Dalla sovranità popolare all’uguaglianza sociale, dal dibattito sul carcere al ripudio della guerra. La nostra Costituzione è stata firmata alle ore 17 del 27 dicembre 1947, presso Palazzo Giustiniani, ma quante contraddizioni sono emerse, nel tempo, e quanto è lontano il testo, leggendo alcuni articoli, dalla realtà del nostro Paese?
Se si vuole provare a fare un bilancio, o comunque a riflettere su almeno alcuni dei successi e degli insuccessi della nostra “esperienza costituzionale”, dall’entrata in vigore della Costituzione a oggi, farlo attraverso la lente dell’arte, per così dire, è una delle vie percorribili. E se si vuole vedere la Costituzione come una promessa (una “rivoluzione promessa” la definì Calamandrei), fatta da chi la redasse agli italiani, e l’arte come un giudice spietato, a volte ironico, dei tempi, dell’uomo e della società di sempre, come nell’olio su tela L’entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 di James Ensor, quante volte è stata tradita?
Non c’è via più sicura per evadere dal mondo, che l’arte, ma non c’è legame più sicuro con esso che l’arte.
Johann Wolfgang von Goethe in Maximen und Reflexionen, 1833
Nel dopoguerra si sperava, o meglio credeva, che il futuro avrebbe raccolto le istanze di libertà e giustizia di un’epoca, di una realtà, l’Italia, ancora ferita nel profondo dai frutti avvelenati del Ventennio Fascista. Ma da allora sono passati 75 anni, e oltre un secolo da quando il macchiaiolo Cafiero Filippelli dipinse Il Tricolore per ricordarci quanto vivo, radicato, sincero deve essere il nostro legame con la patria e la bandiera, auspicando un futuro dove il cittadino italiano avrebbe raggiunto la piena dignità.
Articolo 1, la sovranità appartiene al popolo?
Partiamo da uno degli articoli più noti, il primo, che enuncia il principio di sovranità popolare, fondante la democrazia. Tutti possono votare, purché maggiorenni, scegliere quindi da chi vogliono essere rappresentati, anche le donne, escluse fino al 1946. L’ultimo passo dell’evoluzione iniziata in età giolittiana col superamento del voto censitario. Infatti, per decenni, dopo la fondazione del Regno d’Italia, il diritto di voto è stato prerogativa esclusiva non solo degli uomini, ma degli uomini con un determinato censo e livello di istruzione.
Situazione sperimentata, tornando indietro nel tempo, anche dagli altri stati europei, come l’Inghilterra, dove nel Settecento il pittore Williams Hogart denunciò la meschinità e la corruzione delle elezioni a suffragio ristretto, con la sua serie di quattro dipinti, The Humors of an Election. Tra i motivi del malfunzionamento, anche la mancanza di segretezza nel voto, che dava luogo a soprusi e spadroneggiamenti e poi, appunto la ristretta cerchia dei votanti, fino al 1832 solo cinquecentomila (il 3% della popolazione). Lo mette ben in luce Canvassing for Votes di Hogart.
Custodito nel Soane’s Museum di Londra, l’olio su tela del 1774 raffigura due agenti, uno appartenente alla fazione dei Whigs, l’altro a quella dei Tory, intenti a cercare di convincere un ricco locandiere a votare per loro. L’episodio è messo al centro del dipinto, in primo piano, per mostrare con ironia quanto tra le prime preoccupazioni della politica ci sia l’accaparrarsi voti.
E oggi, in Italia? Certo la Costituzione garantisce il diritto di voto a tutti ma le ultime elezioni 2022 hanno registrato un calo dei votanti storico (solo il 63,91%). Questa tendenza calante che perdura da anni ormai non rischia di mettere in crisi quel principio di sovranità popolare tanto caro alla Costituzione, riportandoci un giorno verso un governo, di fatto, della minoranza, con problemi simili a quelli del passato?
Articolo 3, tra uguaglianza e dignità. A che punto siamo?
Un tema classico che attraversa tutto il testo costituzionale, ma che emerge in maniera particolare nell’articolo 3, è quello dell’uguaglianza dei cittadini. Davanti alla legge, certo, ma anche a livello sociale. Ed è impossibile non citare a questo punto una delle più grandi, se non la più grande, questione sociale italiana, ossia la disuguaglianza tra Nord e Sud, e poi la diseguaglianza tra ricchi e poveri (secondo il rapporto Caritas 2022 5,6 milioni di persone sono in povertà assoluta).
Un tema, quello della diseguaglianza sociale, che emerge vivido, e immortalato infinite volte dall’arte, già a partire dalla fondazione del Regno d’Italia e poi al tempo dei governi Giolitti, del fascismo, e anche della Repubblica.
E, oggi, non è ancora tristemente forte il divario economico e di benessere sociale tra Nord e Sud? Le disuguaglianze, aggravatesi ancor più negli ultimi anni per la crisi, non sono forse un fallimento di quel sogno che aveva mosso i padri costituenti?
Il vagone di terza classe del realista francese Honoré Daumier, dipinto nell’Ottocento, che indaga la condizione dei più poveri, costretti ad attraversare il viaggio nei vagoni più affollati e maltenuti, quelli di terza classe, ci appare più che mai attuale: la terza classe formalmente è stata superata, ma la condizione no.
Pennellate veloci, quasi liquide, accompagnate da uno spiccato gusto per i contrasti netti e i toni caldi, descrivono una massa di lavoratori di sesso ed età differenti. Un bambino addormentato dagli abiti sgualciti, una contadina che appare invecchiata, consumata e poi numerosi volti maschili segnati e affaticati, accomunati dalla mancanza di qualsiasi speranza o prospettiva per il futuro.
Articolo 27: la pena, il carcerato, l’uomo
Quante volte si è discusso, negli ultimi anni ma non solo, del tema delle carceri e dei carcerati. E in maniera particolare di come improntare il percorso rieducativo di quest’ultimi. E se da un lato abbiamo le carceri “del passato”, simili a veri e propri gironi dell’inferno, come ben descrive La ronda dei carcerati di Vincent van Gogh su modello di un’incisione di Doré, dall’altro ci sembra un’utopia quella tratteggiata da un articolo del 23 gennaio di Gustavo Zagrebelsky, apparso su La Repubblica e intitolato Cosa si può fare per abolire il carcere?
L’articolo 27 della Costituzione recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”. L’obbiettivo delle carceri di oggi, secondo la Costituzione, dovrebbe essere la rieducazione del condannato, in vista, implicitamente, di un suo futuro reintegro nella società. E ci sono esempi virtuosi di questo come il carcere di Milano Bollate o, a un livello diverso, una casa circondariale come quella di Monza. Ma la realtà generale è spesso addirittura di degrado, sovraffollamento delle celle, e scarsa attenzione al percorso di rieducazione dei carcerati, come segnala il report di Osservatoriodiritti 2022.
E allora diventa difficile leggere l’articolo 27; difficile, allontanare lo spettro dei troppi casi di denunciata mancanza di rispetto dei diritti umani. Nell’olio su tela di van Gogh del 1890, pennellate nervose tratteggiano uno scenario asfissiante, allucinato, quasi claustrofobico, con i detenuti che girano in tondo, in quella che appare una specie di fossa senza via d’uscita. Prospettiva che accomuna tante persone, anche oggi, dietro le sbarre, che vivono i giorni come un cerchio senza via d’uscita, un cerchio malsano e carico di indifferenza che si fa spesso tristemente mentale, sociale, e accompagna la persona anche una volta usciti dal carcere.
L’arte ripudia la guerra, e l’Italia?
Stiamo parlando del famoso, dibattuto, articolo 11, che esordisce con: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Certo, dopo la Costituzione l’Italia non è mai formalmente entrata in guerra. Ma c’è stato davvero un impegno per la pace?
In alcuni casi le nostre forze armate hanno comunque combattuto: sul terreno, in Somalia, tutti ricordiamo la battaglia del checkpoint Pasta a Mogadiscio; bombardando nel 1999 la Repubblica di Serbia; poi di nuovo sul terreno nel 2003-2006 a Nassiriya; e solo da poco i nostri soldati hanno lasciato l’Afghanistan. Si è combattuto, con risultati nel complesso modesti se non negativi se l’obbiettivo era portare comunque pace e giustizia. E che dire delle forniture d’armi? Per fare solo un esempio recente, anche con armi italiane l’Arabia saudita ha compiuto e compie stragi nello Yemen. E che cosa ha fatto l’Italia per portare la pace là dove si combatte? Non è forse vero che guardando la Libia ci preoccupa quel che accade laggiù quasi solo per le ondate di profughi?
C’è, senza dubbio, un limite a quella che può essere la nostra politica internazionale. Le risorse sono limitate e tanti sono i vincoli esterni che ci impongono che cosa fare e che cosa non fare. E lottare contro la guerra non è mai stato facile. Ma quel ripudia è sicuramente ancora da attuare pienamente. Anche per l’Italia di oggi vale il monito che si leva, ad esempio, dai tanti murales di Bansky.
L’articolo 10, il diritto d’asilo e una porta sul mare
E per chiudere, l’articolo 10. Molti forse non lo sanno, ma in quell’articolo c’è una delle affermazioni più forti del diritto d’asilo: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”. Parole che riecheggiano tristemente alla luce del recente naufragio di Crotone, che ha visto morire affogate oltre sessanta persone, donne e bambini compresi.
Quasi sorprende rileggere ogni volta questo passaggio per la sua generosità estrema, in particolar modo se confrontato con la tendenza alla chiusura dei confini non solo da parte dell’Italia, ma anche a livello europeo e oltreoceano. Oggi la politica, la cronaca, sembrano dirci che per chiedere asilo da noi non si possa richiedere un visto e, dopo una qualche verifica sulla bontà delle ragioni, salire su un aereo per venire in Italia. No, bisogna affidarsi ai trafficanti e rischiare la vita. Dovremmo chiederci allora: perché per godere della tutela solenne dell’articolo 10 spesso non c’è una via legale? Non viene in questo modo, per così dire, dimezzato, quel diritto d’asilo posto dalla Costituzione?
La Porta di Lampedusa, opera in ferro zincato e terracotta di Mimmo Paladino, risveglia in chi la guarda questi interrogativi. Con la sua superficie di piastrelle di ceramica sulla quale si innestano, in rilievo, vestiti, oggetti d’uso quotidiano, simboli. Nella visione della ONG Amani e di Arnoldo Mosca Mondadori, che la commissionarono, doveva essere un vero e proprio “affresco” stratificato di esperienze, attraversamenti, naufragi e speranze.
Fonti
C. Bertelli, Invito all’arte, Scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 2017.
G. Gentile, L. Ronga, A.C. Rossi, Il nuovo Millennium, La Scuola, Brescia, 2016.