Premiato al Festival di Cannes 2018 per la migliore sceneggiatura, Lazzaro felice diretto da Alice Rohrwacher è un film spiazzante, dal retrogusto amaro e innocente.
La commedia e la storia si incontrano in un’ambientazione e dentro e fuori dalla realtà. L’Italia contadina e ignorante minacciata dai lupi, lontana dal caos cittadino delle macchine. Lazzaro (interpretato da Adriano Tardiolo) è un tuttofare dal cuore d’oro: riceve ordini da tutti e lui esegue, senza controbattere. Lo sfruttano come e quando vogliono ma lui non si ribella.
La storia è ambientata a L’Inviolata, una piccola comunità contadina di ragazzi e adulti che vivono nell’inganno della marchesa Alfonsina De Luna (Nicoletta Braschi). In città è conosciuta come la “signora del tabacco”, tra i contadini è la padrona. Sembra di essere nei primi anni del Novecento e invece siamo nel pieno degli anni Novanta: li sta ingannando tutti, senza permettergli mai di scendere in città o di avere contatti con il resto del mondo. I contadini sono mezzadri quando la mezzadria è stata già bandita per legge.
Quella che i contadini considerano normalità, si spezza nel momento in cui la marchesa ritorna con il figlio Tancredi (Luca Chikovani), un ragazzo viziato che sfrutterà l’ingenua bontà di Lazzaro per fingere di essere stato rapito. Nella villa, soggiornano il ragioniere, complice della bugia, e la figlia Teresa.
Lascia una lettera nel pollaio con una richiesta di soldi per il riscatto, ma nel frattempo Lazzaro lo nasconde nel suo angolo di vita sul monte, un posto tutto suo.
Non mi stupirebbe scoprire che siamo mezzi fratelli […]. Mio padre era un grande sciupafemmine . E, forse, tua madre mentre lavava i panni al fiume … mio padre si è avvicinato … Mezzi fratelli.
Ecco, per Lazzaro quella nuova amicizia è vera, ma non può passare tutto il tempo con lui. Deve ritornare sui campi a lavorare, cosa che fa rimanere male quel punk di Tancredi:
Un mezzo fratello non farebbe questo!
Lazzaro ha paura di perdere il suo nuovo amico, mezzo fratello, pensa di avergli fatto un torto immenso, tanto da ammalarsi e prendere la febbre.
Qualche giorno dopo, ancora malato, raggiungerà il posto in cui si nasconde Tancredi ma, a metà strada, ancora febbricitante, scivolerà giù dalla montagna. Ed ecco che arrivano i lupi.
Nel frattempo, Tancredi è riuscito a mettersi in contatto con la villa della marchesa, cerca di chiamare con il cellulare ed è Teresa a rispondere. Non sa cosa fare, allora chiama i carabinieri denunciando la scomparsa di un marchesino. Elicotteri, macchine, arrivano i carabinieri nella campagna tranquilla. Il velo dal mondo è crollato, le bugie sono state scoperte. Non resta che andare in città. Ma Lazzaro?
Il tempo va avanti … Cambia lo scenario: dalla natura dai colori caldi, arriviamo alla città grigia e fredda. Lazzaro, che sembrava essere morto, risorge. Gli altri personaggi sono invecchiati ma lui è rimasto tale e quale, immutabile. Antonia (interpretata da giovane da Agnese Graziani, ora è Alba Rohrwacher), che da ragazzina era stata l’unica a preoccuparsi della sua scomparsa, ora è l’unica a riconoscerlo senza esitare e ad accoglierlo nella nuova casa. È così che Lazzaro scopre del Grande Inganno ma, nonostante tutto, nel momento in cui incontra nuovamente Tancredi vediamo che il legame è sopravvissuto nonostante tutto.
Lazzaro è l’unico che, in una storia dove il bene e il male si incontrano e scontrano, è rimasto puro, disposto a rendersi utile in ogni modo senza esprimere un giudizio. La stupidità innocente. I mezzadri capiscono che la città non è un posto per loro, non sono più felici come un tempo. Tornare alla campagna sembra essere l’unica scelta saggia.
Lazzaro felice è un film che tante volte chiede allo spettatore di mettere da parte la razionalità, che troppe volte rimane sbigottito davanti allo schermo. Non si può fare a meno di chiedersi com’è possibile credere per così tanto tempo di non potersi muovere dalla campagna, mai nessuno che c’abbia davvero provato. Forse, la motivazione delle paure tramandate negli anni regge poco. Ma l’ignoranza dei contadini fa chiudere un occhio sui buchi nella trama.
Un film che è un’analisi sull’Italia di oggi e di ieri. Con le sue menzogne che cambiano, restando sempre le stesse. Sulla paura, sull’inganno. Sulla complicità. Sul desiderio di una rivoluzione, restando dentro il cerchio della propria comfort-zone. Una democrazia che salva gli schiavi, gettandoli nella realtà di un sistema ancora più classista.
Da guardare apprezzando la sceneggiatura, così reale e incantata. Lazzaro è proprio questo, un ragazzo dallo sguardo incantato che, rimasto da solo, è destinato a morire per resuscitare (proprio come il Lazzaro della Bibbia) e “salvare” il prossimo. Un San Francesco che parla con i lupi.