Nel 2020, per la prima volta, una donna di colore vince ai British Book Awards col suo romanzo Queenie.
Si tratta di Candice Carty – Williams, scrittrice trentatreenne, di origini giamaicane, nata e cresciuta a Londra.
Il romanzo consiste in un resoconto vivido e dettagliato di una fase della vita di Queenie, una donna nera di ventisei anni.
Oltre ad avere un’innegabile valenza politica, l’opera si presenta come un affascinante e intricato collage di tematiche, più o meno impegnate.
La protagonista è una giovane donna che lavora in ambito editoriale, alle prese con la fine di una relazione per lei importante, che la trascina in una fase di abbandono e confusione.
Essere una donna nera
Lo sa, quando usciamo, se un tizio attacca bottone con una delle mie amiche le dice: “Mi piacerebbe portarti fuori a cena”, ma nello stesso identico istante viene da me, mi mette una mano sul sedere e mi dice che vuole portarmi a casa sua.
Come Candice Carty – Williams ci rivela tra le righe del suo romanzo, la concezione degli uomini del corpo femminile nero è spesso, purtroppo, aberrante. Venerato, desiderato, ma al contempo meno rispettato, relegato ad una dimensione prettamente carnale. Con una donna nera è spesso avallato un comportamento licenzioso, privo di scrupoli, spesso violento.
Se spesso il cammino per una concezione dignitosa della figura della donna risulta ancora molto lungo, entrando nel particolare, nella situazione delle donne nere, rimaniamo atterriti dalla realtà dei fatti.
Adi non mi aveva dato tregua, anche dopo il suo sontuoso matrimonio tradizionale con la fidanzata che aveva da otto anni. Ogni volta che lo incontravo non perdeva occasione per dichiarare che le donne nere erano un frutto proibito per i musulmani
Black Lives Matter
La difesa dei propri diritti e la voglia di sentirsi rispettati per ciò che si è rappresenta un tratto distintivo di Queenie, in lotta continua contro chiunque tenti di sminuire la questione, di delegittimare la protesta, di “rimetterla al suo posto“. Lo fa nel quotidiano ma anche nel suo ambiente lavorativo, dove però le tematiche da lei proposte vengono continuamente ignorate.
Due ore. Discutemmo per due ore senza sosta. Centoventi minuti in cui fui costretta a spiegare perché la definizione di «razzismo» dell’Oxford English Dictionary che continuava a sbandierarmi in faccia era trita, che il razzismo è sistematico, che il razzismo «al contrario» in realtà NON esiste, che definire il suo amico senegalese Toby «nero come il carbone» non va bene.
Questo tipo di confronto/scontro, in realtà non avviene solo con personaggi nettamente in contrapposizione con le idee della protagonista, ma anche con le persone a lei più vicine. Questo è uno dei tratti più interessanti del libro. L’autrice ci aiuta a scandagliare tutti quei comportamenti inconsapevolmente razzisti, a scovare il pregiudizio che si nasconde nei dettagli, a capire quanto spesso tendiamo a minimizzare qualcosa che invece per gli altri è di un’importanza cruciale.
Ero bloccata lì, costretta a fare i conti con i miei pensieri in attesa di calmarmi. Perché Tom non mi difendeva mai? E se nel giro di dieci anni suo zio avesse fatto battute razziste ai nostri figli? Li avrebbe difesi o sarebbero cresciuti sotto gli attacchi della loro famiglia? In queste situazioni avrei tanto voluto consultare un manuale sulle relazioni miste.
Le donne nere forti non piangono
– Sono stata la prima della famiglia a finire la scuola, ad andare all’università, a prendere una laurea, ad avere un lavoro a tempo pieno…
– Sì, e pure la prima ad andare in psicoterapia! – La nonna colpì di nuovo il tavolo. – Te lo dico io. Non vai da nessuna parte!
Tra le tematiche principali trattate nel romanzo, troviamo quella della salute mentale.
I trascorsi traumatici e burrascosi di Queenie, lasciano in lei una serie di ferite emotive che, a lungo andare, la portano a soffrire di gravi attacchi di panico. La famiglia di Queenie è contraria alla terapia, non solo per una motivazione culturale ma anche generazionale. Eppure sarà proprio tramite un percorso di terapia che la protagonista riuscirà a riprendere le redini della propria vita e a riuscire finalmente ad orientarsi e sentirsi sé stessa.
All’interno del romanzo, l’inizio di questo percorso costituisce un vero e proprio spartiacque. Il lettore è reso partecipe del contenuto delle sedute di terapia e del fatto che questo tipo di esperienza sia impegnativa ma, a lungo andare, salvifica.
Riflessioni
Molti paragonano la protagonista al personaggio di Bridget Jones, probabilmente a causa della sua ironia, alla capacità di non prendersi troppo sul serio e al travagliato rapporto con gli uomini.
Nonostante la prorompente simpatia della protagonista e le numerosissime vicissitudini, il libro presenta diversi livelli di analisi. Al di là della trama, avvincente e articolata, il lettore è toccato dalla complessa e ostacolata sfera emotiva di Queenie. Ci si ritrova a fare i conti, con l’amaro in bocca, con tutte quelle pieghe della società in cui si nascondono ingiustizie, pregiudizi, violenze, ma che spesso vanno ad intaccare solo ed unicamente la vita di alcune ristrette minoranze.
Stile
Lo stile di Candice Carty – Williams è uno stile diretto, crudo, a volte sferzante. La storia che ci viene raccontata è complessa, esaustiva e ricca di dettagli e del tutto verosimile. Non c’è nulla di romanzato, non c’è spazio per alcun tipo di idealizzazione, solo una fedele aderenza alla realtà, senza filtri né orpelli.
Il lettore si trova di fronte a una storia autentica, ambientata in un contesto che conosce, che abita quotidianamente.
Leggendo Queenie ci si ritrova a guardarsi dentro, a sentirsi a disagio, a guardare le cose da altri punti di vista: è, in sintesi, una lettura scomoda e necessaria.
È così che è – Alzai la voce. Non posso alzarmi una mattina e smettere di essere una donna nera, Janet.
Non posso entrare in una stanza e non essere una donna nera. Rumorosa, impudente, sfacciata, rabbiosa, insolente, polemica, malevola.
CREDITI
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