La nuova politica inglese contro l’immigrazione suscita molte polemiche e ci pone di fronte a una grande responsabilità: esiste rispetto per chi migra? Spesso c’è la tendenza a descrivere il fenomeno della migrazione come un qualcosa di unitario, come se le motivazioni che inducono una persona a lasciare il proprio paese d’origine fossero tutte uguali, ma dietro agli sbarchi fatti di numeri e statistiche ci sono delle persone che celano un nome, un’identità, un sogno e una ragione che li ha spinti ad affrontare questi viaggi della morte.
Interventi inadeguati per salvare i migranti
Quello che ne consegue è che la reazione dei governi occidentali a questi grandi spostamenti tende ad appiattirsi su quella prospettiva che sovrappone il fenomeno della migrazione a quello di un’invasione. Chi migra, nella maggior parte dei casi, lo fa perché obbligato da una situazione e una condizione insostenibili. Solo situazioni di estrema privazione e violenza potrebbero spingere delle persone a rischiare la propria vita in questi viaggi in cui, oltre ad essere rischiosi, c’è la possibilità di essere rimandati indietro.
Ma quando a prevalere sono interessi nazionalistici, dove vanno a finire i principi di solidarietà e accoglienza che stanno alla base dell’Unione Europea? È quello che non si può fare a meno di chiedere di fronte a recenti avvenimenti che hanno sconvolto le cronache di tutti i paesi membri e non solo. Ad esempio, quando la mattina del 26 febbraio 2023 gli italiani si svegliarono con la sconvolgente notizia di un naufragio avvenuto sulle coste di Cutro. A seguito della vicenda si levò un’indignazione tale da far prevedere (e sperare) un futuro post-Cutro in cui simili stragi non sarebbero più avvenute. Ma ecco che qualche mese dopo, questa volta in Grecia, non lontano dalla località di Pylos, si ripete lo stesso meccanismo. Chiamate ignorate, aiuti tardivi e interventi inadatti portano alla morte di centinaia di persone.
La proposta inglese
Quello che accomuna la tragedia di Cutro a quella di Pylos è la modalità di intervento. Una modalità che assomiglia più a un intervento di polizia e monitoraggio che a un intervento di soccorso. Questo approccio è quello che accomuna le modalità di azione di gran parte dei paesi europei (membri ed ex membri dell’Unione). Ad esempio, dopo le restrizioni varate sui permessi di soggiorno e le deportazioni in Ruanda, il governo inglese ha ideato una nuova strategia per bloccare gli arrivi via mare.
La soluzione è a dir poco inquietante e prevede di ospitare circa 500 migranti uomini in una sorta di “hotel-galleggiante” al largo delle coste del Regno Unito. L’imbarcazione si articola su due piani e comprende 222 cabine, una mensa, una lavanderia e altri servizi fondamentali per la vita quotidiana degli ospiti. Il Regno Unito non è il primo paese europeo ad adottare una simile iniziativa per scoraggiare gli arrivi: già all’inizio degli anni 2000 la chiatta era stata usata dai Paesi Bassi e prima ancora dalla Germania. In altre situazioni, invece, questo hotel galleggiante è stato utilizzato per accogliere lavoratori di varie industrie di costruzione e membri delle forze armate. In questo caso gli alloggi della barca sarebbero destinati esclusivamente a uomini che aspettano che la loro richiesta di asilo venga soddisfatta.
Insomma, per quanto non nuova nel panorama di decisioni e di iniziative per contrastare gli arrivi, colpisce come il governo inglese sia giunto a un simile conclusione. Una simile struttura è davvero in grado di rispondere alle esigenze che un migrante porta con sé? Una simile soluzione può davvero garantire il rispetto della dignità di una persona?
C’è rispetto per i migranti?
Secondo quanto affermato dal governo inglese la motivazione dietro la decisione di affittare per diciotto mesi questo condominio galleggiate è di natura economica. Attualmente i migranti accolti nel Regno Unito vengono ospitati in circa 400 hotel sparsi sul territorio, per un costo totale di circa sei milioni di sterline al giorno (equivalenti a 6,8 milioni di euro circa). Ma è davvero questa l’unica maniera per far fronte all’emergenza migratoria?
Molte associazioni a sostegno dei migranti si sono scagliate contro il governo inglese, accusandolo di prendere iniziative «completamente inadeguate». Una struttura di questo genere, infatti, non può far fronte alle esigenze di coloro che si trovano in situazioni precarie come i migranti. Costoro, infatti, oltre ad essere scappati da paesi e contesti che molto spesso non garantiscono i diritti umani, sono costretti ad affrontare viaggi pieni di ostacoli e violenze. Una simile struttura che, sia nella logica che l’ha concepita che nell’aspetto estetico, assomiglia più a una prigione che a un rifugio, non riflette gli ideali di accoglienza, rispetto e libertà su cui si dovrebbero basare le politiche dei paesi europei.
Il governo inglese ha poi tenuto a specificare che gli ospiti della barca (o prigione?) potranno godere della massima libertà di spostamento, anche se entro le 23 di ogni sera dovranno ritornare a bordo. Ma sarà davvero così? Sarà il principio di libertà a guidare le scelte prese dalle istituzioni inglesi una volta che la chiatta avrà aperto le porte agli ospiti?
Dubbi leciti
Nonostante le rassicurazioni date dal governo inglese, i punti di domanda e timori restano. Una simile iniziativa, infatti, non può che sollevare dubbi, soprattutto se accompagnata da precise dichiarazioni di intenti di molti esponenti dei governi europei. In questo periodo sono molte le iniziative che non sempre sono pensate nel pieno rispetto della dignità di un essere umano. Ne è una dimostrazione il recente accordo con il presidente tunisino Saïed, che ha sollevato critiche anche dallo stesso Parlamento europeo.
Molti eurodeputati guardano all’accordo come all’ennesimo strumento per reprimere la democrazia e discriminare le persone migranti.«Con questo accordo verseremo grosse somme di denaro alla Tunisia. È chiaro che il presidente della Tunisia non rispetta i diritti fondamentali e non pensiamo che la Commissione europea possa obbligarlo a rispettarli», dice Sophia In ‘t Veld, eurodeputata olandese di Renew Europe. Le fa eco anche Erik Marquardt, parlamentare tedesco del gruppo Verdi/Ale, che accusa la guardia costiera libica di partecipare al traffico di esseri umani e quindi di essere parte del problema. «Quindi stiamo pagando i trafficanti in Libia» ha detto. Anche in questo caso, i dubbi restano molti e il rischio di legittimare atti di violazione dei diritti umani non è poi così lontano.
Cambio di prospettive
Nel 2018 UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, ha pubblicato un libro dal titolo Anche Superman era un rifugiato: storie vere di coraggio per un mondo migliore. Nell’introduzione del libro, scritta da Carlotta Sami, portavoce UNHCR per il Sud Europa, viene riportata una frase molto significativa. A pronunciarla fu una rifugiata: «la paura è il più grande ostacolo per noi». Quando parlava di “paura” non intendeva di certo la sua, ma quella che gli altri provano per i rifugiati e i migranti come lei. È la paura che spinge le persone ad allontanare altre persone. Una buona accoglienza è possibile, ma solo se basata sull’ascolto, l’empatia e l’integrazione. Solo in questo modo è possibile mettere da parte la paura e vedere i lati positivi che ogni cosa porta con sé.
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