano le nuove Barbie, purché siano accompagnate da messaggi positivi”.
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