Il regime forfettario tra potenzialità e criticità

Con la nuova legge di bilancio il governo presieduto da Giorgia Meloni ha portato alcune novità in tema di fiscalità con riguardo alle attività di lavoro autonomo e impresa. In mezzo a esse una che emerge per il ruolo notevole che ha avuto nel dibattito pubblico è l’innalzamento della soglia di applicabilità del regime agevolato “forfettario” per i detentori di partita IVA, che a partire dal 2023 passa dai precedenti 65.000 euro di fatturato a 85.000 euro: una soglia più bassa dei precedentemente ipotizzati 100.000 euro, ma che comunque costituisce un aumento abbastanza ragguardevole da meritare un’analisi più attenta dell’impatto che può avere nel microcosmo fiscale italiano.

Com’è nato il regime forfettario

Il regime cosiddetto “forfettario” è uno dei regimi contabili adottabili da chi è un lavoratore autonomo o esegue un’attività d’impresa. Introdotto con una legge del 2014 e in vigore dal 2016, ha sostituito il precedente regime dei minimi (eliminato nel 2015) che aveva una soglia di fatturato di 30.000 euro. La soglia si è poi modificata nel corso di vari interventi fino a raggiungere la cifra attuale.

Il forfettario è il regime contabile di gran lunga più semplice da gestire per una piccola partita IVA alle prime armi e con un giro d’affari iniziale piuttosto limitato (in particolare se opera nel settore dei servizi professionali e artigianali). L’imponibile tassabile è già predeterminato di default a seconda delle attività svolte, catalogate secondo un codice di attività economica predefinito (il cosiddetto codice ATECO, che identifica varie attività e vari settori), esenzione dal regime dell’IVA (tranne che in relativamente pochi casi) ed esenzione dal calcolo degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (gli ISA), utilizzati per supportare la pubblica amministrazione nella lotta all’evasione fiscale.

Ovviamente vi sono dei limiti: ad esempio non è possibile scaricare alcun costo (rendendo il regime agevolato in questione meno conveniente per le attività che invece ne sostengono molti), e le spese per lavoro accessorio, da dipendente o da collaboratore sono limitate alla soglia dei 20.000 euro lordi, il cui superamento ti estromette direttamente dal regime, anche se il fatturato è sotto la soglia massima.

Un aspetto che lo rende particolarmente interessante per un imprenditore, tuttavia, è l’aliquota fiscale: normalmente è del 15% sulla base imponibile, ma si riduce ulteriormente al 5% per i primi cinque anni per chi avvia una nuova attività.

La competitività del nostro sistema fiscale

La presenza di un regime contabile così vantaggioso e con così pochi adempimenti fiscali rispetto al regime ordinario può essere giustificata dalla necessità di rendere l’ecosistema imprenditoriale italiano più competitivo e facilitare l’attività d’impresa che nel nostro Paese non è sempre facile.

A confermare ciò il rapporto dell’Ease of Doing Business 2020 per l’Italia della World Ban:, su un totale di 190 paesi siamo in cinquantottesima posizione nella facilità di avviare e gestire un’attività imprenditoriale. Certamente non è un piazzamento terribile nel quadro globale, tuttavia, nell’ambito dei paesi cosiddetti ad alto reddito e facenti parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE / OECD), il gruppo di stati di cui l’Italia fa parte e a cui è messa in paragone nel rapporto, tale piazzamento non è invidiabile.

Secondo i risultati dell’indagine, per aprire un’impresa “standard” in Italia sono necessari undici giorni contro i 9.2 in media necessari nei paesi OECD ad alto reddito (il Paese più rapido è la Nuova Zelanda con solo 0.5 giorni ). Tuttavia, il punto in cui vi è un maggiore scarto tra il nostro paese e gli altri del nostro gruppo è la gestione fiscale: infatti da noi il pagamento delle tasse e gli adempimenti fiscali sottraggono all’imprenditore medio 238 ore per anno, contro una media di sole 158.8 ore annue nei paesi nostri pari economicamente (con punte di efficienza di meno di cinquanta ore). Sempre collegato a questo punto è il numero di pagamenti che devono essere effettuati in media per adempiere ai doveri fiscali: quattordici in Italia contro una media di 10.3 (con apici di grande efficienza di soli tre pagamenti richiesti in due economie).

A destare ancora interesse è il total tax and contribution rate calcolato sul profitto: in Italia raggiunge (ovviamente limitandosi al periodo considerato dal report) il non basso valore di 59,1%, contro una media del 39,9% (in alcuni casi nelle economie più fiscalmente vantaggiose si va sotto il 30% addirittura).

Leggendo questi dati si capisce ancora di più il potenziale dei regimi agevolati per incentivare l’imprenditoria: una tassazione praticamente esigua se rapportata al carico fiscale medio che il resto delle imprese si sobbarca, e, soprattutto, la possibilità di gestirla meglio, in maniera più rapida, con meno adempimenti e di più facile gestione. Del resto i forfettari non hanno un registro delle operazioni sottoposte all’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), né hanno l’obbligo di tenere la contabilità in maniera così articolata e dettagliata come un’attività in regime contabile ordinario.

Il costo per le casse pubbliche

Tuttavia, tutti questi incentivi hanno un costo per lo Stato e, per estensione, per la collettività in termini di mancati introiti per l’erario. Per fornire un quadro generale possiamo guardare ai dati presentati dall’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica (rimandanti ai dati della commissione del Senato) che, con riferimento all’innalzamento del forfettario dai 30.000 euro ai 65.000 euro verificatosi con la Legge di Bilancio del 2019, stimano un costo pari a 1,4 miliardi di euro.

Con questa nuova Legge di Bilancio, secondo l’OCPI, i professionisti risparmierebbero migliaia di euro in generale se messi in confronto al regime ordinario: più precisamente, la simulazione proposta dall’Osservatorio sostiene che, su circa 75.000 euro di fatturato, un elettricista, per esempio, risparmierebbe circa 8.000 euro di imposte, mentre un consulente informatico 5.000 euro a confronto del regime di tassazione basato sull’IRPEF.

Tralasciando la questione dell’equità o meno di questa misura, alla luce di questi dati, è importante interrogarsi sul fatto se sia o meno fattibile economicamente, data la situazione economica del nostro Paese: infatti il rapporto debito/PIL italiano ha superato il 140% e si avvicina alla ancor più pericolosa soglia del 150%. In una situazione così delicata ogni spesa deve essere accuratamente calibrata di modo che non ci trascini ulteriormente a fondo.

Le potenziali distorsioni del regime agevolato

Oltre all’analisi della sua fattibilità economica, sempre l’OCPI nel suo report evidenzia le potenzialità distorsive che il regime forfettario può produrre sull’efficienza delle imprese italiane e sul mercato del lavoro.

In primo luogo vi è il rischio che i professionisti, piuttosto che unirsi sotto la forma giuridica di una società, decidano, vista la convenienza fiscale e tributaria, di non associarsi e scindersi in varie partite IVA; ciò porterebbe a una perdita di efficienza in termini, per esempio, di meno sinergie e ridotte economie di scala. Conseguentemente, il tessuto imprenditoriale italiano potrebbe diventare meno competitivo rispetto alle sue controparti estere, controbilanciando in parte l’efficientamento fiscale che il forfettario si proporrebbe di promuovere.

Inoltre una soglia così alta per la tassazione agevolata per le partite IVA renderebbe meno attraente l’opzione opposta, quella del lavoratore dipendente: infatti le imprese sarebbero meno invogliate ad avviare rapporti di dipendenza coi collaboratori, preferendo il supporto del lavoro autonomo e alimentando il fenomeno delle cosiddette “false partite IVA”.

A questi effetti distorsivi va aggiunto il rischio maggiore di evasione dell’IVA. I forfettari, non essendo (tranne casi particolari) sottoposti al regime IVA come gli altri regimi contabili, di fatto si comportano come consumatori finali e quindi non possono detrarre l’IVA sugli acquisti: ciò potrebbe costituire un incentivo a non chiedere le fatture per gli acquisti qualora ciò servisse a diminuire i costi. Inoltre i loro servizi sono esenti da IVA, venendo potenzialmente a costare meno per i consumatori finali, garantendo un vantaggio competitivo rispetto ai colleghi in regime ordinario sottoposto all’IVA.

Prospettive future

Possiamo quindi dedurre che i regimi tributari agevolati possano essere utili per aumentare la competitività del mondo imprenditoriale italiano; tuttavia, proprio per la loro natura straordinaria, devono essere calibrati con cura, prestando maggiore attenzione all’ambiente economico in cui opereranno. È indubbio che il regime forfettario sia importante per tutti quegli italiani che si vogliono “mettere in proprio”, soprattutto in un Paese in cui fare impresa, come precedentemente esposto, è tutt’altro che semplice in confronto alle altre economie sviluppate. Tuttavia la nostra situazione economica richiede una maggiore cautela. Non sempre le politiche economiche raggiungono gli obiettivi prefissati (anzi, a volte potrebbero portare a degli effetti non precedentemente considerati).

 

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