Il 2022 è stato un anno costellato da ingenti manifestazioni e proteste, più in generale da plurime istanze di rivendicazione. Notevole è stata la mole di persone scesa in piazza per reclamare diritti fondamentali in ogni angolo del mondo; insomma, un anno segnato da esigenze di risonanza globale. Le piazze colme di umani in protesta, quasi sempre contro governi sempre meno comprensivi e solidali. In termini di clamore è pressappoco impossibile non menzionare la nuova frontiera di protesta volta alla sensibilizzazione sull’emergenza climatica.
Negli ultimi anni l’allarme climatico ha chiamato a sé sempre più rappresentanti. I movimenti nati dimostrano determinazione e audacia nella difesa del pianeta. Just Stop Oil e Letzte Generation (“Ultima generazione”) sono solo due dei numerosi collettivi che si sono esposti sul tema ambientale con ulteriori estensioni in molti paesi europei e non. La prima, di matrice inglese, si batte fermamente per la cessazione di ogni esplorazione, sviluppo e produzione concernente i combustibili fossili commissionate dai governi. La seconda, il cui nome nasce dall’unicità attribuitasi in quanto “ultima generazione in grado di fermare la crisi“, combatte contro l’ingiustizia ambientale nel tentativo di infondere crescente consapevolezza. Si affiancano a storiche associazioni dall’influenza non trascurabile come Greenpeace o Fridays4Future.
Una nuova forma di protesta
Prende dunque piede la nuova frontiera di protesta a favore dell’emergenza climatica. Da sempre manifestare è il metodo attivo più efficace di opporsi e di rivendicare i diritti. Il concetto di protesta nell’immaginario collettivo è però modellato dalle numerose istanze mosse nel corso degli anni: prerogativa di una manifestazione memorabile e di impatto è sicuramente la mole di persone che vi prende parte e dunque coinvolte nella causa. I colossali cortei Black Lives Matter che hanno coinvolto milioni di persone indignate e l’inno Un violador en tu camino che ha solcato manifestazioni in ogni parte del mondo a favore della lotta contro la violenza sulle donne, rappresentano entrambi espedienti che hanno contribuito a plasmare la nostra idea di protesta.
Il denominatore comune delle recenti proteste climatiche è lo sconvolgimento, la rottura degli equilibri quotidiani, l’induzione a un brusco risveglio dal sonno di milioni di cittadini. Aprire loro gli occhi sull’urgenza di agire e cessare ogni rinvio della lotta alla salvezza del pianeta, un problema che in tanti faticano a riconoscere.
Il sottotesto delle proteste
Numerose le opere d’arte delle principali città europee prese di mira dagli ambientalisti. La ragazza col turbante di Vermeer nell’Aia imbrattata di pomodoro, Il Pagliaio di Monet a Postdam coperta da purè di patate, Morte e vita di Klimt a Vienna cosparsa di liquido nero sono solo alcuni degli episodi che hanno sconcertato l’Europa. Ma il modus operandi è variegato e la protesta non è circoscritta solo all’ambito museale-artistico. Due attivisti hanno protestato pacificamente scalando e insediandosi sul ponte Queen Elizabeth II a Londra, mentre un considerevole numero di ambientalisti ha bloccato il traffico con catene umane a Roma, Londra e Milano. Nel mirino anche i luoghi simbolo dell’imperterrito sfruttamento di carbone fossile e istituzioni che non sembrano comprenderne la gravità, entrambi puntualmente imbrattati da vernice lavabile.
L’atteggiamento attivista è del tutto non violento e mira all’elevazione della disobbedienza civile a un livello imperativo e volitivo. Analizzando le operazioni più da vicino, possiamo notare come mirino a svuotare di significato le azioni quotidiane, ridimensionandole e declassandole a priorità secondarie dinnanzi alla catastrofe imminente. I parallelismi sollecitati dagli attivisti vogliono paragonare lo sconcerto provocato dal blocco del traffico per raggiungere il posto di lavoro (ciò che importa ora) all’inesistente scandalo che dovrebbe destare la condizione del pianeta (la cui rilevanza è sempre posticipata a un domani indefinito).
L’impatto sociale
Queste proteste convergono completamente verso un’unica interpretazione. Indotta riflessione – o almeno l’intenzione – sul valore da attribuire alla vita, parola che sembra essersi svuotata di ogni significato reale. Nonostante lo schema d’intenzionalità persuasiva sia stato ben inquadrato, l’ondata di critiche non si è fatta attendere. Molti governi hanno reagito alla sfrontatezza delle proteste inasprendo le normative e aumentando il periodo di detenzione. Molti gli arresti registrati. Il Primo Ministro inglese Rishi Sunak ha rilasciato una dichiarazione in seguito agli episodi di dissenso del movimento Just Stop Oil definendo inaccettabili tali atti, inammissibile che azioni quotidiane di milioni di persone siano impedite da minoranze egoiste.
Lo scenario italiano non è da meno. Palazzo Madama, la sede del Senato a Roma, è stato imbrattato di vernice lavabile da due ambientalisti come espressione della critica del movimento Ultima Generazione al disinteresse della politica riguardo il collasso climatico. Il gesto è stato condannato quasi all’unanimità. La recidiva delle proteste ha portato all’inasprimento delle sanzioni nei confronti degli “eco-vandali”. Nel disegno di legge, approvato l’11 aprile 2023, si assiste a un inasprimento delle sanzioni che prevedono multe tra i 10 mila e i 40 mila euro per chi deturpa o imbratta beni culturali e dai 20 mila ai 60 mila per chi distrugge, deturpa o rende inservibili beni culturali. Rimane la detenzione dai sei mesi ai tre anni per il primo reato, mentre nel secondo caso va dai due ai cinque anni.
Il caro buon vecchio scendere in piazza è sovvertito da una modalità diametralmente opposta. La fiumana di persone che marcia per i diritti è sostituita da azioni lampo a favore della crisi climatica dal grande impatto emotivo e la risonanza è ampliata per via mediatica.
Risulta essere la modalità l’elemento più criticato. Le invettive rivolte al metodo trasformano atti coraggiosi di protesta riducendoli a delinquenza e “ecovandalismo” agli occhi dell’opinione pubblica. Insomma il messaggio risulta completamente oscurato dallo sgomento collettivo. I detrattori argomentano infangando il metodo ma seguitando a elogiare il messaggio alla base, talvolta con funambolismo. Se il messaggio detenesse realmente la loro attenzione, si considererebbero comunque oppositori? Necessario dunque domandarsi se la modalità utilizzata sia realmente efficace o controproducente.
Il caso Ficicchia
Il movimento si è espresso contrario a tali misure, tacciandole come estremamente sproporzionate al reato commesso e generando una protesta solidale fuori dal Tribunale di Milano. Il collettivo di Ultima Generazione, ribadisce che l’inasprimento delle misure di pena non saranno sufficienti a scoraggiare le azioni di protesta, il che evidenzia ancora una volta la determinazione e la forza nell’ideale alla base delle azioni sovversive volte a catturare l’attenzione pubblica sul disastro climatico.
Secondo l’avvocato di Ficicchia si tratterebbe di un atto puramente politico i cui provvedimenti mirerebbero a ledere i diritti dei manifestanti. É la prima volta in Italia in cui viene associata una misura di tale portata alle azioni di un ambientalista. In questo modo la già evanescente causa ambientale è sottoposta a un ulteriore offuscamento.
Per tirare le somme
Doveroso concludere affermando che storiche manifestazioni che hanno portato alla mobilitazione di ingenti cortei di persone abbiano avuto origine da eventi estremamente preoccupanti e deprecabili. Ma questo non deve rappresentare un requisito fondamentale per la sollecitazione dell’attenzione e indignazione pubblica. Tuttora l’emergenza climatica non è una lotta sufficientemente valida, né imminente da meritare la necessaria preoccupazione. L’utopia del cambiamento può avvenire da un concetto che da inedito progressivamente inizia a mettere le radici nel terreno della società. Doveroso inoltre un espediente che risvegli dal sonno l’intera popolazione e la conduca a un’idea primordiale di esistenza e faccia comprendere che dalla totalità delle nostre azioni dipende il nostro futuro.