Castelli infestati, cimiteri, spettri e creature mostruose. Sangue, morte e amore. Queste sono le caratteristiche che delineano il genere gotico nella letteratura. Ma non solo. La caratteristica principale di un romanzo gotico è la presenza di numerosi sentimenti contradditori che animano i vari personaggi dell’opera. L’amore è qualcosa che crea un profondo tormento e la Morte si muove libera nella storia, come se fosse lei la vera protagonista. Il genere gotico ha come obiettivo quello di portare a galla questi sentimenti in modo tale da turbare il lettore. Non è il vampiro o la strega che spaventano, ma il senso di solitudine che avvolge come un mantello nero coloro che vivificano le varie vicende. Mary Shelley prende tutti questi elementi e li usa con sapienza, dando vita a Frankenstein, o il Moderno Prometeo, il capolavoro che, oltre a portarla al successo, la proclama regina del genere gotico.
Quanto sono mutevoli i nostri sentimenti e quanto è strano l’attaccamento passionale alla vita che abbiamo anche nel massimo della sofferenza!
Ma chi è veramente Mary Shelley? Chi si nasconde dietro a quegli occhi scuri e tristi?
Due autrici hanno provato a rispondere a queste domande attraverso i loro romanzi, entrambi pubblicati dalla casa editrice Neri Pozza. Il primo romanzo si intitola Amore e Furia, di Samantha Silva. Lo scritto si concentra principalmente sul rapporto tra Mary Shelley e sua madre. Il secondo romanzo è Mary, di Anne Eekhout, scrittrice olandese pluripremiata.
“Mary”, il romanzo di Anne Eekhout
Il romanzo Mary di Anne Eekhout è una biografia romanzata. Il manoscritto si sofferma su due periodi ben precisi della vita di Mary Shelley, intervallati da quattro anni. Nel primo periodo vengono narrate le vicissitudini che si susseguono durante il soggiorno di Mary Shelley in Scozia, quando ancora era una ragazzina, presso una famiglia benestante che intratteneva legami di amicizia con il padre. Nel secondo periodo Mary Shelley si trova a Villa Diodato, in Svizzera, insieme al suo futuro marito Percy, alla sua sorellastra Claire e al Dottor Polidori, tutti ospiti di Lord Byron. Ed è proprio durante questa vacanza che Mary Shelley dà vita al romanzo Frankenstein, o il Moderno Prometeo.
Anne Eekhout si è imbattuta in un lavoro arduo e coraggioso: dev’essere stato molto difficile restituire al pubblico la complessità e profondità di una figura come quella di Mary Shelley. Il fatto di aver voluto romanzare la sua biografia ha sicuramente dato respiro e fluidità al romanzo, indebolendo però lo spessore psicologico della protagonista. L’autrice, nonostante ciò, cerca di mettere insieme i pezzetti che compongono l’identità di Mary Shelley, soffermandosi sulla difficoltà della protagonista nel far coesistere nella stessa persona tre ruoli differenti: quello di madre, moglie e scrittrice.
Allora abbraccia William e per un momento dimentica di essersi dimenticata di essere sua madre. Allora è tutto insieme: moglie, madre e scrittrice. Allora crede che sia possibile. Allora crede di poter essere tutte quelle cose insieme.
La vita e le opere di Mary Shelley
Mary Shelley nel corso del tempo è diventata una figura che cattura l’attenzione di vari studiosi e scrittori, come abbiamo visto poc’anzi. Non solo perché è considerata la regina del genere gotico, ma soprattutto a causa della sua vita travagliata. Fin dalla nascita la scrittrice sembra destinata alla morte e alla sofferenza.
Mary Wollstonecraft Godwin, successivamente Mary Shelley, nasce a Londra il 30 agosto del 1797. I genitori erano dei filosofi, rivoluzionari e anticonformisti dalle idee radicali che li misero in conflitto con la società dell’epoca.
La madre, Mary Wollstonecraft, fu scrittrice, viaggiatrice e autrice di un testo che divenne fondamentale per quanto riguarda i diritti delle donne, ovvero A Vindication of the Rights of Woman, scritto nel 1792 a Parigi.
Mary Wollstonecraft morì però undici giorni dopo aver partorito Mary Shelley, lasciando suo marito William Godwin da solo a prendersi cura della piccola Mary e di Fanny, la primogenita avuta dalla madre in una precedente relazione. Fanny morì suicida nel 1816.
Quando Mary Shelley aveva tre anni il padre si sposò con una donna, madre di due figli. Nonostante il rapporto complicato con la matrigna, la Shelley poté godere di un’infanzia tutto sommato spensierata, anche grazie all’educazione progressista e liberale ricevuta dal padre.
I miei sogni furono solo miei; non ho mai dato la colpa a nessun per essi; sono stati il mio rifugio quando ero irritata – il mio piacere più caro quando ero libera.
Il grande amore di Mary Shelley
Nel 1814 Mary Shelley incontrò il suo unico e grande amore, Percy Shelley, un poeta appartenente alla corrente del Romanticismo. Il poeta, all’epoca ventiduenne, era solito frequentare la casa della scrittrice poiché molto amico del padre. I due s’innamorano sebbene lui fosse sposato con un’altra donna. La relazione non fu ben vista né dal padre, né dalla società, quindi i due decisero di scappare e di rifugiarsi a Parigi. Durante il soggiorno parigino vissero di poesia e di espedienti, infatti Percy Shelley, a causa dei debiti contratti in passato, è costretto a viaggiare frequentemente per lavoro.
Nel 1815 Mary Shelley rimase incinta ma, purtroppo, la figlia morì un mese dopo la nascita a causa di una febbre molto alta. Questo avvenimento fece cadere la scrittrice in una profonda depressione.
Qualche tempo dopo la moglie di Percy Shelley morì suicida a causa della relazione extraconiugale del marito. La coppia di innamorati decise di trasferirsi a Ginevra, in Svizzera, dove iniziò a frequentare Lord Byron, compagno di Claire, la sorellastra di Mary. La fortuna sembrò essersi dimenticata della coppia, soprattutto di Mary Shelley, che diede alla luce tre bambini, di cui uno soltanto raggiunse l’età adulta.
Nel 1822 il marito Percy Shelley morì annegato durante un viaggio in mare e Mary Shelley ritornò in Inghilterra. Visse i suoi ultimi giorni afflitta da una paralisi progressiva, probabilmente dovuta a un tumore al cervello. Morì nel febbraio del 1851.
Fino a quel momento la Shelley aveva conservato il cuore del defunto marito in un cassetto del suo studio, avvolto in un drappo di seta, sul quale era scritta la sua poesia preferita. Anche se adesso può sembrare una pratica bizzarra, all’epoca era molto comune conservare parti del corpo di un defunto. Esistono diverse teorie per quanto riguarda la conservazione del cuore di Percy Shelley: alcuni sostengono che in realtà si trattasse del fegato, altri invece pensano che sia soltanto una leggenda popolare creatasi nel tempo. Si narra, inoltre, che alla morte di Mary Shelley il cuore di suo maritò si ridusse in ceneri.
Oh Mary, se ci fossi tu qui, cara
con i tuoi occhi castani di luce e chiari
e la tua dolce voce, come un alato
che canta amore al suo compagno
solo nel nido d’edera, sconsolato;
voce più dolce non s’è mai udita.
E il tuo ciglio, più del cielo
di questa azzurra Italia.
Mary, cara, vieni da me subito
io non sto bene se sei lontana;
come il tramonto per la luna che si è fatta sfera
come il crepuscolo per la stella d’occidente, così
tu molto amata sei per me.
Oh Mary, se ci fossi tu qui, cara;
l’eco del castello “qui” mormora.
“Frankenstein”: il capolavoro di Mary Shelley
Mary Shelley raggiunse il punto più alto della sua carriera di scrittrice con il romanzo Frankenstein, o il Moderno Prometeo, pubblicato con uno pseudonimo maschile nel 1818. L’opera nacque quasi per gioco, durante una serata tempestosa dove Mary e Percy Shelley, la sorellastra Claire e il dottor Polidori si trovano ospiti nella villa affittata da Lord Byron, in Svizzera. Quella sera Lord Byron lanciò una sfida ai suoi amici, presa molto seriamente da Mary Shelley: scrivere un racconto del terrore. Nacque così il personaggio di Frankenstein, uno scienziato che decide di travalicare i limiti della scienza dando vita a una creatura mostruosa.
L’invenzione, bisogna ammetterlo con umiltà, non consiste nel creare dal nulla, ma dal caos.
La creatura del dottor Frankenstein non ha un nome. È un reietto, un emarginato, rifiutato dal suo creatore e dalla società. L’autrice Mary Shelley prese ispirazione dalla filosofia di Rousseau, secondo la quale l’individuo nasce in una condizione di innocenza, ma a causa del confronto con gli altri uomini e la società, finisce per diventare un essere corrotto.
La crescita evolutiva del mostro inizia in una foresta, a contatto con la natura, nella completa solitudine. Man mano che le sue abilità tecniche e cognitive aumentano, la creatura decide di tentare un primo approccio con gli esseri umani, che si rivela fallimentare a causa del suo aspetto riluttante. Costretto alla fuga trova riparo in un casolare, la cui parete comunica con una casa, da dove la creatura, attraverso una fessura, osserva la quotidianità della famiglia che la abita.
Osservando quella famiglia impara il linguaggio umano. Inoltre, inizia a leggere e a scrivere. Casualmente trova dei libri e attraverso la lettura s’impossessa di tutti quegli aspetti umani, sentimenti ed emozioni prima di allora sconosciuti. Il desiderio di congiungersi con gli esseri umani viene frenato dalla consapevolezza della propria situazione: è solamente un mostro destinato alla solitudine perenne.
Ma tutto era un sogno; nessuna Eva placava i miei dolori o divideva i miei pensieri; io ero solo. Ricordavo la supplica di Adamo al suo Creatore. Ma dov’era il mio? Lui mi aveva abbandonato e nell’amarezza del mio cuore lo maledicevo.
La creatura mostruosa ha un’anima nobile. È educato, profondo ed intelligente. Ma l’esclusione da parte della società e di conseguenza, l’impossibilità del mostro di sperimentare tutti quei sentimenti umani legati alla passione, all’amore e all’amicizia lo portano a provare un odio sfrenato verso il proprio creatore. La solitudine è una condizione talmente logorante e soffocante che l’unico modo che ha per liberarsene è la morte.
Mary Shelley, attraverso Frankenstein, non ci mette in guardia dal progresso scientifico, ma da noi stessi: non è la scienza a creare mostri, ma l’emarginazione e la paura del diverso.
Le altre opere di Mary Shelley
Mary Shelley, oltre a Frankenstein, ha scrisse diverse altre opere. Matilda, pubblicato nel 1959, è un romanzo incentrato sul rapporto incestuoso tra padre e figlia. Simile al suo capolavoro troviamo L’Ultimo Uomo, uno scritto che verte sul fantascientifico. L’Odore, una storia che parla del rapporto tra una vedova e sua figlia. E infine, l’ultima opera pubblicata, Falkner, che racchiude le vicende di una donna educata da un padre autoritario e cinico. Inoltre, Mary Shelley scrisse numerosi diari, lettere e biografie.
Per apprezzare e comprendere la complessità del pensiero di Mary Shelley risulta necessario leggere gran parte delle sue opere letterarie, nelle quali l’autrice riversa il tormento e l’angoscia che l’hanno divorata per tutta la vita. A partire dall’insopprimibile senso di colpa dovuto alla morte della madre e successivamente a quella dei propri figli, nonché per il rammarico di non essere riuscita a capire l’intento suicida della sorellastra Fanny, né di prevenire la morte del suo amato Percy.
A tutto ciò si unisce la pesante ereditarietà culturale proveniente dai propri genitori e l’enorme aspettativa che il padre nutriva nei suoi confronti. Inoltre, Mary Shelley visse assillata da problemi economici a causa dei consistenti debiti contratti dal marito. Anche il padre assunse un ruolo contradditorio nella sua vita. Da un lato fu premuroso e attento, soprattutto per quanto riguardava la sua educazione. Dall’altro lato, invece, fu un padre cinico e privo di sentimenti, che la disconobbe finché la sua unione con Percy non venne legalizzata. Infine, la relazione tormentata con Percy Shelley: una relazione molto fragile e instabile, in quanto lui era solito tradirla con diverse donne, tra cui la sorellastra Claire.
Per Mary Shelley la scrittura era un lenitivo, una cura, un antidoto alla sofferenza della vita. Ed è forse proprio questo aspetto ad averla resa una scrittrice di grande successo. Nonostante il legame intrinseco avuto con la Morte, alla fine ha vinto Mary Shelley, destinata a rimanere nella storia della letteratura per sempre.