Anna Achmatova fu la prima donna a diventare famosa nella letteratura russa grazie alle sue poesie. Preferiva farsi chiamare poeta, in quanto il termine poetessa sembrava che limitasse il campo dei sensi. Una donna bellissima ma dall’esistenza tragica, vissuta durante il periodo del terrore staliniano. La sua personale rivoluzione fu quella di raccontare ciò che accadeva in Russia tramite i suoi versi. Perse un marito, un figlio e poi la libertà di pubblicare i propri scritti poiché ritenuta sconveniente. Una donna che fin dall’infanzia si dovette scontrare con un mondo che non voleva saperne di poetesse. Una donna agguerrita a cui fu tolto molto, ma che, nonostante tutto, non si perse d’animo.
Anna Achmàtova è uno di quei poeti che semplicemente avvengono, che sbarcano nel mondo con uno stile già costruito ed una loro sensibilità unica. Arrivò attrezzata di tutto punto e non somigliò mai a nessuno. Josif Brodskij
Il suo vero nome era Anna Gorenko. Nacque il 23 giugno del 1889 a Odessa, in Ucraina, da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà. A 17 anni, quando suo padre le proibì di firmare le sue poesie con il nome di famiglia e per questo lei decise di cambiare cognome.
Quando venne a sapere delle mie poesie, mi disse: «non infangare il mio nome».
«Non so che farmene del tuo nome» gli risposi.
Prese il cognome Achmatova dalla bisnonna materna, una principessa di origini tartare discendente da Gengis Khan.
Dopo il divorzio dei genitori, la madre Anna e le altre quattro figlie si trasferirono in Crimea. Anna Achmatova crebbe sulle rive del Mar Nero, giocando su infinite spiagge, circondata da impenetrabili montagne e palazzi antichi. A 15 anni si trasferì a Carskoe Selo, vicino a San Pietroburgo, in Russia.
Anna Achmatova imparò a leggere sui libri di Tolstoj, a cinque anni sapeva perfettamente il francese e scrisse la sua prima poesia a undici. Fin dall’infanzia il suo sogno più grande era quello di diventare poeta. Da ragazzina si sentiva diversa dai suoi coetanei: era estremamente timida, camminava nel sonno e parlava da sola.
Una infanzia pagana. […] Ricevetti l’appellativo di «ragazzina selvaggia» perché camminavo scalza, vagavo senza cappello e così via, mi tuffavo dalla barca in mare aperto…
La vita di Anna Achmatova
Nel 1903 Anna conobbe Nicolaj Gumilëv, un poeta molto ammirato dai giovani russi. Dopo un estenuante corteggiamento da parte di lui, Anna Achmatova decise, nel 1910, di sposarlo. Il viaggio di nozze si svolse a Parigi, dove la poetessa incontrò il pittore Modigliani, il quale si ossessionò a tal punto da volerla sempre ritrarre. Tra i due nacque una profonda amicizia. I due novelli sposi tornarono a San Pietroburgo e poco dopo Gumilëv decise di raggiungere da solo l’Africa, dove rimase per sei mesi. La passione del giovane poeta per l’Achmatova era scemata, infatti nel 1918 i due divorziarono. Gumilëv morì fucilato nel 1921.
Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.
In fila davanti alle carceri di Leningrado
Dall’unione con Nicolaj Gumilëv, nel 1912, nacque Lev, primo e unico figlio della poetessa. La nonna paterna lo prese in affidamento, una scelta obbligata che rovinò i rapporti tra madre e figlio. Lev fece avanti e indietro dalle prigioni diverse volte durante le grandi purghe staliniane, fino alla condanna nel 1949 ai lavori forzati. Fu rilasciato nel 1956. Achmatova faceva lunghe file davanti alle carceri, insieme a tante altre donne, pur di lasciare vestiti e viveri al proprio figlio. Se il pacco fosse stato accettato sarebbe stato segno che il prigioniero era ancora vivo. In caso contrario era deceduto.
Ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado. Una volta qualcuno mi riconobbe. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro me e che, sicuramente non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di tutti noi e mi domandò in un orecchio (lì parlavano sussurrando):
«Ma questo lei può descriverlo?»
E io dissi:
«Posso».
Allora una specie di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.
Anna Achmatova mantenne la promessa e scrisse Requiem, il suo capolavoro: una raccolta di 12 canti che testimoniano il martirio del popolo russo. Requiem uscì in occidente nel 1963 e in Unione Sovietica soltanto nel 1987, 21 anni dopo la morte dell’autrice.
Dopo la salita al potere di Stalin (1922- 1953) le fu impedito di pubblicare i suoi scritti, poiché ritenuti reazionari. Si guadagnò da vivere traducendo saggi di famosi scrittori dell’epoca. Nel 1946 Anna Achmatova fu espulsa dall’Unione degli Scrittori poiché considerata
residuata della vecchia cultura aristocratica… ora monaca, ora sgualdrina o, piuttosto, insieme monaca e sgualdrina in cui la dissolutezza si mescola alla preghiera.
Ottenne la riabilitazione soltanto dopo la morte di Stalin, avvenuta nel 1953. Successivamente potette recarsi all’estero per ricevere i meritati riconoscimenti: nel 1964 le viene conferito il premio Etna – Taormina, nel 1965 ottenne la laura honoris causa dall’università di Oxford. Anna Achmatova morì a Mosca nel marzo del 1966. Si tennero due funerali, uno a Mosca e uno a Leningrado. A entrambi partecipò una folla immensa.
La poetica di Anna Achmatova
La poetica di Anna Achmatova può essere considerata unica nel suo genere. Il suo stile diretto ed essenziale si avvicina ai principi dell’Acmeismo, ovvero un movimento che si allontana dal simbolismo per giungere direttamente all’acme (punto culminante) del testo, in modo tale da raccontare la realtà così com’è. Inoltre, Anna Achmatova introduce un modo del tutto nuovo di parlare d’amore ed eros, rendendosi artefice di una nuova educazione sentimentale. Le sue poesie sono sobrie, eleganti e migliaia di donne grazie ai suoi lavori iniziarono a comporre versi seguendo il suo stile. A posteriori Anna Achmatova disse: «Io ho insegnato alle donne a parlare, mio Dio, ma come obbligarle a tacere?».
Non ho chiuso le tendine,
guarda dritto nella stanza.
Perché non puoi fuggire
oggi sono così allegra.
Dimmi pure svergognata,
scagliami i tuoi sarcasmi:
sono stata la tua insonnia,
la tua angoscia sono stata.
Anna compose la sua prima opera, La Sera, nel 1912. A questa seguì Rosario, nel 1914 che divenne molto popolare fin dal suo esordio. Nei libri Lo Stormo Bianco (1917), Piantaggine (1921), Anno Domini MCMXXI (1922), si approfondisce il tono della preghiera.
Sì, li ho amati quei raduni notturni:
i bicchieri ghiacciati sparsi sul tavolino,
l’esile nube fragrante sul nero caffè,
l’invernale, greve vampa del caminetto infocato,
l’allegria velenosa dei frizzi letterari
e il primo sguardo di lui, inerme e angosciante.
Con l’arrivo della Grande Guerra, della successiva Rivoluzione e con la fine degli acmeisti Anna fu messa nella condizione di non poter più pubblicare le sue poesie. Nonostante ciò, non smise mai di scrivere, anche se per lei, non poter pubblicare, fu come una morte civile, una condanna all’isolamento e al silenzio.
Solo nel 1940 furono stampate le raccolte Il Salice e I Sei Libri. Sempre in quegli anni iniziò Poema Senza Eroe, portato a termine vent’anni dopo e uscito parzialmente nel 1962. Gli ultimi lavori, tra cui Requiem, furono pubblicati soltanto dopo la sua morte. Ricordò gli amici scomparsi durante la guerra nella raccolta Un Serto ai Morti. Nel 1965 pubblicò La Corsa del Tempo, considerata la sua migliore produzione poetica.
Notte del ventuno. Lunedì.
La città è immersa nel buio.
Un qualche burlone ha scritto
che c’è amore sulla terra.
E per pigrizia o per tristezza
tutti ci hanno creduto. E così vivono:
anelano incontri, temono i distacchi,
cantano amorose canzoni.
Ma diverso si rivela il mistero
e il silenzio calerà su ognuno…
Anch’io mi ci sono imbattuta per caso
e d’allora sono sempre come ammalata.