Dall’1 aprile è entrato in vigore il Decreto legislativo n. 36 del 31 marzo 2023, in poche parole il nuovo Codice dei contratti pubblici, la cui operatività, tuttavia, inizierà a partire dal 1 luglio, a sette anni di distanza dal precedente codice del 2016. Insieme alla Legge di Bilancio, questo documento è senza troppi dubbi uno dei più importanti usciti dal nuovo governo, e anche uno dei documenti più importanti sul quale qualsiasi governo possa mettere la firma, vista l’importanza dell’argomento trattato, la sua complessità e soprattutto il suo impatto, dato che gli appalti pubblici sono un volano molto importante per la costruzione di infrastrutture e la fornitura di servizi vitali per un paese e per il suo sviluppo futuro.
I contratti pubblici costituiscono un mercato che definire “immenso” è abbastanza riduttivo: si tratta di decine di miliardi di denaro pubblico (secondo il rapporto ANAC 2022, nel 2021 il settore dei contratti pubblici ha visto un aumento della spesa pubblica pari a 119,4 miliardi di euro), e la loro allocazione per ottenere il maggior beneficio per la comunità è di importanza capitale per qualsiasi stato che abbia a cuore i suoi cittadini. Ma prima procediamo a revisionare le principali novità.
Nuovi principi per un nuovo Codice dei contratti pubblici
Il nuovo Codice dei contratti pubblici presenta delle grandi novità rispetto al precedente, riorganizzando sistematicamente la materia su nuove basi.
In primo luogo, tra i principi generali enunciati nel nuovo codice, due si rivelano particolarmente importanti: il principio del risultato e il principio della fiducia. Secondo il primo, le stazioni appaltanti che affidano i contratti devono vigilare in maniera tempestiva, curandosi di raggiungere il miglior rapporto qualità prezzo nella legalità, con trasparenza e rispettando i principi della concorrenza.
Il secondo principio, invece, si riferisce alla fiducia (ovviamente non incondizionata) data ai funzionari della pubblica amministrazione: ciò dovrebbe contribuire a mitigare il fenomeno della “paura della firma”, più tecnicamente definibile come “burocrazia difensiva”, che porta a un rallentamento del procedimento per timore da parte dei funzionari pubblici di essere accusati di non aver svolto le adeguate verifiche.
Come il nuovo codice vuole dare un impulso alla digitalizzazione
Un ulteriore aspetto che merita attenzione è la seconda parte del primo libro del nuovo codice, che è dedicata alla digitalizzazione dell’intero arco di vita dei contratti pubblici, con lo scopo di velocizzare le procedure e garantire la certezza dei tempi delle procedure di gara (vitale quando si tratta di organizzare dei lavori, in particolar modo se rilevanti). Mentre il precedente codice era focalizzato sulla digitalizzazione della procedura essenzialmente per la sola parte riguardante la scelta del contraente, adesso il documento in oggetto propone di estendere la procedura a tutte le fasi del contratto: programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed infine anche l’esecuzione.
Per attuare ciò, è prevista la creazione di un “ecosistema nazionale digitale per l’approvvigionamento”, i cui perni sono la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, il fascicolo virtuale dell’operatore economico, procedure automatizzate e piattaforme di approvvigionamento digitale. Questa modifica, deve essere inserita e contestualizzata principalmente con riferimento al PNRR; infatti, uno degli obiettivi del piano è di istituire entro il 2026 una piattaforma nazionale online per il supporto e la valutazione delle stazioni appaltanti e per migliorare i processi interni della pubblica amministrazione, garantendo in tal modo un più efficiente e efficace utilizzo dei fondi concessi.
Procedure più rapide e liberalizzate
Il nuovo codice consente anche gli affidamenti diretti dei lavori da parte delle stazioni appaltanti fino alla soglia di 150.000 euro, mentre per i servizi (anche di ingegneria, architettura e progettazione) la soglia è leggermente ridotta: 140.000 euro.
Aspetto più rilevante è invece la soglia entro la quale è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza bando, che è fissata alla soglia comunitaria di 5,3 milioni di euro. Questo vuol dire che solo al di sopra di questa soglia le stazioni appaltanti saranno obbligate a bandire una gara d’appalto. Inoltre, sarà possibile procedere senza le stazioni appaltanti appositamente qualificate da parte delle stazioni appaltanti minori fino alla soglia di 500.000 euro.
Inoltre, torna l’appalto integrato, cioè l’affidamento della progettazione e dell’esecuzione dei lavori allo stesso soggetto, che era proibito nel precedente codice. L’idea è di velocizzare le tempistiche, reputando che se lo stesso soggetto possa redigere sia il progetto che eseguire i lavori, allora la gare e i lavori stessi possano procedere più speditamente.
Le prospettive per i lavori pubblici
Quelle appena presentate sono solo alcune novità del nuovo Codice dei contratti pubblici, ma esse sono già da sole degne di nota, e conseguentemente, di analisi visto le novità e il potenziale impatto che portano.
Innanzitutto salta subito all’occhio il forte impulso all’approvvigionamento digitale che il nuovo codice contiene. Il “nuovo ecosistema per gli approvvigionamenti digitali” promette di integrare la Banca dati dei contratti con dei profili digitali degli operatori economici, e questo costituisce sicuramente un passo avanti nell’ambito della digitalizzazione dell’amministrazione pubblica.
Un ambiente digitale (unito, inoltre, al principio della fiducia verso l’operato dei funzionari pubblici) può sicuramente velocizzare le procedure per l’affidamento dei lavori, evitando una burocrazia ridondante e soffocante, e consentendo una raccolta e una verifica della documentazione potenzialmente più efficiente se questa nuova piattaforma digitale viene correttamente implementata.
Le criticità del nuovo codice
Tuttavia, il nuovo Codice dei contratti pubblici, se può raccogliere pareri positivi dal punto di vista della spinta alla digitalizzazione, sotto altri aspetti presenta dei punti abbastanza critici. Va infatti fatto notare che alcuni dei provvedimenti sopra elencati possono presentare delle “controindicazioni” rispetto alle originarie intenzioni.
L’ANAC (l’Autorità Nazionale Anticorruzione) reputa critica la soglia dei 500.000 euro per richiedere la qualificazione delle stazioni appaltanti. Infatti, ciò consentirebbe a stazioni appaltanti non qualificate di controllare contratti di appalto già di una certa cifra per i quali non hanno le competenze adeguate, rischiando così di ottenere un effetto contrario a quello che, probabilmente, era lo spirito originario della norma, cioè che gli appalti durino di più e non si raggiungano i risultati prefissati. Inoltre, questo lascerebbe le amministrazioni meno qualificate e più deboli con un ridotto potere contrattuale di fronte ai grandi gruppi privati.
A gravare ancora da più sulla situazione presentata e sui rischi che essa comporta è il fatto che, nonostante non si tratti di appalti milionari, la verità è che i lavori affidati sotto la soglia del mezzo milione rappresentano circa il 90% dei contratti, impattando notevolmente sulle risorse pubbliche di conseguenza.
Sempre con riferimento alle nuove soglie, per quanto riguarda i 140.000 euro che si configurano come il limite per gli affidamenti diretti dei servizi, il rischio, secondo Busia, è che, piuttosto di incentivare le imprese a offrire servizi più innovativi a un prezzo accettabile, si scateni una corsa a avvicinarsi al dirigente in capo all’affidamento dei lavori.
I problemi dell’appalto integrato
Ennesimo punto che ha sollevato criticità è il ritorno dell’appalto integrato. Come già sopra enunciato, in linea teorica l’appalto integrato costituisce una scelta sensata, in grado di accorciare le tempistiche; esso, tuttavia, ha presentato alcune criticità quando applicato.
In questo caso, si era precedentemente rilevato che le stazioni appaltanti definivano caratteristiche progettuali molto blande, mentre l’esecutore delle opere frequentemente ha progettato le opere puntando alla massima semplificazione possibile a vantaggio del suo ritorno economico. Oltre alla perdita del controllo progettuale da parte della stazione appaltante, spesso i lavori, piuttosto che essere eseguiti più velocemente, spesso registravano ritardi e i progetti dovevano essere revisionati.
Un primo bilancio del nuovo Codice
Ovviamente le novità sono molte, e dovremmo aspettare del tempo prima di trarre le conclusioni definitive, ma possiamo già fare una prima analisi di questo nuovo Codice dei contratti pubblici.
Sebbene sia presente una nuova e importante spinta alla digitalizzazione, vi sono alcune potenziali criticità. L’assegnazione di potenzialmente numerosi contratti futuri senza bandi di gara o da parte di stazioni appaltanti non qualificate, oltre a non andare sempre d’accordo col principio della concorrenza, rischia di risolversi in un utilizzo di risorse pubbliche per opere non adeguate. Nonostante sia comprensibile la necessità di velocizzare i tempi (un problema quasi cronico in Italia) bisogna fare attenzione a usare bene i soldi dei fondi che ci sono stati consegnati: ne va non solo del benessere dei cittadini, ma anche della nostra credibilità di fronte ai partner internazionali.
FONTI
ANAC: i dubbi sul nuovo Codice dei contratti pubblici
CREDITI