Non è la prima volta che Michele Riondino mette piede sul palco del Piccolo Teatro. Eppure la sua presenza scenica fa sempre un certo effetto, abituati a osservarlo nei panni di uno dei personaggi più noti della televisione italiana, il “giovane Montalbano”. L’attore, già nei panni di Voland nel Maestro e Margherita, torna al Piccolo Teatro con uno spettacolo autobiografico e sperimentale: Ritratto dell’artista da morto. La sensazione di “meraviglia” destata nello spettatore è avvalorata dalla cornice insolita che il Piccolo Teatro sceglie di destinare agli spettacoli più intimi: lo Studio Melato. La struttura del teatro di stampo inglese elisabettiano consente al pubblico di disporsi in uno spazio semi circolare, dunque piuttosto intimo. Tale architettura induce naturalmente alla rottura della quarta parete, generando così un contatto diretto tra attore e spettatore.
Ritratto dell’artista da morto è uno spettacolo scritto e diretto da Davide Carnevali ed è ispirato a una vicenda autobiografica che ha coinvolto lo stesso Michele Riondino. Al centro una profonda riflessione sulle barbarie dei totalitarismi e sulla vita di quei dissidenti politici divenuti trasparenti o addirittura scomparsi. Si fa in particolare riferimento ai desaparecidos, ovvero quei dissidenti politici scomparsi durante la dittatura militare argentina del 1978. Come anticipato, lo spettacolo evoca un episodio autobiografico dello stesso attore. Riondino viene infatti coinvolto in una vicenda giudiziaria relativa a una casa contesa, espropriata a un dissidente politico durante la dittatura militare argentina. Proprio l’ispezione della casa disabitata effettuata dall’attore dà vita allo spettacolo, e dunque a immaginazioni e riflessioni sull’individuo scomparso.
Ritratto dell’artista da morto è uno spettacolo ibrido, che mescola diverse tipologie di generi narrativi. Talvolta ricorda infatti un’indagine poliziesca, talaltra un documentario a sfondo storico. Di certo, il desiderio degli artisti è in primo luogo documentare e dare voce a chi voce non ne ha poiché è avvolto dal silenzio della storia. Tuttavia, il tono narrativo utilizzato rende evidente l’intento di far emozionare lo spettatore, e dunque far scaturire sensazioni profonde, oltre a riflessioni.
Come restituire la voce a chi è stato ridotto al silenzio? Questo è il motore portante dello spettacolo, il quesito su cui l’intera narrazione è costruita. Come diretta conseguenza, gli artisti hanno dato vita a una architettura che mescola musica, arte e letteratura.
Scenografia di Ritratto dell’artista da morto
La scenografia è molto ricca e realistica. In particolare, si tratta di una fedele ricostruzione della casa contesa, secondo quanto documentato da fotografie autentiche ricevute dalla questura argentina. Proprio la volontà di conservare invariati alcuni dettagli essenziali della storia è una chiara dimostrazione dell’importanza riservata al tema della memoria. Effettivamente la memoria è il motore portante della rappresentazione e permea lo spazio scenico in ogni dettaglio. Riondino, l’attore protagonista, costruisce la messa in scena come se fosse una sfida, una gara, con lo spettatore. Il coinvolgimento porta il pubblico a “giocare” con lo spettacolo, indagando insieme al protagonista sulla vicenda poliziesca. Così, in una continua sfida, Riondino rompe e ricuce continuamente la quarta parete, costruendo un contatto sempre più intimo con lo spettatore.
Il culmine di tale decisione si nota evidentemente sul finire dello spettacolo quando l’attore protagonista chiede agli spettatori di invadere completamente la scena – ovvero la casa disabitata – ormai divenuta uno spazio aperto al pubblico. Il teatro si trasforma così in un museo, uno spazio di relazione in cui l’arte giunge alla sua massima espressione. Il teatro, in questo modo, non è più uno spazio riservato a un’élite di persone, ma un luogo in cui la cittadinanza si può riunire liberamente. In sintesi, il teatro-museo è lo spazio in cui le emozioni e i ricordi possono girovagare liberi.
Ritratto dell’artista morto è un’opera d’arte che ambisce a restituire la voce al popolo di fantasmi, sommersi dal peso della storia, e dunque dimenticati. Lo spettacolo non offre alcuna risposta certa: ridare voce a chi è sepolto nel ricordo, significa offrire una speranza di sopravvivenza o usurparne la dignità di uomo? Il quesito non ha risposta, nello spettacolo e nemmeno nella realtà della vita. Così, Riondino offre al pubblico materia di riflessione, al confine tra etica, arte e giustizia.
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