Sono in corso durante la primavera del 2023 le celebrazioni per i 160 dalla nascita di Gabriele D’Annunzio, il poeta vate e intellettuale del primo Novecento italiano. La sua personalità è ben rappresentata dal monumento dal fascino estetico per eccellenza: il Vittoriale. Tuttavia, se i più ricordano D’Annunzio come grande autore e maestro della letteratura italiana, è necessario non trascurare la sua imponente opera teatrale. La nostra celebrazione dell’autore oggi vuole ripercorrere i fondamenti del teatro di D’Annunzio e le più importanti opere che ne hanno costellato la biografia.
Dal superuomo al “teatro di poesia”: riflessioni intorno al teatro Dannunziano
Innanzitutto, è bene sottolineare come il teatro rappresenti per D’Annunzio una forma d’arte di prioritaria importanza, non fosse altro che per il fascino estetico che solo essa può veicolare. Il teatro rappresenta il mezzo più semplice con cui comunicare con il pubblico, nel tentativo di trasmettere un messaggio potente ed estremamente empatico.
Il teatro di D’Annunzio è ampiamente influenzato dall’ideologia del superuomo, frutto degli studi di Nietzsche. Tuttavia, nella concezione del poeta il pensiero del filosofo rimane sullo sfondo, per lasciare spazio a un’interpretazione più moderna e originale. Il superuomo dannunziano assume le sembianze di un poeta Vate che vive una vita “sopra le righe”, persuade e incanta le donne e si pone alla guida del paese. Tale interpretazione della realtà si riflette facilmente nei personaggi protagonisti delle opere dannunziane, in cerca di una propria – e quasi sempre fallimentare – realizzazione personale. Inoltre, gli stessi si scontrano spesso con una donna (o una forza) nemica in grado di distruggerli.
Da un punto di vista tecnico, il teatro di D’Annunzio appare a dir poco rivoluzionario. Innanzitutto, il poeta predilige una messa in scena en plain air, mescolando così l’idea del teatro a quella del rito. Ciò consente di allontanare l’opera dannunziana dal tradizionale teatro borghese in voga in quegli anni. In aggiunta, D’annunzio si allontana dall’idea di sfruttare per la scena una scenografia dipinta, prediligendo l’utilizzo di oggetti, posizionati in uno “spazio totale”. L’identificazione del personaggio avviene così grazie a un intelligente gioco di luci, strumento fondamentale per le messe in scena moderne.
Quello di D’Annunzio è un teatro di parola. I numerosi testi teatrali, in particolare le tragedie, sono infatti ben riconoscibili da un punto di vista linguistico. Protagonista assoluta, accanto ai personaggi, è sempre la parola che, ancora prima della trama, vuole attrarre, sconvolgere e ammaliare lo spettatore. A tal proposito, l’obiettivo del poeta è creare spettacoli teatrali impattanti, scioccanti, indelebili nella mente degli spettatori. Al centro di ogni spettacolo vi è il superuomo, che si rapporta continuamente con la folla, il pubblico. Si tratta dunque di un “teatro di poesia“, tanto che alcune messe in scena (tra cui La figlia di Iorio) sono scritte in endecasillabi sciolti.
“La città morta”
Tra le opere teatrali meglio riuscite si può sicuramente individuare La città morta, una tragedia in cinque atti composta nel 1896. Al centro dell’opera il tema dell’incesto, dell’amore del protagonista per la sorella. Un amore che, non consumandosi, si protrae fino all’estremo gesto fatale. Il protagonista, il superuomo dannunziano, si scontra con una donna che rappresenta il classico personaggio vittima della tragedia classica, sacrificata innocentemente sull’altare della libertà. La città morta rappresenta dunque una perfetta sintesi tra il teatro classico e il teatro moderno: D’Annunzio ambienta infatti in epoca contemporanea tematiche tipiche della tragedia greca. Immagini della tragedia classica vengono proiettate in ambiente borghese, scardinando così i principi del dramma borghese, genere molto in voga in epoca contemporanea all’autore.
“La figlia di Iorio”
Si tratta del capolavoro che gode di maggior fama, rappresentato per la prima volta a Milano nel 1904. Qui D’Annunzio prosegue ricercando uno stile che mescola il classico al moderno. In questo caso, il teatro poetico si fonde con il mondo abruzzese pastorale e favoloso. La cornice della tragedia è caratterizzata da quei paesaggi cari all’autore, che si possono facilmente ritrovare in molte altre sue opere. Al centro, perfettamente conforme ai canoni classici, una ninfa e un pastore, e il loro amore ostacolato che finisce in tragedia. Con questo testo, l’obiettivo del poeta sembra essere quello di ricongiungersi con la sua terra d’origine grazie alla scelta di personaggi arcaici e simbolicamente impattanti. Le tematiche popolari dimostrano il suo legame alla terra; l’utilizzo del verso mostra il desiderio di elevare a opera d’arte le stesse tematiche.
“Francesca Da Rimini”
Infine, interessante è menzionare una celeberrima tragedia che ha visto numerosi adattamenti a livello artistico e cinematografico. La Francesca da Rimini di D’Annunzio riprende fedelmente la vicenda dantesca descritta nel V Canto dell’Inferno e affonda la sua trama nella storia dei due amanti, perseguitati nell’amore anche negli inferi. Si tratta di una tragedia in versi divisa in cinque atti, che presenta al centro un amore carnale ed erotico, ma in fin dei conti salvifico. Paolo e Francesca, nonostante il loro peccato, sembrano essere gli unici personaggi a salvarsi dall’ampio spargimento di sangue che popola la tragedia. D’Annunzio concede spazio all’amore tra le due anime e, forse, ne decreta la salvezza.
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