Il Teatro LabArca di Milano ha ospitato, in un appuntamento molto atteso dal pubblico meneghino, Enrico Bonavera, il protagonista del celeberrimo Servitore di due padroni del Piccolo Teatro di Milano. Amico di vecchia data dello spettacolare teatrino situato nel centro di Milano, Enrico ha offerto al suo pubblico un weekend all’insegna del teatro comico. Infatti, il sabato sera è andato in scena con lo spettacolo Il vino e suo figlio, la domenica ha tenuto un seminario aperto al pubblico sull’arte dell’affabulazione. Il vino e suo figlio è un monologo comico e introspettivo, che prende ispirazione dalle antiche tradizioni della commedia dell’arte, ma se ne distacca per lasciare spazio a una narrazione moderna ed estremamente divertente.
Il monologo è liberamente tratto da Il Navigatore del Diluvio, un testo scritto da Mario Brelìch nel 1982. Al centro vi è la storia della scoperta del vino da parte di Noè e il racconto del Diluvio Universale da una prospettiva insolita, quella del figlio Sem. Bonavera immagina una cornice mitica, addirittura biblica, concentrandosi così su un’epoca primordiale, antecedente qualunque costrutto famigliare e sociale. Gli episodi biblici, pur generalmente fedeli all’originale, sono completamente riscritti in chiave comica e sono osservati dalla prospettiva del figlio di Noè. Bonavera immagina un’epoca in cui tutto ciò che esiste ancora non era stato creato. Le prelibatezze della terra erano solo un’illusione ed è proprio la concessione di Javhè che consente di provare per la prima volta l’ebrezza del vino, insegnando così le tecniche di produzione della “sostanza divina”.
Enrico Bonavera tra autobiografia e finzione
Il vino e suo figlio è una celebrazione della prelibatezza del vino e di tutte le bontà eno gastronomiche che popolano le tavole italiane. Bonavera, nel suo racconto, sceglie di mescolare autobiografia e finzione. Così, tutto a un tratto, Javhè diventa un alpino, mentre lui si personifica con Noè. Nell’affabulazione, è in grado di accostare le vicende bibliche e mitologiche a quelle personali autobiografiche. Dalla scoperta del teatro, al rapporto con il padre, Bonavera si mette a nudo davanti a un pubblico assorto. Interessante a tal proposito il rapporto creato con Dio. La divinità diventa una creatura umana, estremamente vicina alla sua creazione, tanto da fornire insegnamenti e consigli, complimentarsi e chiacchierare nella quotidianità. Il Dio ritratto da Bonavera è un Dio buono ed estremamente umano.
La scenografia è quasi completamente spoglia. Al centro del palco vi è solo un tavolo, con un fiasco di vino. Così il palcoscenico è occupato quasi esclusivamente dall’attore, in grado di incantare l’intero pubblico grazie a una performance straordinaria. Bonavera si avvale dell’ausilio di una sola fisarmonica, che usa come accompagnamento durante le transizioni temporali presenti all’interno dello spettacolo. Del resto, le superlative abilità dell’attore sono più che sufficienti per rendere un semplice spettacolo un capolavoro.
Il vino e suo figlio…al di là della commedia dell’arte
Come anticipato, la fisicità della commedia dell’arte viene lasciata da parte, per portare in scena una narrazione fluida e divertente. Il linguaggio è popolare e apre le porte a lazzi e risate, ma il tono è comunque più aulico rispetto ai dialetti utilizzati negli spettacoli di commedia. Un ricordo delle maschere permane nel momento in cui Enrico indossa una barba finta per interpretare uno dei personaggi della narrazione. Tanto quanto una maschera, la barba è un elemento identificativo importante che aiuta lo spettatore nella comprensione della narrazione e nell’immedesimazione. Indossare la barba significa indossare le vesti del personaggio e raccontare la storia da quella particolare prospettiva. Questo semplice elemento di costume è utile per distinguere tutti i personaggi che vengono semplicemente evocati nella narrazione. Permette di disimpegnare la mente dello spettatore, consentendogli di godersi naturalmente il flusso della narrazione.
Così, in un ilare clima di festeggiamento e risate, anche Bonavera trova spazio per raccontare la sua storia, focalizzando l’attenzione sul momento della scoperta del vino. Coccolato da un buon bicchiere di vino rosso, il pubblico si gode uno spettacolo che ha tutte le carte in regola per essere definito un “capolavoro di stile”, interpretato da uno dei più interessanti artisti del panorama contemporaneo.
E ora, non resta che attendere il consueto ritorno del Servitore di due padroni…
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