Matteo Renzi diventa direttore del «Riformista» e raddoppia

Renzi non «lascia ma raddoppia». È con queste parole che Matteo Renzi, senatore della Repubblica italiana e leader di Italia Viva, annuncia la recentissima nomina a direttore del quotidiano «Il  Riformista». Una notizia che pone alcuni interrogativi e che colpisce, soprattutto perché viene dalla bocca di chi aveva solennemente giurato di lasciare la politica e di tornare a fare il libero cittadino. Sono passati diversi anni da quella famosa promessa, per altro ribadita in moltissime occasioni, ma Renzi non è ancora pronto a lasciare e, anzi, raddoppia.

Un nuovo direttore per il Riformista

Mercoledì 5 aprile Matteo Renzi, attraverso i propri canali social, ha fatto sapere al mondo che a partire dal prossimo 3 maggio assumerà a pieno titolo la carica di direttore del «Riformista». La sua nomina andrà a sostituire il direttore Piero Sansonetti, che dopo tre anni di lavoro ha deciso di passare alla direzione della nuova «Unità», con cui aveva già collaborato e assunto la carica di codirettore per diversi anni. Nell’intraprendere questa «sfida affascinante» Matteo Renzi ha specificato che questa nomina non andrà a sostituirsi a quella di senatore ma che, anzi, andrà ad affiancarsi a essa. È per questo motivo che durante la conferenza stampa tenutasi lo stesso giorno, Renzi ha tenuto a ribadire che il «Riformista» non diventerà il giornale del Terzo Polo, ma il punto riferimento di una schiera di lettori più ampia. Con il ritorno alla vocazione liberal-democratica (queste le parole di Alfredo Romeo, imprenditore e proprietario sia del «Riformista» e della nuova Unità) la nuova governance del giornale spera di intercettare il suo bacino elettorale, ma anche un’area più moderata di elettori di Forza Italia e gli elettori del Partito Democratico che non si riconoscono nella nuova leadership della segretaria Schlein.

La decisione di Romeo nasce quindi dall’esigenza di dare al «Riformista» una svolta alla sua linea editoriale e al suo sguardo sul futuro. Dopo anni di chiusura (dal 2012 al 2019) e il cambio di proprietà, il precedente direttore era stato incaricato di risollevare le sorti del quotidiano, ma ora spetta a Matteo Renzi ricondurlo alla piena rinascita.

Le reazioni dal mondo della politica

Immediate sono state le congratulazioni da parte dell’ex alleato (ormai la rottura è definitiva) Carlo Calenda, che si congratula con Matteo Renzi per il nuovo incarico ottenuto. Altrettanto entusiaste sono state le reazioni di altri personaggi del campo giornalistico, ad esempio Vittorio Feltri ha accolto la sua nomina con entusiasmo, affermando che finalmente Renzi costituirà “una ventata d’aria fresca e un’alternativa più credibile ai luoghi comuni della sinistra”. Più critica, invece, è stata la reazione di Luciano Fontana, direttore del «Corriere della Sera». Quest’ultimo si è chiarato abbastanza sorpreso per il fatto che Renzi “voglia fare tremila mestieri e non l’unico per cui è stato eletto dal popolo italiano“, ovvero quello di senatore della Repubblica.

Visioni altrettanto contrarie sono arrivate anche dal Movimento 5 Stelle, che percepisce il nuovo ruolo di Renzi come incompatibile con la sua professione attuale. Dirigere un giornale e assumere la carica di parlamentare crea un conflitto di interesse di non poco rilievo. I parlamentari, infatti, godendo dell’immunità, non sono tenuti a rispondere a eventuali cause di diffamazione (se queste emergeranno nel corso del suo lavoro, quindi, Renzi potrebbe non essere punito). Inoltre, parteggiando per un preciso partito politico, non è difficile immagine che la visione politica di cui i parlamentari si fanno portavoce possa andare a influenzare anche la linea editoriale del giornale in questione. Tuttavia, la legge non vieta che un parlamentare possa diventare anche il direttore di un giornale, e gli esempi prima di Renzi sono stati molti.

Il paragone con Mattarella e Veltroni

Per giustificare la sua nomina e la possibile conflittualità tra le due cariche, Renzi ha prontamente illustrato che una situazione simile è già accaduta in passato e non è nuova alla politica italiana. In particolare, Renzi ha citato i casi di Walter Veltroni e Sergio Matterella, rispettivamente direttori dell’«Unità» e del «Popolo» mentre erano anch’essi parlamentari. Il paragone è giusto e legittimo, ma omette dei particolari importanti.

La storia dell’«Unità» è ricca di parlamentari che si sono divisi tra la scrivania di una redazione e quella del Parlamento. Oltre a Veltroni si potrebbe citare anche Pietro Ingrao, Massimo D’Alema e altri nomi che hanno fatto della doppia carica del direttore una tradizione rimasta intoccata per diversi decenni e propria dell’impostazione del quotidiano. Un discorso simile può essere esteso anche per Mattarella. Prima di ricoprire la carica per cui è noto oggi, Mattarella conta alle spalle una carriera politica costellata di nomine e grandi risultati. Nel novembre del 1992 Sergio Mattarella, che all’epoca era parlamentare per la Democrazia cristiana, venne scelto come direttore del «Popolo», per rimanerci fino al 1994. Come è noto questi due anni si rivelarono particolarmente cruciali per la vita politica del Paese e segnarono la fine della DC. Lo stesso Mattarella fu uno dei protagonisti della fondazione del nuovo Partito Popolare Italiano, con cui poi sarebbe stato eletto nelle tornate elettorali successive. Seguendo il cambiamento del suo “direttore politico”, anche il «Popolo» passò dal rappresentare la DC a diventare organo del Partito Popolare. È proprio in quest’ultimo aspetto che il paragone usato da Renzi, per quanto legittimo, non riesce a silenziare tutti gli interrogativi sorti a seguito della sua nomina. Sia il «Popolo» che l’«Unità», infatti, sono sempre stati dei giornali di partito. Non a caso la nomina di entrambe le figure arrivò direttamente dalle schiere interne.

Foto di Matteo RenziUn direttore un po’ particolare

Al di là del discorso sulla legittimità della sua nomina, Matteo Renzi si trova in una condizione un po’ particolare. Oltre a essere senatore, infatti, non è iscritto all’Ordine dei giornalisti e questi due aspetti gli impediscono di assumere la carica di “direttore responsabile”. Sembra quindi che a lui spetti un compito più dirigenziale che di responsabilità. Una definizione precisa del suo ruolo non esiste a livello giuridico, ma si potrebbe riassumere nell’espressione di “direttore editoriale”. Probabilmente sarà lui a decidere la linea di pensiero di cui si farà portavoce il quotidiano e stabilire concretamente il pubblico di riferimento che la nuova “ventata liberal-democratica” andrà a intercettare.

Ad affiancarlo ci sarà Andrea Ruggieri, classe 1975 ed ex parlamentare di Forza Italia. La nomina di Ruggieri non ha mancato di sollevare ulteriori criticità perché c’è chi ha visto dietro la scelta di unire due personaggi così politicamente differenti, la volontà di Renzi di guardare al centro destra e di costruire le basi per un partito di centro. Intervistato da «Repubblica», anche lo stesso Ruggieri non ha negato la possibilità che dietro questa scelta editoriale ci possa essere una ricaduta politica perché, in fin dei conti, “si parla a dei lettori che domani saranno degli elettori”.

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